Uno dei vari quesiti che si sono spesso posti gli appassionati di storia locale è se l'isola del Giglio sia stata abitata ininterrottamente fin da epoche remote o vi siano stati periodi in cui la presenza umana stanziale, a causa delle precarie condizioni logistiche legate all'insularità, abbia avuto delle soluzioni di continuo. Senza voler riproporre notizie già note e pubblicate in studi di ineccepibile spessore specialistico, è documentata la presenza umana nell'isola in epoche preistoriche e, per la zona del Campese, è dimostrata la presenza di un'attività metallurgica legata alla presenza di miniere di pirite fino dagli inizi dell'età del ferro, come dimostrato dal rinvenimento di un ripostiglio di bronzi, attualmente esposto al museo archeologico di Grosseto.
Sempre al Campese esiste una zona, precisamente il località “Castellare”, che sembra essere stata urbanizzata, pur in maniera discontinua, nella media età del bronzo, nel VI° secolo a.C. e infine, in età ellenistica (periodo convenzionalmente compreso fra le date delle morte di Alessandro Magno -323 a.C.- e della caduta del regno d'Egitto sotto il dominio di Roma -30 a.C.- caratterizzato dalla diffusione della lingua e della cultura greca in tutto il mondo mediterraneo e nel vicino Oriente). A tale insediamento molti studiosi hanno riconosciuto soltanto un alto valore legato alla funzione di scalo commerciale nell'organizzazione portuale dei traffici del mar Tirreno, sia dal punto di vista dei traffici marittimi locali, sia per la storia del commercio greco arcaico. Tale interpretazione sembrerebbe confermata, fra varie altre argomentazioni, dai risultati dello scavo sul relitto della nave oneraria del secco dei Pignocchi, diretto negli anni '80 dello scorso secolo dal prof. Mensun Bound. Il naufragio avvenne presumibilmente nel decennio 590-580 a.C. e lo scavo ha dimostrato che la nave trasportava un carico estremamente eterogeneo di merci, tra cui ceramiche greche di varia provenienza, ed apparteneva sicuramente a un “naukleros”, ovvero a un armatore greco-orientale che aveva, come era frequente in quel periodo, intensi rapporti commerciali con le aristocrazie etrusche, che concedevano con favore luoghi e spazi di accoglienza.
Limitatamente a un successivo periodo storico (le guerre fra Roma e Cartagine) l'insediamento del Castellare del Campese, al pari di quello di Giglio Porto, è stato anche interpretato come postazione militare Romana in funzione antipunica.
Naturalmente le circostanze descritte non sono indicative e probanti di un insediamento stabile nella zona del Campese in quei lontani periodi. Anzi, in uno studio di Ciampoltrini-Rendini sull'argomento, si afferma che “l'insediamento ellenistico del Castellare (del Campese – ndr) sembra dunque contemporaneo a quello di Giglio Porto e, come questo, legato a una particolare situazione di emergenza, rivelatasi di breve durata, che esigeva un'articolata linea difensiva e di vigilanza lungo le vie marittime del Tirreno ….”.
Ciò nonostante si può ragionevolmente supporre che esistesse invece, all'epoca, un insediamento umano non solo stabile ma anche socialmente ben strutturato, che trovava la propria ragione di essere non solo nella funzione di scalo marittimo, ma anche di altre attività a valenza più strettamente locale, come le attività minerarie di sfruttamento dei giacimenti di pirite, documentate dal ritrovamento di scorie della lavorazione del ferro nonché dalla presenza, in loco, di cave di granito, materiale utile, all'epoca, per la costruzione delle ancore; la presenza di bozze di ancore di granito rinvenute sul relitto dei Pignocchi sembrerebbe indicare nella necessità di rifornirsi di questo tipo di attrezzatura marinaresca il motivo dello scalo al Campese della nave poi naufragata.
Ma un'altra attività che con buona probabilità potrebbe essere stata esercitata in quel periodo è la pesca, vista la naturale vocazione del luogo, e magari un tipo di pesca organizzato e strutturato in maniera complessa. La dottoressa Paola Rendini, della Soprintendenza Archeologica della Toscana, ha individuato (e descritto in un articolo del 2001) i resti di un vero e proprio impianto per la lavorazione del pesce conservato sull'isolotto dell'”Isolella”, dove oggi sorge la torre del Campese, anche se attribuisce la datazione dell'impianto ad epoca Romana, precisamente alla prima epoca imperiale.
I dati archeologici non consentono, sull'argomento, di ipotizzare la presenza di tale tipo di industria in epoche anteriori. Una interessante indicazione in questo senso potrebbe però derivare da alcune considerazioni di topografia antica. La spiaggia del Campese, in posizione immediatamente prospiciente la collinetta del Castellare, è divisa in due parti da un promontorio granitico detto “Aglialochi”. I numerosi tentativi di vari studiosi sull'interpretazione etimologica di tale strano toponimo avevano dato, ad oggi, risultati inattendibili (inutile riportare tutte le ipotesi ventilate, dalla improbabile presenza di agli selvatici sul promontorio all'altrettanto aleatoria possibilità di una sua passata funzione di luogo di segnalazioni luminose ecc.).
Recentemente Alvino Pini (non un filologo ma un comandante di marina in pensione!) sembrerebbe avere avuto una intuizione definitiva sulla soluzione di tale problema, ricollegando l'origine del nome alle naturali attività di pesca marittima del luogo. Infatti è ipotizzabile che il toponimo risalga al periodo “ellenistico” (cioè greco) dell'insediamento del Campese e trovi la sua radice nel termine “ALIEIA” che in greco antico significa pesca; più precisamente ancora nel termine “ALIELOXOS” che significa “società di pesca” (e qui l'assonanza con il toponimo “AGLIALOCHI” è totale, da cui ne risulta assolutamente convincente l'ipotesi).
Il termine “ALIELOKOS” comprova quindi l'esistenza di una struttura organizzata di pesca marittima nel golfo del Campese in epoche arcaiche ed assume una singolarissima valenza di reperto archeologico “sui generis”, incredibilmente sopravvissuto ai millenni per comprovare non solo le circostanze sopra descritte ma anche per provare che, in tutte le epoche storiche, l'isola del Giglio è sempre stata ininterrottamente abitata: infatti è indiscutibile che qualcuno deve avere necessariamente provveduto a trasmettere nel tempo, attraverso l'immateriale testimonianza della tradizione orale, questo particolarissimo termine lessicale con cui, ancora oggi, all'isola del Giglio, si denomina il promontorio degli “AGLIALOCHI”.
Armando Schiaffino
Grazie per averci svelato il mistero del nome di un luogo che resterà, per noi bimbi degli anni Cinquanta, un posto mitico e avvolto per sempre da un'aura fiabesca. La tana, il nido, la culla, dove le mamme coccolavano e tenevano a bada i propri figli, in attesa di fare, finalmente, un bagno tutti insieme allegramente!