A Peppe di Simone il 19° Remo d'Oro "Giuseppe Cataldo"
E’ stato consegnato nella notte del 10 Agosto, durante le premiazioni del 48° Palio Marinaro, il 19° Remo d’Oro, - riconoscimento che la famiglia Cataldo assegna ogni anno in ricordo del loro figlio Giuseppe - ad un vogatore della tradizionale regata remiera.
Quest’anno il 43% dei lettori, che hanno partecipato al sondaggio di GiglioNews delle settimane scorse, ha scelto di assegnare il Remo d’Oro a Giuseppe Depoliti detto Peppe di Simone. Gli altri finalisti Alessandro Galli e Renè Gioia si sono fermati rispettivamente al 37% e 20%.
“Ricevere questo premio inatteso - dice Peppe - mi ha dato grande gioia ed emozione che a fatica, sul palco, sono riuscito a nascondere. Terrò la targa del Remo d’Oro con l’orgoglio di aver dato la mia energia giovanile ai remi, ai compagni e alla storia del Palio Marinaro nel rispetto del Mare che mi dà l’energia di viverlo ogni giorno con la pesca a tramaglio.”
Ma chi è, veramente Giuseppe Depoliti?
I PIEDI DI MARE * Una piccola foto in bianco e nero, quadrata, con i bordi smerlati, mostra un bimbo che ha meno di un anno e sta seduto a prua di una barca da pesca nuova fiammante del nonno paterno.
La cuffia di lana orna un visino paffuto e sorridente. Dietro la schiena, avvolta da un golfino, s’intravede un braccio che lo sostiene amorevolmente. Il campo è tutto per lui.
A guardare quella foto e conoscendo il bimbo oggi più che sessantenne, viene da pensare che tutto fosse stato predisposto da un disegno arcano. Una creatura destinata ad un unico, ininterrotto mestiere: quello del pescatore come i suoi avi. Il bimbo sulla barca è Giuseppe Depoliti. Gigliese verace e Portolano doc. chiamato da tutti Peppe di Simone e un destino cucito sulla pelle.
Il pescatore, col volto eternamente brunito dalla salsedine, bello di storia semplice ed antica, si muove nel Porto, un tempo spiaggia e terra di bastimenti, con la discrezione e l’umiltà delle persone conosciute da tutti ma schive e riservate. Articolando le lunghe gambe svelte, passa tra la gente che affolla le vie, i tavoli dei bar come l’onda sulla spiaggia: mai completamente fermo, mai completamente a terra. Assistere al rientro della paranza di Peppe è una fortuna. Lascia emozioni sommesse. L’uomo non parla, forse neanche lo sa ma il suo passaggio imprime in chi guarda da lontano, il sogno di poter superare i confini delle proprie parole o i limiti affrontati da Ulisse.
Quel giorno, sulla spiaggia dell’Arenella gli ombrelloni colorati celavano allo mio sguardo campioni di umanità distesa al sole estivo. Al largo, il mare donava colori creati dal suo abisso, un abisso che nessuno dovrebbe mai oltraggiare. Onde azzurre e verdi accoglievano la barca chiara che arrivava silenziosa da nord-est dell’isola. Tagliava l’Isolotto gremito di pattini e passava davanti all’Arenella solcando il Calice. Poi scompariva come una nuvola diafana dietro la scogliera del Lazzaretto. Vederla arrivare al Porto virando alla Gabbianara, era la scia che si allargava tra le onde - accompagnata da un nugolo di gabbiani - a suggerirlo.
Appena percettibile il rimbombo del motore e la figura di Peppe, curva sulle reti. Ogni tanto i gabbiani si agitavano, si buttavano in picchiata: il Pescatore buttava in mare la mangianza incastrata nei tramagli.
