La "Pubblica" è dei gigliesi?
Agli inizi del '900 anche all'isola del Giglio cominciarono a costituirsi associazioni di volontariato aventi per scopo l'impegno sociale dell'aiuto reciproco in caso di disgrazie o malattie, associazioni in pratica antesignane di quelle che furono poi le mutue di assistenza malattia. Della “Società di Mutuo Soccorso” che costruì la sala dei Lombi e ne fece la propria sede, si è più volte parlato. Una seconda associazione, avente natura più laica e tendenze politiche filo-repubblicane, fu la “Società Volontaria di Pubblica Assistenza Croce Bianca”. Anche questa seconda associazione ritenne di dover costruire una sede sociale, per cui fece istanza al Comune per avere in concessione un'area di terreno, di proprietà comunale, in aderenza ma esterna alla cinta muraria di Giglio Castello, fra la prima e la seconda porta del paese.
Così, il Consiglio Comunale, riunito in data 15 novembre 1920, con deliberazione n. 9 (Sindaco Giovacchino Arienti, assessori Arienti Mamiliano, Baffigi Loredano, consiglieri Arienti Mamiliano, Bancalà Giovanbattista, Bancalà Mosé, Centurioni Giuseppe, Pini Giovanni, Rossi Giovanni, (assenti Arienti Benedetto, Brizzi Luigi, Mattera Umberto e Schiaffino Mamiliano) prendeva atto della richiesta del presidente dell'associazione “Croce Bianca” che chiedeva “la concessione di un'area di mq 216 di un terreno comunale sito dietro le mura tra le prime due porte d'entrata nel Castello con diritto all'apertura di una porta e due finestre sulla pubblica via della porta e con appoggio alle mura”. Il Consiglio Comunale approvava la proposta con la sola clausola “di riservare al Comune il diritto dell'aria soprastante il fabbricato senza diritto di compenso”. Il conseguente atto notarile fu stipulato in data 18 giugno 1922 fra il Segretario Comunale dell'epoca, Fantappié Roberto fu Teofilo, Arienti Giovacchino Sindaco per il Comune e Lubrani Raffaele Presidente della Croce Bianca.
Nonostante nella delibera di Consiglio si parlasse di “concessione”, nell'atto si “cede gratuitamente” il terreno comunale oggetto della richiesta, riservando al Comune l'aria soprastante per eventuali futuri diritti di sopraelevazione.
A giudicare dallo stato attuale del manufatto, all'epoca furono realizzati i due muri perimetrali, la porta di accesso e le due finestre (vedi foto). La tradizione orale tramanda che non fu mai possibile realizzare il tetto per la mancanza di travi di legno non reperibili in loco (come noto lo stesso problema fu risolto invece dalla “Mutuo Soccorso” nella costruzione del tetto dei Lombi grazie a una personale donazione del Re, che fece tagliare dei pini nella tenuta reale di S. Rossore e che furono trasportati al Giglio con una nave militare. Naturalmente lo stesso trattamento non fu riservato alla “Pubblica Assistenza”, vista la tendenza politica dell'associazione anche se, a onor del vero, non risulta ovviamente essere mai stata fatta analoga istanza al Re).
Nel 1930 il Fascismo volle regimentare anche il volontariato così, con Regio Decreto 84 del 12 febbraio 1930 furono sciolte tutte le associazioni prive di riconoscimento giuridico, furono soppressi i loro Statuti e Consigli Direttivi e ne furono trasferite le competenze alla Croce Rossa Italiana, ulteriormente burocratizzata e parastatale, in una logica funzionale al potere. Nel 1933 il patrimonio immobiliare delle associazioni di pubblica assistenza fu poi assorbito dalla Croce Rossa Italiana.
Nel dopoguerra, il 21 dicembre 1946 si ricostituì la Federazione ad opera delle pubbliche assistenze sopravvissute allo scioglimento.
Da allora, il manufatto gigliese incompleto della “Pubblica” (come si continuava a chiamare sull'isola) rimase catastalmente intestato alla Croce Rossa Italiana.
A parere del sottoscritto tale immobile deve essere considerato a tutti gli effetti ancora di proprietà del Comune di Isola del Giglio per i seguenti motivi:
- Il terreno in oggetto doveva essere dato in “concessione” e, nonostante che nel 1922 sia stato formalmente “ceduto” alla “Croce Bianca”, tale atto era implicitamente subordinato alla realizzazione di un'opera di valenza pubblica e sociale, di fatto mai completata.
