"La lectio magistralis potevano tenerla i gigliesi" Intervento del Sindaco Sergio Ortelli a Radio 24
Intervento radiofonico del Sindaco Sergio Ortelli a Radio 24 in merito alla lezione tenuta dall'ex comandante Schettino nei giorni scorsi presso l'Università La Sapienza di Roma sulla gestione del panico in situazioni di emergenza.
Questo il link da cui ascoltare, all'incirca dal minuto 12, l'intervento del Primo Cittadino di Isola del Giglio: ASCOLTA INTERVISTA
"Il mio è un giudizio estremamente negativo dopo tutto quello che abbiamo patito in questi 31 mesi. Oggi - dice Ortelli - ho sentito parlare di brividi e sconcerto e io sono perfettamente in linea con gli interventi degli ascoltatori e del Rettore de La Sapienza. Questo fatto rappresenta un’ulteriore ferita alle famiglie delle vittime con cui ancora oggi sono in contatto.
Ricordo che proprio in queste ore sono in corso le ricerche dell’ultima vittima, Russell Rebbelo il fratello di Kevin e questi fatti alimentano solo indignazione in tutti noi, anche se non abbiamo mai perso la speranza che un giorno qualcuno possa ravvedersi o pentirsi. Indignazione è, anzi, una parola che non rende ancora bene l’idea. Bene ha fatto il Rettore Frati de La Sapienza a dare una pronta e ferma risposta.
Mi domando quali potessero essere i risvolti educativi o formativi prodotti dall’esperienza di colui che rappresenta l’imputato di un processo penale per dei fatti di cui noi gigliesi conosciamo effettivamente come si sono svolti, noi che li abbiamo vissuti in prima persona. Io credo che non ci sia proprio una ragione scientifica, non c’è una ragione didattica che possa giustificare un’azione del genere che da tutti è stata definita come un atto da condannare in modo netto.
I naufraghi tornano per ritrovare ed incontrare i gigliesi e ritrovare i luoghi della solidarietà, dell’accoglienza. La lectio magistralis doveva essere tenuta dai gigliesi e non dal comandante Schettino. Questa è stata un’inversione di ruolo che ha generato questa situazione. Oggi i familiari guardano al Giglio sì come luogo di solidarietà ma come un luogo dove si sono salvate tante persone.
Non è davvero il signor Schettino che ha portato la nave in quella posizione, non è davvero l’abilità di un comandante ad aver portato la nave nell’unica posizione in cui si poteva porre ed incagliare e quella posizione io l’ho definita miracolosa perché ha tenuto molto basso il bilancio delle vittime."
SI SAREBBERO POTUTI SALVARE TUTTI SE SOLO….(UN PARALLELO CON VERMICINO… UNA POESIA) Alla luce di quanto Lei scrive, egregio ingegnere Attilio Regolo (pensi che, quando iniziai a, per così dire, “collaborare” con questo “foglio”, appena ebbi a leggere un suo “commento”, mi venne voglia d’usare, visto che ho la mano destra un po’ malandata, per un pugno “vibrato” con troppa foga tanti e tanti anni fa, lo pseudonimo di “Muzio Scevola”), che, almeno a mio giudizio, esprime pareri e valutazioni estremamente probanti, con tanto di dati e riscontri lodevoli sui “fatti” della Concordia, mi sento sollecitato a fare, soprattutto, un’amara riflessione. Dimenticando, per un attimo, l’allocuzione satirica (così, credo, possa definirsi quanto mi sono permesso, “cazzeggiando”, di scrivere in merito alla “Lectio magistralis di Schettino”, quanto meno inopportuna ed indegna, al cospetto della fellonia tangibilmente dimostrata, in disdoro della più che onorata tradizione marineresca, con lo scendere rattamente dalla nave ben prima che riuscisse a farlo la maggior parte dei passeggeri e dell’equipaggio), m’è venuto da ripensare e riandare con la memoria alla tragica vicenda del bambino romano di Vermicino che, tanto tenne in ansia gli Italiani, incollati agli schermi televisivi, mentre procedevano, le, per molti versi, improprie (se non addirittura improvvide) ed improvvisate iniziative di soccorso. Perché quest’accostamento? Che cosa mai hanno in comune i “fatti” della Concordia con la morte d’Alfredino, precipitato, accidentalmente in un pozzo artesiano e di cui ho scritto dei versi, per me, indimenticabili, che, se “Giglionews”, sempre molto indulgente e paziente con me, me lo permette, vorrei riportare in calce. Le 32 vittime del naufragio e lo sparuto bimbo romano hanno in comune, oltre la morte, una sola cosa: a mio parere potevano essere salvati! Il bimbo, forse si sarebbe salvato, se solo avessimo lasciato ai tecnici accorsi, mi si consenta il bisticcio di parole, per soccorrerlo, fare in pace e con metodo il loro lavoro, lasciandoli esercitare il loro “mestiere”, invece d’incalzarli, distrarli, incitarli oltre misura, con il risultato di “perderlo” per aver compiuto, nella fretta del risultato, operazioni improprie ed azzardose. Quel campo di Vermicino, insomma, in poche ore, nell’angoscia dell’intero