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RIFLESSIONI SUL TRAGICO EVENTO DEL "NORMAN ATLANTIC" E SULLO STATO DI SICUREZZA DEI VIAGGI PER MARE
Anche se l’espressione, di fatto, non può che denotare l’uso d’una gratuita “tautologia”, alla luce degli ultimissimi eventi accaduti in Adriatico (al largo di Ravenna) e nei mari che ci separano dalla Grecia (tra Patrasso ed Ancona), non posso non rilevare che, per lo più, ogni incidente di mare si traduce in una tragedia, da cui è del tutto occasionale salvarsi.
E questo, per molte ragioni: ragioni che attengono sia la cupidigia di guadagno di armatori e trasportatori, sia Il pressappochismo, l’imperizia, l’arroganza e la fellonia di chi, a volte, comanda questi “mezzi di trasporto”, per passeggeri , turisti o merci, non fa differenza, sia la sostanziale precarietà strutturale dei natanti, studiati e costruiti più per “contenere” che per garantire l’incolumità di chi si trovi a bordo, al cospetto d’un contesto naturale (il mare) che non garantisce né facilita il soccorso, nonché di un contesto atmosferico che, se non provoca l’evento calamitoso, di certo non ausilia le operazioni di salvataggio.
E allora cosa fare?
Onestamente non so dirlo, anche, se di primo acchito, prescindendo del tutto dalle convenienze economiche e, quindi, mettendo in forse, la voglia d’investire in un mezzo di trasporto che, se reso massimamente sicuro, falcidierebbe enormemente i guadagni, mi viene da affermare che la sicurezza dovrebbe, comunque e sempre, prevalere su ogni altra specie di garanzia o salvaguardia patrimoniale, per le quale, comunque, a tariffe differenziate, esistono le compagnie d’assicurazione e riassicurazione, nazionali ed internazionali.
Sicurezza che, a lungo andare, può addirittura portare al rischio di fallimento delle società armatrici o produttrici di viaggi, ordinari o vacanzieri.
Mutatis mutandis e chiedendo venia per l’assimilazione, valga, al riguardo, ciò che, a prescindere da quel che, in passato, è accaduto anche per alcune linee aeree nostrane, è avvenuto per la compagnia di bandiera malese (in via di “statalizzazione” per scongiurarne il fallimento) a seguito dell’aereo scomparso nell’oceano Pacifico, di cui tutt’ora non è stato rintracciato alcunché, nonché di quello recentemente abbattuto ai confini tra la Russia ed l’Ucraina, tant’è che quello, pure malese, d’una compagnia low cost scomparso nei giorni scorsi, non solo ha sparso ulteriore sale sulle molteplici ferite dello stato sovrano della Malesia, ma ha anche gettato, assieme al “terrorismo” dilagante, un ulteriore allarme sul trasporto aereo mondiale.
In verità, sono addivenuto alla decisione di scrivere queste “riflessioni” a seguito di una specifica informazione, messa in onda dall’emittente radio de “Il sole-24 ore”, ieri mattina verso le ore 7,40, appena prima del “notiziario” delle 8,00.
In quel contesto che “parlava” appunto della recentissima tragedia navale accaduta da appena qualche ora e di cui ancora s’ignora il reale numero delle vittime, una redattrice, s’è messa ad elencare, andando indietro nel tempo (fino all’impatto del Titanic contro l’Iceberg che ebbe ad affondarlo), una serie infinita di disgrazie che, enumerando, di volta in volta, le vittime, ha documentato un “ecatombe” pari a decine di miglia di vittime, dispersi compresi.
Ebbene, nell’ascoltare la trasmissione, a prescindere dall’evento Concordia, che ha, in modo più che patente dimostrato quanto sia facile morire anche stando a bordo di natanti dati per arcisicuri, in quanto, per lo meno a parole ed attraverso la pubblicità, garantiscono i più moderni sistemi di sicurezza, fatto salvo, naturalmente, il non ancora risolto approccio alle scialuppe di salvataggio allorché la nave, una volta ripiegata sul fianco, oltre un certo numero di gradi, non solo rende difficoltoso salirvi, ma rende addirittura impossibile “calarle”, m’è venuta da ricordare una “specie di ricognizione ispettiva” che, insieme ad altri soci, per lo più autorevoli, tranne il sottoscritto, della UNICOOP Tirreno di Vignale-Riotoro, ebbi ad effettuare, con tanto di cena e pernottamento a bordo, presso un molo del porto di Civitavecchia, sullo stato d’una nave-traghetto della società di navigazione della Grimaldi, che, se non ricordo male, effettuava servizio trisettimanale tra il più importante “approdo” del Lazio e Barcellona.
L’occasione era data dal fatto che, tra la cooperativa e la società armatrice, era in corso una trattativa per un viaggio (riservato ai soci del sodalizio), che, di fatto, trasformava in una crociera, d’andata e ritorno,nel corso d’un fine settimana, un normale “trasporto” di merci, auto, autotreni e passeggeri.
Anche se, poi, la crociera, con qualche ritardo e qualche disagio “stomachico”, dovuti al mare grosso, ebbe regolarmente luogo, il sottoscritto dette un parere decisamente negativo.
Detti questo parere perché, non solo mi colpì il fatto che la sequenza di cabine con i vari intrecci di percorso, mi parve un vero e proprio labirinto, all’interno del quale, soprattutto in caso di allarme, sarebbe stato difficilissimo orientarsi (a mio parere, infatti, anche solo questa condizione avrebbe imposto che, per far fronte a qualsivoglia evento “calamitoso”, i passeggeri fossero preventivamente addestrati per giorni e giorni), ma anche perché, m’impressionò grandemente il fatto che alcuni ponti e, quindi, moltissimi alloggi, si trovassero sotto il livello del mare, al cospetto di altri ponti e di altri alloggi, talmente alti e panoramici, da implicare ulteriori difficoltà d’accesso ai mezzi di salvataggio in caso di pericolose inclinazioni o sbandamenti del traghetto rispetto al normale assetto di navigazione.
Insomma, di fronte ad un eventuale “accadimento”, dovuto a collisione, incendio, esplosione etc., preludenti ad un ipotetico naufragio, mi prefigurai una vera e propria tragedia, dovuta soprattutto ad incomprensione d’ordini e contrordini, al conseguente “brulicare” irrazionale e scomposto dei passeggeri, ed alle oggettive difficoltà ad approntare e rendere fruibili i diversi strumenti d’ausilio e di soccorso, che pure, sempreché fossero stati realmente funzionali ed efficienti, erano a bordo ed in bella vista.
Senza, inoltre, trascurare il fatto che questo stato di cose, avrebbe anche reso estremamente difficoltoso (a parte il prendere a bordo chi si fosse intanto gettato a mare) ogni tentativo esterno di prestare reale e sostanziale “conforto”, da parte di eventuali “presidi” di soccorso. nel frattempo convenuti sul luogo dell’emergenza, nel caso in cui la nave “incidentata” tendesse, nei casi estremi, irrimediabilmente a riversarsi su un fianco prima di rovesciarsi ed affondare.
Al riguardo, confesso che, poi, in occasione dell’”evento” Concordia, m’è spesso capitato di pensare, inorridendo, a ciò che avrebbe potuto accadere nel caso in cui l’affollatissima nave da Crociera, anziché riversarsi contro lo “scoglio” di Punta Gabbianara, fosse, invece, affondata al largo, ovvero al centro d’un non improbabile triangolo, dai vertici sull’Isola del Giglio, il Promontorio dell’Argentario ed il Golfo di Talamone.
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