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ROSSINI ED IL VELLEITARIO ASPIRANTE COMPOSITORE INGLESE
A volte una piccola cosa, quasi insignificante, come ad esempio, un fiocco di neve in più od un granello in più di sabbia possono provocare, improvvisamente e senza apparente ragione, una valanga, una slavina, una frana.
Cos’è mai un chicco di grano al cospetto d’un immenso granaio?. Meno di niente!. Eppure può bastare anche un solo chicco di grano a provocare un’immane catastrofe.
Ma veniamo al dunque.
A me, questa mattina, nell’aprire il computer e collegarmi con “Giglionews”, è bastato dare uno sguardo alla prima pagina, scorrere rapidamente titoli ed immagini e rimanere colpito da una semplice, quasi insignificante notizia, ossia quella del ritrovamento, nel porto dell’isola, del collo d’una anfora del IV o V secolo dopo Cristo.
Ebbene, mi sono detto, che cosa mai significa una “minutaglia” quale è quella nel contesto d’un Paese, straricco di reperti?
Niente!, ho aggiunto.
Ma, subito dopo, mi sono ancora chiesto, come niente? Quella è Storia? Storia che, appunto, in quanto tale viene preziosamente custodita presso l‘Ufficio Marittimo, in attesa che la Sovraintendenza la prenda in carico e ne garantisca l’ulteriore conservazione.
Quelle sono le nostre radici e, se non ci fossero state quelle, oggi non saremmo qui, nel bene e nel male e, comunque, nel progresso evidente che, solo ad aprire gli occhi, vediamo ci circonda.
Ed allora, dopo queste riflessioni, dando pure una “sbirciatina” ai fatti della “Misericordia”, che, non dobbiamo mai dimenticare, sono alle origine della Cooperazione e della moderne forme di solidarietà ed altruismo, in un attimo s’è rinfocolata in me, la rabbia contro i “rottamatori” contro quei giovani impudenti, che pensano il mondo sia nato con loro, che spetti loro ogni diritto, che i vecchi si facciano da parte e non rompano i coglioni.
Contro questi incolti assertori del “fatti da parte che ci penso io”, mi sovvengono tre aforismi, ovvero quello del filosofo greco Eraclito e quelli del retore romano Cicerone.
Mentre il primo afferma, imperterrito, guardando un fiume, che “tutto scorre” (Panta rhei), l’altro uomo politico e più di mondo rispetto al primo, in quanto al centro della politica di Roma, agli albori dell’Impero, asserisce che, non solo la storia non vuole “salti”, ma anche che la Storia è“testis temporum, lux veritatis magistra atque memoria vetustatis”.
Ebbene, se solo si ha il coraggio di metterli assieme, ci si accorge che, invece d’essere contraddittori l’uno rispetto agli altri, si compenetrano perfettamente dandoci un “tuttuno” che li rende più che complementari addirittura “simbiotici”.
Simbiotici in quanto è di tutta evidenza, e la “sorte” dei Paesi cosiddetti emergenti, da poco usciti dal Colonialismo, ne costituisce la prova provata, che uno Stato, diventato all’improvviso, per ragioni diplomatiche, per guerre, per patteggiamenti ed alleanze, indipendente, ancorché s’arricchisca rapidamente, passando dal Medioevo alla Modernità, e non s’evolva, di pari passo, nei costumi, nelle consuetudini di vita, nell’emancipazione politico-economica, nell’incardinamento convinto di diritti e doveri, anziché progredire, finisce per regredire nelle faide, nelle guerre, nei fondamentalismi ideologico-religiosi, nelle violenze, nelle sopraffazioni più sfrenate e così via.
Assaggiare la Democrazia, non è come possederla e praticarla. La prima costituisce un “sapore”, le altre due sono uno stato di fatto, tangibile ed imprescindibile, da salvaguardare ad ogni costo per godere l’uguaglianza, la comune giustizia, la generale libertà e la parità dei diritti e dei doveri, senza discriminazioni di sorta.
E questo lo si ottiene, alla luce di quel che è stato il passato, solo trasferendo al presente e per il futuro, cultura, esperienze, sperimentazioni, presa d’atto d’errori e di successi, di fallimenti e di conquiste, acciocchè chi segue, affiancato, instradato, istruito, con pazienza e con metodo, da chi lo ha preceduto e lo preceda, non corra i medesimi rischi, bensì s’avvii verso ulteriori graticanti traguardi.
Chi saremmo dunque noi, con riferimento specifico al reperto archeologico, rinvenuto nel Porto del Giglio, se i nostri antenati non avessero acceso un fuoco per la prima volta, o non avessero levigato, per la prima volta una selce, per cacciare, per tagliare e, magari, anche per “abbattere”? Saremmo appena il “prototipo” dell’Homo sapiens, pieno di potenzialità non espresse, ma ancora del tutto privo di mezzi per “realizzarle”.
Dovremmo, insomma, ricomiciare tutto da capo.
Ed allora cosa mai significa questo “fateci largo che arriviamo noi, che per voi è già pronto lo sfasciacarrozze”.
E la Storia, la nostra Storia, le fatiche spese per allevare ancora nuove generazioni che, se non ci fossimo stati, non avrebbero un futuro, non contano niente? Siamo solo da buttare o da relegare ignorati in un canto tra la polvere e le cose di scarto?
Queste sono, dunque, le nuove generazioni che incalzano e che , giorno dietro giorno, sono sempre più arroganti, siccome sono convinte che l’amore è solo un fatto meccanico, che i sentimenti sono un freno e che ci penseranno loro, come diceva Vladimir Vladimirovic Majakovsky per l’Armata Rossa, a rompere la “rozza” della Storia, perché la Storia sono loro ed il mondo, che gira da tempo infinito attorno al sole, a prescindere da Galileo, è nato con loro.
Per chi voglia intendermi e, magari, capire meglio perché mai parli d’improvvisatori e presuntuosi spacconi quando scrivo di Renzi e dell’”accolta” d’imberbi, di cui, per lo più, si circonda (tutti “saputoni”e cresciuti, come suol dirsi, nell’ovatta) ed innalza, senza pudori, ai fastigi delle più alte e delicate “funzioni” dello Stato, aggiungerò solo una cosa, un episodio che riguarda il grande musicista Rossini ed un giovane, nobile, compositore inglese, che l’aveva gratificato d’una missiva contenente, oltre ai più sperticati apprezzamenti, anche una sua composizione che, parendogli la “quint’essenza” della genialità, gli chiedeva di giudicare. Dopo qualche giorno, non avendo ancora ricevuto risposta dal maestro, il giovane fece in modo d’incontrarlo nel corso d’una passeggiata che ambedue effettuavano, abitudinariamente, in un parco di Londra.
Appena Rossini gli fu davanti, dopo averlo salutato più che cerimoniosamente (cosa che non piacque a Rossini), ardì chiedergli se aveavesse ricevuto la sua lettera e la “composizione” allegata e cosa mai pensasse, in tutta sincerità, del suo lavoro.
Ebbene, ebbe in risposta quanto segue: “Debbo confessarle che nel suo lavoro c’è del bello e c’è del nuovo. Peccato, però, che mentre il bello non è nuovo, il nuovo non è bello!”.
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