- La Croce Rossa Italiana non ha mai esercitato alcun possesso reale sul bene per cui non può essere accampato alcun diritto di usucapione essendosi trattato di sola proprietà nominale, in forza dei fatti descritti.
- Non essendo mai stato costruito il tetto, il diritto sull'aria soprastante, riservatosi a suo tempo dal Comune, è da considerarsi da quota zero, cioè l'intera aria.
Sarebbe pertanto opportuno che l'attuale Amministrazione Comunale di Isola del Giglio acquisisse dei pareri legali e, se possibilisti, procedesse per la riacquisizione al patrimonio comunale di detta area, particolarmente adatta, sia per la posizione che per le condizioni attuali, per organizzazioni di eventi musicali, culturali ecc.
Armando Schiaffino -ex Sindaco dell'Isola del Giglio
UN PRECISO EVENTO STORICO M’INDUCE A RITENERE CHE FU “LA PUBBLICA” AD ASTENERSI DAL RICHIEDERE, AL RE, I TRONCHI DI PINO PER IL TETTO DELLA SEDE ISTITUZIONALE, PIUTTOSTO CHE IL RE A RIFIUTARE IL “SOCCORSO” Credo proprio che l’ex Sindaco Schiaffino abbia ragione in merito al futuro destino del manufatto che, a certe condizioni (che non si sono , in seguito, mai realizzate), dal patrimonio comunale venne trasferito, in proprietà, alla cosiddetta “Pubblica”. E questo proprio in ragione di ciò che sostiene. La parte, invece, in cui l’ipotesi di Schiaffino, a mio modersto parere, risulta forse fallace è quella che “insinua” (detto senza malizia) che, essendo, ”La Pubblica”, di matrice repubblicana, il re dell’epoca, per ragioni, per così dire, ideologico-istituzionali, si sarebbe ben guardato, anche se formalmente niente sembra esistere in merito ad un’eventuale richiesta rivoltagli, dal far pervenire al “sodalizio” repubblicano, i tronchi di pino, necessari per la “travatura” del tetto della sede sociale. Perché mi permetto di dire questo? Mi permetto di dire questo perché ho ben presente (“mutatis mutandis”, ma fino ad un certo punto), la storia del Ravennate Nullo Baldini, di padre socialista e di madre “radical-repubblicana” (si chiamava Caletti e, per questo, il sottoscritto ritiene che la sua origine e quella di Baldini possano essere comuni; comuni in quanto anche i suoi”maggiori” venivano dalle Romagne, in cui c’erano, ed ancora ci sono, famiglie dal “patronimico” Calchetti, Caletti, Caoletti, Coletti e così via). Ebbene Nullo Baldini, uno dei più grandi, in senso assoluto, cooperatori che la storia dei sodalizi socio- economici, derivanti dalle “Misericordie”, ricordi, si trovava a capo del Consorzio delle Cooperative degli “Scarriolanti” di Ravenna (ovvero di quei braccianti romagnoli che ebbero l’onere e l’onore di bonificare le terre paludose di Ostia e Fiumicino), quando cominciò, suo tramite, una specie di “intreccio” epistolare con il Re. Intreccio che fruttò alle Colonie cooperative dell’Agro Romano, impegnate nella “redenzione” delle terre malariche, assai vicine alla residenza reale estiva di Castel Porziano, l’invio, da parte del Sovrano, non solo di aiuti in natura (soprattutto cacciagione ed animali da cortile), ma anche di sostegni finanziari personali, cui si aggiunse la richiesta (regolarmente approvata) di adesione, in qualità di socio-sostenitore, al Consorzio di Produzione e Lavoro di riferimento, nonché il versamento di moltissime quote associative. Questo fatto, mentre spinse Depretis a sostenere l’utilità di sovvenzioni statali alle cooperative, di converso, sortì, appunto per motivi ideologico-istituzionali, la ferma opposizione del Partito Socialista dell’epoca, che letteralmente espulse Nullo Baldini dal registro dei suoi iscritti. Questa ed altre circostanze similari, mi portano quindi, a ritenere più probabile che ”La Pubblica”, di matrice repubblicana, si sia ben guardata dal richiedere “soccorso” al Re per avere i tronchi di pino con cui realizzare il giusto appoggio per il tetto della sede, piuttosto che il Re abbia declinato, al riguardo, una qualche richiesta, ancorché informale.