Una strana epidemia fra le capre nel 1842
La presenza di popolazioni di capre selvatiche nelle isole del mar Tirreno (oggi presenti solo nell’isola di Montecristo) è sicuramente testimoniata in epoche storiche passate, se non altro dai nomi delle isole stesse: Capri, Capraia, Caprera ecc. (quelli derivanti dal termine latino capra-caprae) o Egadi, Giglio ecc. (quelle invece derivanti dal termine greco αἴξ, αἰγός); in particolare per l’isola del Giglio è noto che il suo nome non ha niente a che vedere con l’omonimo fiore chiamato in latino Lilium, ma deriva da una evoluzione del termine Aighilion, Aegilium, Igilium, Gilium, Gilio e, finalmente, dal 1261, Giglio.
Con l'articolo che vi proponiamo (vedi sotto), pubblicato sulla rivista “Argentariana” del Centro Studi Don Pietro Fanciulli di Porto Santo Stefano (numero 8 – Anno II – Dicembre 2018), Armando Schiaffino ci racconta di una strana epidemia tra le capre dell'isola che nel 1842 sterminò circa 150 esemplari. L'autore riporta le relazioni sanitarie della commissione dell'epoca cercando di comprendere, alla luce delle conoscenze mediche attuali, le possibili cause dell'epidemia: "Nel primo rapporto, la Commissione lamenta l’omissione dei medici che operavano all’epoca al Giglio di non aver denunciato subito l’accaduto; pertanto mancarono non solo testimonianze dirette di persone qualificate a descrivere i sintomi che poi portarono a morte gli animali ma non furono neppure eseguite le necessarie e opportune autopsie...". (LEGGI TUTTO L'ARTICOLO ...)
L’epidemia del 1842 risulta essere particolarmente interessante da un punto di vista epidemiologico in quanto ha avuto luogo in un ambiente circoscritto ed ha interessato un ristretto numero di capi. Nonostante le scarse conoscenze scientifiche dell’epoca e quindi l’impossibilità di definire una causa dell’accaduto, ad oggi, come scrive il dott. Armando Schiaffino, grazie ai rapporti della Regia Commissione Sanitaria dell’epoca, risulta essere più facile ipotizzare un agente eziologico che possa aver causato la morte di un intero gregge. La sintomatologia descritta non comprende vomito, diarrea, febbre e malattie polmonari, ma evidenti segni di incoordinazione motoria che possono far presagire un disturbo di tipo neurologico. Basandosi esclusivamente sulle “vertigini”, ed azzardando una ipotetica diagnosi, la Visna Maedi potrebbe considerarsi una possibile causa dell’epidemia. La Visna Maedi comprende infatti un insieme di malattie virali degli ovini e dei caprini che colpiscono i polmoni e, una forma in particolare, anche il sistema nervoso centrale. Il virus da sintomi di tipo respiratorio, neurologico e mammario a seconda dell’età del soggetto colpito. Nella forma a carico del sistema nervoso centrale vengono compromessi midollo osseo e cervello provocando agli animali affetti disturbi locomotori di tipo neurologico che possono sfociare in immobilità e conseguente decesso. Il contagio inoltre può avvenire semplicemente per contatto diretto tra animali attraverso la condivisione di mangiatoie e abbeveratoi. In un ambiente ristretto e nel contesto di un piccolo gregge quindi la causa di un’insorgenza epidemiologica così violenta potrebbe essere ricercata nel virus Visna Maedi, appartenente al genere Lentivirus, proprio per la sua particolare contagiosità, mortalità e per la tipica sintomatologia neurologica. L’ipotesi che un’epidemia del genere sia stata causata da infezioni di tipo microbico sostenute da clostridi (clostridium butyrricum e clostridum perfringes) potrebbe considerarsi verosimile ma è necessario prestare attenzione all’andamento della sopracitata infezione. Infatti la presenza di clostridi in ovini e caprini risulta essere molto comune se non ordinaria. Come descritto, questi organismi possono risultare molto pericolosi non tanto per se stessi ma per la loro capacità di produrre neurotossine altamente mortali. Bisogna specificare però che la produzione di quest’ultime avviene esclusivamente se l’animale è al contempo alterato da altri specifici fattori esterni di tipo patologico, ambientale, alimentare etc. Qui risiede l’improbabilità che un intero gregge sia deceduto esclusivamente a causa dei clostridi in quanto ogni capo avrebbe dovuto avere almeno un altro tipo di disturbo esterno ai batteri in grado di immunodeprimere l’animale e scatenare una conseguente produzione di neurotossine.