Paese, s’era trasformato, tra spettatori in affanno, giornalisti, parco luci, cineprese, telecamere, etc., da luogo d’una disgrazia del tutto accidentale, nella “cavea” d’un anfiteatro in cui si stava recitando una tragedia. E pure le altre vittime, almeno a mio parere, alla luce delle informazioni che posseggo, si sarebbero probabilmente tutte salvate se, l’ineffabile Schettino, che tanto s’è commosso per la sorte della bella nave, in quanto destinata alla rottamazione, nella fatidica mezz’ora in cui la Concordia, ormai ferma, prima di piegarsi e sprofondare, rimanendo comunque abbarbicata alla “Gabbianara”, si trovava, ancorché in precarietà d’assetto, in condizioni di sostanziale equilibrio idrodinamico, fosse stato ben presente a sé stesso, ed invece d’indugiare, per minuti e minuti interminabili, al telefono, per chiedere ed informare chi sa chi e di chi sa cosa, avesse immediatamente e senza farsi prendere dal panico, come gli competeva e com’era suo preciso e primario dovere di comandante, provveduto ad organizzare la calata delle scialuppe di salvataggio e d’ogni altro strumento di discesa a mare. Questo, ingegner Attilio Regolo è quel che più mi “brucia”, seppure nulla sappia di navigazione o di salvataggi. Perché nella fattispecie, leggendo e guardando le televisioni, ascoltando i commenti, le interviste, i pareri e quant’altro mi fosse utile a capire, mi sono convinto che, a prescindere dagli inchini, dalle errate manovre compiute prima e dopo l’impatto con il fatidico scoglio delle “Scole” (per il quale mi viene da domandare: perché mai, visto che era una protuberanza rocciosa appena sommersa, assai fastidiosa e, come i fatti hanno poi dimostratro, pericolosa per la navigazione, non sia sia, per tempo, provveduto, alla faccia d’ogni immancabile opposizione ambientalista, a farla “saltare” con adeguata carica esplosiva?), quella fatidica mezz’ora d’assetto favorevole all’evacuazione della nave, mezz’ora in cui la gente è rimasta sui ponti in attesa d’istruzioni, avrebbe consentito, se ben utilizzata, di salvare tutti. Ed è proprio questa la massima colpa che, personalmente, attribuisco al sussiegoso Francesco Schettino, “maestro di cerimonie”, nonché “impavido” comandante della nave ammiraglia della Costa Crociere. A Vermicino C'eravamo tutti a Vermicino, in fondo al pozzo, quella notte. C'era il cuore sano e malsano di questo Paese, che l'angoscia d’un bimbo, precipitato nel buio, faceva raggelare. C'era la rabbia, sovrumana, di chi capiva che avremmo pure potuto salvarlo, se solo avessimo, senza incalzare, senza intrometterci istericamente, lasciato compiere il suo lavoro a chi sapeva il mestiere; che avremmo potuto strapparlo alle viscere della terra, che, lentamente, lo stavano ingoiando, restituendolo alla madre, che, attonita, non aveva più lacrime; alla madre, stupefatta, cui, atterrito, più non credeva, perché la sua e la nostra impotenza lo stavano annichilendo; perché la nostra impazienza lo stava perdendo. Perdonaci, Alfredo! Perdona questa nostra "povera" gente, comunque generosa, che, però, sa solo commuoversi e maledire, per poi dimenticare. Perdona lo spettacolo, inverecondo, che s’è dato della tua morte, in diretta Tv, al cospetto del mondo e d'un Presidente, intemperante, che, per protagonismo, seppe solo essere d’intralcio, incalzando, maldestramente, i soccorsi.
E poi, prescindendo da giudizi etici soggettivi o oggettivi, ma guardando solo alla dinamica dei fatti, trovo che sia stato uno straordinario mix di maestria, spirito di arrangiamento e anche ovviamente fortuna essere stati capaci di convogliare, da parte dell'equipaggio della Concordia, in quello stato di forte concitazione pre-panico che possiamo solo provare ad immaginare, oltre 4.000 persone sull'unico ponte di accesso alle scialuppe di salvataggio della Concordia incagliata e in fase di rovesciamento, il ponte 3 se non sbaglio, riuscendo comunque infine ad inviarle nella quasi totalità verso la salvezza.
Insomma, quello che voglio dire è che quella notte del 13 gennaio le operazioni di soccorso delle 4.229 persone a bordo della Concordia stabilmente ferma e incagliata a poche decine di metri dalla costa anche se in fase di progressivo sbandamento verso terra si svolsero nel corso di oltre 3 ore a partire da circa le 23 senza che si scatenasse un irrefrenabile e incontrollabile panico di massa tanto è vero che fu salvata la quasi totalità dei naufraghi. Ben diversa secondo me sarebbe stata la situazione con l'ordine di evacuazione impartito con la nave ancora in alto mare se pure ancorata a 100 mt di profondità con il panico generalizzato e incontrastabile che si sarebbe certamente sviluppato a bordo di una imbarcazione in procinto di rapido evidentissimo e inarrestabile inabissamento.
