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CI SONO COSE CHE FANNO INDIGNARE
Ci sono cose che fanno letteralmente indignare. Cose che, a guardarle bene, sono un caleidoscopio d’incoerenza, menefreghismo, bassi interessi ed ignoranza totale di consuetudini e norme.
Cose che, per esempio, anche solo a guardare la Costituzione, elaborata da “grandi” politici, grandi giuristi, grandi esponenti dell’Antifascismo che, in quanto tali, ben sapevano, avendolo pagato sulla loro pelle, quale rischio per la Democrazia sia l’annacquamento della libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo, attraverso i tentativi maldestri di “stiracchiarla” da una parte e dall’altra, per asservirla a fini di parte, fanno venire i brividi.
Come diceva Piero Calamandrei, che, per primo, ne denunciava il compromesso “obbligato” di cui era stata frutto (sintomatico, al riguardo, tra l’ilarità generale dell’aula, l’”apologo” del signore di mezza età con una moglie anziana e l’amante giovane), in quanto il “Documento Fondativo” d’uno Stato democratico non può essere espressione esclusiva d’una parte, ovvero di ideologie massimaliste, intolleranti della diversità, bensì sintesi dei molteplici principi politici.
La Costituzione, infatti, solo in un punto specifico s’è abbassata, a discapito d'ogni conclamata laicità, ad un patteggiamento di “basso conio” tra P.C.I. e D.C. E ciò è avvenuto con i “Patti Lateranensi”.
C’è ancora chi si ricorda Palmiro Togliatti, che, riuniti ed arringati i Costituenti comunisti, autorizzò il solo Concetto Marchesi, eccelso latinista, nonché Rettore dell’Università di Padova, di cui ben conosceva l’indomito e dotto anticlericalismo, a “disertare” fisicamente, il voto.
Per il resto, la Costituzione è “un tutt’uno”, come per altro l’economia od un qualsivoglia Bilancio che sia diviso in “Stato Patrimoniale e “Conto Economico”.
Non è possibile modificarne una parte senza tenere conto di ciò che automaticamente consegue nell’altra. Se non si ha una visione d’insieme delle cose, il risultato finale determina, asimmetrie, sbilanciamenti, contraddizioni in termini, squilibri etc.
Questa è materia di grandi specialisti, che però non abbiano solo piena contezza di ciò che s’accingono ad elabporare, ma anche serenità d’animo.
Al riguardo, perché ben s’intenda ciò che intendo dire, è bastevole evidenziare, sic et sempliciter, che quando s’intende “allisciare il pelo” ad un giornalista “scomodo”, avendo quale usbergo consolidato il diritto alla privacy, il diritto a non subire accuse non provate, il diritto alla “rettifica”, il diritto ad un equo “risarcimento” etc., se si aggiunge a queste “garenzie” la richiesta d’indennizzi pari a centinaia di migliaia od a milioni di Euro, è chiaro che s’intende aprioristicamente mettere un “bavaglio” alla libertà di stampa, in quanto questi livelli risarcitori, non solo spaventano il giornalista, ma, in primo luogo, l’editore che, per legge, è obbligato a surrogarlo patrimonialmente.
Lo stesso vale per un magistrato, che, chiamato a giudicare, in base alle proprie convinzioni, sui fatti esposti, in “dibattimento”, da accusa e difesa (sempreché non ci sia malafede, da sanzionare soprattutto penalmente), può anche sbagliare.
Magistrato la cui serenità di giudizio e la cui buonafede non può, però, essere inquinata o messa a rischio, dall’incombenza, in caso d’errore, di risercimenti “insostenibili”, che, al cospetto d’una Giurisprudenza talmente garantista dal prevedere ben tre livelli decisionali, finiscono solo per creare un vulnus irreparabile alla valenza ed alla sovranità del Diritto.
Non è un caso che, soprattutto due giuristi di chiara fama, quali i Mazziniani Giovanni Conti e Tommaso Perassi, furono i Deputati che, in sede di Costituente, argomentarono, chiesero ed ottennero l’indipendenza dei Magistrati.
Purtroppo, soprattutto in tempi recenti, con lo scoperchiamento di tante sentine di malaffare e di vizio, l’indipendenza dei magistrati “brucia”. Brucia a chi con essi si trova a che fare e da questi non riceve il preteso “ossequio” per cariche e potestà politco-istituzionali, “servite” troppo spesso con disonore.