Tutto allora mi appariva come una visione magica: quella era la barca di capitan Uncino, una barca che volava sul mare increspato, portando i sogni alla gente che a terra guardava. Gli uccelli marini erano la polvere di Campanellino e Peppe, l’unico Peter Pan nella sua favola quotidiana senza ombra e senza macchia, per un’Isola che non c’è e che conosce soltanto lui: il ragazzone dai piedi di mare.
Palma Silvestri
* estrapolato da “Storia del Pescatore Peppe di Simone” da me scritta ed inedita.
UN “CIRIBERGOLO” DI STiLE E CONTENUTI Pochi sanno, oltre agli addetti ai lavori, quanta fatica ed ansia costi scrivere, sia in versi che in prosa. E quanto pure, fatti salvi quelli che “trattano” solo la cronaca, bisogna essere “visionari”, per poter narrare e descrivere gli “eventi” su cui, per sorte o per scelta, si riferisce. Giorni addietro, per fare un esempio, sentendo il bisogno, quantomeno per dovere e per rispetto di chi aveva letto ed apprezzato (tra singoli individui e gruppi aggregati, circa cento persone) una mia poesia su Orbetello, intitolata “Il mio Paese” e pubblicata, tramite l’Avvocato Matteo Mittica (figlio d’uno dei miei più grandi amici, purtroppo scomparso, per il quale pure ho scritto versi commemorativi della morte), su “Orbetello Amarcord”, mi sono concesso di scrivere, chiamandola, appunto “Esegesi d’una Poesia”, la storia di quei versi. Ebbene, quella poesia, di fatto ignorata dal Sindaco lagunare, cui, per primo, l’avevo fatta avere, m’è costata oltre trent’anni di fatiche ed ansie. Fatiche ed ansie dovute alla sostanziale, perenne insoddisfazione per quel che si scrive fino alla definitiva stesura ed, a volte, anche oltre. Insoddisfazione, da cui derivano, tenendola sempre a mente, giorno dietro giorno ed, a volte, anche di notte, come un incubo, quale compito da completare od imperativo categorico cui sottostare, correzioni, cancellature, integrazioni, tagli, aggiunte e così via, finché non si è esausti (il termine “giusto” per completare, al 100%, un’altra composizione, l’ho trovato solo dieci anni dopo la prima stesura). Ma perché mai questo preambolo (cosa mai c’“azzecca” direbbe Di Pietro), in calce a quell’elegia, a quel ritratto, a quel perfetto lavoro di bulino, a quel ricamo, quasi un “ciribergolo” tra stile e contenuti, detto alla fiorentina, che Silvestra ha saputo “tracciare”, in meno d’una pagina, della “figura”, sostanzialmente “grifagna”, segaligna e corrusca, di chi ha ricevuto, non senza un certo imbarazzo ed un accenno di commozione, non ostante il 48% dei “consensi”, “Il 19° remo d’oro, Giuseppe Cataldo”, ovvero Giuseppe Depoliti, detto, alla gigliese, Peppe di Simone, che, per ironia della sorte e siccome il tempo passa, in una foto d’epoca, a meno d’un anno d’età, appariva, invece, compiaciuto, paffuto e sorridente? C’entra e c’azzecca quanto scritto in premessa. C’entra e c’azzecca perché la storia, la bella storia che accompagna il personaggio, come Sivestra chiarisce alla fine, è una storia talmente visionaria ed articolata che rasenta la favola; ossia una storia che non poteva essere stata scritta, all”impronta”, da un giorno all’altro, bensì nel tempo e col tempo, soppesando, parola per parola e con fatica, ogni concetto ed ogni espressione, vagando nel mondo fantasioso e fantastico della pirateria, ché agli occhi d’una bimba, all’Arenella, un marinaio, sopra una barca ciclicamente bordeggiante, magari in pieno sole, poco discosto dalla riva, non poteva che, intuitivamente richiamare l’”avventura” di Capitan Uncino, Peter Pan, Campanellino e tant’altri bucanieri veleggianti, al largo dei Caraibi, su imponenti Galeoni dalle Polene scolpite e protese sul “grande mare Oceano” di Pablo Neruda.