Come si sono svolti i fatti quella tragica notte del 13 Gennaio 2012 li conosciamo ormai quasi nel dettaglio. Come si sarebbero potuti svolgere se il Comandante della Concordia avesse ordinato di gettare l'ancora diciamo mezz'ora prima quando la nave si trovava con un fondale sotto di 100 mt sarei davvero interessato di saperlo almeno con sufficiente approssimazione mediante studi e simulazioni adeguate. Non dimentichiamo che dopo l'impatto con "Le Scole" avvenuto circa alla 21.45 e l'ordine di evacuazione da parte del Comandante a nave ferma e incagliata alle 10.58 la nave aveva subito affondamento di circa 10 mt e che il processo di affondamento stesso non è lineare ma iperbolico. Saluti.
E’ UN DISCRIMINE INTOLLERABILE, AL LIMITE DELL’APERTO RAZZISMO, IMPEDIRE A SCHETTINO DI TENERE UNA “LECTIO MAGISTRALIS” SU “COME GESTIRE IL PANICO” Mi sia consentito dire la mia in merito alla “Vicenda Schettino, quale Docente, presso “la Sapienza” di Roma, per una Lectio Magistralis, centrata, in modo specifico, sul tema di “Come gestire il panico”. Ebbene, nella fattispecie, io sono di parere affatto contrario rispetto all’opinione generale dei mezzi di comunicazione , di qualsivoglia specie e natura, insorti contro la decisione del prestigioso Ateneo, di offrire una “cattedra” pro tempore al Comandante della ex Concordia, così come sono assolutamente discorde con la sostanziale contrarietà dell’opinione pubblica italiana (oserei dire mondiale), nonché con il parere ostile del Governo e di tante altre autorità preposte alla cultura, alla scuola ed all’università e chi più ne ha più ne metta. Nella fattispecie, considero addirittura un’iperbole che ci si opponga, tra l’altro in modo irriverente a plateale (ai limitio della rissa), alla possibilità d’apprendere dalla viva voce di cotanto fellone, di come si deve comportare ed a quali regole ci si debba attenere, in caso di disastro, calamità e quant’altro metta a confronto la fragile natura umana con eventi inaspettati, pericolosi o forieri di sicure disgrazie. Infatti, se si può ben accusare il Comandante Schettino di non saper fare un semplice “inchino”, di non conoscere neppure i primi rudimenti necessari per intrattenere piacevolmente una donna, se si può anche aggiungere che non è, come dire, un gigolò, un festaiolo etc., costituisce atto d’inaudita violenza, impedirgli di “trattare”, in una più che gremia “aula magna” d’un importante Ateneo, un argomento di cui è maestro, anzi professore, qual è quello all’ordine del giorno della Lectio Magistralis. Ovvero quello della “Gestione del panico”, di cui ha dato prova insuperabile in occasione del disastro della “Gabbianara”. Sono, per tanto, pronto a sfidare chiunque, in un pubblico dibattito, vis a vis, magari da tenersi presso la Palestra del Campese, che così servirà a qualche cosa, oppure, se non basta, dall’alto d’un affaccio della S.I.R.M.E.T., che domina il Campo sportivo, in modo da dare alla maggior parte dei Gigliesi, la preziosa opportunità d’ascoltarmi, in merito all’indubbia professionalità del nostro impavido comandante partenopeo nel gestire la paura, aduso qual è ad ad affrontare, senza battere ciglio o stridio di denti i rischi della vita e della navigazione. Chi più e meglio di lui, infatti, può insegnare, perché ne facciano tesoro, ai numerosi e giovani discenti in formazione, iscritti alla facoltà di Medicina, Dipartimento della Psicologia di massa, istituito presso “La Sapienza” di Roma, come si deve “prendere di petto” il panico e scrollarselo di di dosso dimostrando che si è uomini e si hanno le palle per comandare? Chi più e meglio di lui può farlo, se, quando ancora equipaggio e passeggeri della Concordia, non sapendo che pesci prendere, si traccheggiavano, in preda al panico, non sapendo cosa fare, ossia se buttarsi o meno a mare per salvarsi, lui, sprezzante del pericolo, già si trovava al sicuro sugli scogli contro i quali s’era infranta la nave. E la sua azione era stata talmente fulminea, pertinente ed accorta, ai limiti dell’irremovibilità convinta, che per farlo risalire a bordo, a dare una mano c’è stato bisogno che qualcuno, rivoltandolo come un calzino gli gridasse, chairo e forte, “Cazzo! Salga subito a bordo, percorrendo, a ritroso, la “biscaggina”. Non me ne vogliate, ma così la penso io!