Talché, da qualche anno a questa parte, quasi fossero vergini violate, alcuni eminenti politici, spalleggiati da agguerriti “corifei” e difensori d’ufficio, cercano di scalfire questa, a mio parere, saggia prerogativa magistrale, invocando leggi che, al giudice che sbaglia, in malafede o in buona fede non fa differenza, comminino risarcimenti civili pari al danno invocato da chi, eventualmente, ne sia rimasto vittima. Risarcimenti tali che un normale “servitore” dello Stato, a meno che non disponga di beni famigliari di ragguardevole rilevanza, non può assolutamente onorare.
Da qui, il rischio, per i magistrati, alla stregua dei giornalisti, d’essere sostanzialmente inibiti nelle loro funzioni, costituzionalmente previste, da indebite minacce di natura economica.
Ma perché, mi viene da dire, questa specie di sciagurata ed auspicata innovazione non viene reclamata anche per i politici che, spesso, con le loro errate decisioni (senz’altro da parificare alle sentenze dei giudici), finiscono per danneggiare categorie, persone, società ed, in termini più ampi e generali, le stesse casse dello Stato?
Perché, ad esempio, non vengono domandate a chi pure avrebbe risorse per farvi fronte, adeguati risarcimenti per i danni procurati a tutti gli Italiani dalla tragica vicenda dell’”Alitalia”, che non si è trasformata in farsa, solo perché, un attimo prima che fallisse, altri uomini di governo, hanno trovato l”Ethiad”, ossia la ricca compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti, disposta a fondersi con quella italiana, mettendo sul tavolo delle trattative, centinaia di milioni di Euro?
Oppure, vogliamo dimenticarci che, a fronte d’un’offerta d’acquisto dell’”Air France”, qualcuno montò in cattedra ed, in base ad un millantato sentimento d’italianità, al cospetto d’un’economia globale, che non consente autarchie o confini finanziari, cui attendere ad oltranza (alla stregua di quanto avvenne ai tempi di Ciampi ed Amato che, per difendere la parità della Lira dagli attacchi speculativi di Soros, vennero prosciugate, prima di svalutare, come chiedeva il professor Bruno Visentini, già Ministro delle Finanze, le riserve di moneta pregiata di cui il Paese disponeva), volle far scendere in campo, per risollevare le sorti della nostra aviazione civile, i famosi cavalieri, senza macchia e senza paura, rivelatisi, a consuntivo, più simili a quelli dell’Apocalisse che a quelli della della table ronde?
A questo punto, con chi prendersela, a chi addebitare i danni enormi subiti dal Paese per salvare una società che non stava più sul mercato e che se, adesso, ci rientra è solo grazie alle risorse del nuovo azionista, che comunque, ha chiesto ed ottenuto un “mare” di garanzie?
Una società, l’”Alitalia”, che, forse, siccome qualche anno fa aveva invano chiesto Ugo La Malfa per la “Finmare”, ossia che fosse chiusa e che fossero tenuti a casa i dipendenti, per non buttare altri soldi invano, ha collezionato records negativi difficilmente ripetibili.
Basta citarne alcuni.
Migliaia di dipendenti, con retribuzioni straordinarie rispetto alla generalità degli altri lavoratori, tenuti per oltre 7 anni in cassa integrazione. Una falcidie di capitali privati e pubblici, dell’ordine di centinaia di milioni di Euro di perdite consolidate. Un sistema bancario costretto a leccarsi le ferite attraverso un abbattimento più che sostanziale del valore nominale dei suoi crediti, od, in alternativa, trasformarli in “partecipazioni”. Ed infine, per ultimo, ma non ultimo, con il beneplacito del Sindacato (tranne, per ora, la CGIL), la reimmissione in servizio di centinaia di dipendenti in sovrannumero (preliminarmente calcolati in circa 2500), la ricollocazione di più che altrettanti, tramite procedure speciali, nelle aziende dell’indotto, mantenendo il resto in C.I.G.
Mi viene, quindi, spontaneo da chiedere quanto segue. E’ morale, o è invece sostanzialmente reprensibile che il Sindacato, al cospetto d’un’economia in regresso, che, solo da qualche mese, sembra stentare a crescere, con milioni e milioni di disoccupati che vanno, via via, aumentando, con punte di disoccupazione giovanile che s’avvicinano al 50%, con un Debito Pubblico che sfiora i 2.200 miliardi di Euro, con una condizione di povertà generale del Paese pari a 10 milioni su circa 60 milioni di abitanti, di cui ben sei milioni in stato di totale indigenza, difenda, ad oltranza, le categorie, più o meno privilegiate, degli occupati, quando un giovane su due è in cerca di lavoro?
Un solo esempio personale: mia figlia, Perito Aeronautico, in possesso di “Brevetto” da Pilota di 1° grado, laureata (secondo il vecchio ordinamento) in Ingegneria Meccanica, con 107 su 110, è disoccupata.
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