Ancora su "Memorie Sommerse"
Leggere la comunicazione dell'avvio del progetto 'Memorie Sommerse', promosso dall'Associazione Underwater Pro Tour che tanto interesse ha suscitato negli alunni della Scuola Media (R. Maltini) di Giglio Porto, è stato un piacere e "un tuffo" nel passato. Gabriella Poggesi – collega archeologa della Soprintendenza Archeologica della Toscana – suggerì quel titolo quando il Soprintendente Francesco Nicosia ci propose di realizzare una mostra sulle ricerche di archeologia subacquea in Toscana, dall'inizio della disciplina agli anni '80-'90 del secolo scorso.
La mostra, inaugurata nel 1997 nella Fortezza Spagnola di Porto Santo Stefano, con il suggestivo allestimento di Franco Ceschi, fu poi ristrutturata e arricchita con gli straordinari materiali del relitto arcaico (VI secolo a.C.) del Campese, scavato da Mensun Bound ed è tuttora visibile come mostra permanente. In essa il benvenuto ai visitatori, continuano a darlo, nella corte d'ingresso, le anfore della nave naufragata davanti al porto, indagata negli anni 1984-1988, mentre nello spazio dedicato allo stesso relitto al primo piano, sono raccolti, oltre alle anfore con bollo, anche gli oggetti d'uso quotidiano dell'equipaggio, brocche, piatti, pentole, bicchieri, ma anche ami e piombi da pesca, che permettono di ricostruire la vita di bordo di una nave romana di III secolo d.C., destinata al trasporto di anfore di origine africana contenenti garum o pesce in salamoia.
L'impressione provata dai subacquei (tutti volontari) collaboratori della Soprintendenza nello scavo, scendendo verso la batimetrica dei 40 m, si prova ancora di fronte alla scenografica ricostruzione della nave, con le anfore diritte sul fasciame ligneo, realizzata al MAAM di Grosseto, nel rigoroso rispetto della documentazione redatta durante lo scavo.
Auguro agli studenti gigliesi di apprezzare presto, con lo stesso entusiasmo dimostrato nell'ascoltare e vedere i contenuti dell'incontro, una visita a questi musei, perché il contatto diretto con i materiali rende indimenticabile e più comprensibile qualsiasi presentazione, anche quella più competente e approfondita.
Nella mostra di Porto Santo Stefano mancava un relitto gigliese, quello perfettamente conservato, scoperto nel 1961 presso gli scogli de Le Scole, a - 50 m, una profondità proibitiva all'epoca, per la strumentazione a disposizione. Non ostante queste obiettive difficoltà, una folla di clandestini – incuriositi forse dalla forma, "desueta" all'epoca, di quelle anfore a siluro, di produzione africana, di età tardoromana (IV-V secolo d.C.) – portò a compimento uno dei primi saccheggi della storia dell'archeologia subacquea, i cui devastanti effetti furono contenuti dalla decisione dei lungimiranti responsabili della Soprintendenza, delle Forze dell'ordine e del Comune di recuperare le anfore residue, con l'aiuto dei volontari, gigliesi e non, capaci di immergersi a quella profondità. La vicenda si concluse, nel 1962, con l'atto formale di deposito "in via provvisoria" al Comune dei materiali di recupero sottomarino di proprietà dello Stato, tra cui le anfore de Le Scole. Il Comune si impegnava a garantire la conservazione di quel patrimonio, nelle forme prescritte dalla Soprintendenza, perché in quegli anni si viveva nell'ottimistica certezza che in tempi rapidi un antiquarium avrebbe raccolto la massa crescente di reperti rinvenuti sott'acqua e in terraferma al Giglio. Per lo stesso motivo nel 1997 rimasero al Giglio le anfore de Le Scole, nella convinzione che i problemi di restauro della Rocca Pisana a fossero in via di risoluzione.
Sono tornata a questi remoti episodi non solo perché il passato ... continua a condizionare il presente, ma anche perché non mi sembra condivisibile l'idea che parlare di argomenti archeologici possa annoiare "la maggior parte delle scolaresche", la reazione favorevole degli studenti gigliesi lo smentisce.
Tuttavia il progetto coglierà nel segno, se riuscirà a trasmettere, in forma divulgativa, chiara ma rigorosa, con competenza e passione quanto riguarda la storia, la cultura, il passato di un territorio così ricco e multiforme, anche se non sfugge a nessuno che far parlare i ruderi romani ancora visibili a Giglio Porto, documenti di un passato significativo ma non sempre così immediatamente comprensibile, richiede – oltre alla passione – anche competenze specifiche ... per capirci nella peschiera della cala del Saraceno non si sono mai allevate murene!
Gent.ma Dott.ssa Rendini, leggiamo con piacere il Suo intervento, sapendo quanto Lei sia legata professionalmente e non all’Isola del Giglio, così come siamo contenti che l’iniziativa abbia riscontrato il favore e l’interesse della comunità gigliese ma anche degli ‘addetti ai lavori’, cioè di Voi archeologi che lavorate o avete lavorato sul campo gigliese. Proprio per la considerazione che abbiamo per i Suoi lavori passati e speriamo per altri che verranno al Giglio, ci tenevamo a precisare che la definizione di murenario utilizzata nell’articolo, è sì errata, ma, in realtà, quello del Saraceno è conosciuto da tutti con il nome di ‘murenario’, che lo fosse in passato oppure no, quindi ci è sembrato il termine più giusto, o più attuale, se vogliamo, per definire ‘quel’ sito. Ai ragazzi, durante il nostro incontro (non abbiamo l'ardire di chiamrla lezione), tra l'altro preparato anche sulla Sua pubblicazione 'Impianti per la lavorazione di pesce conservato al Giglio e a Giannutri’ e su quella di G. Schmiedt, è stato chiaramente spiegato che si tratta di una peschiera che spesso 'accompagnava' le grandi ville romane come segno di lustro, potere e disponibilità economiche del proprietario, e che veniva utilizzata per una generica attività di allevamento di specie marine come era solito fare il popolo Romano. E' poi stato spiegato che, nell'ambito dell'attività di allevamento, le specie marine che popolavano le peschiere romane, c'era anche la murena (in merito alla quale abbiamo raccontato anche qualche aneddoto). Abbiamo poi rimandato al futuro incontro un approfondimento di biologia marina (materia sicuramente più nelle nostre corde) sulle creature che venivano allevate dai romani. L'archeologia è sicuramente una materia affascinante, e merita molto più di qualche appuntamento sporadico. Sarebbe bello, a questo proposito, poter organizzare degli incontri proprio con tutti Voi, che siete profondi conoscitori del territorio, della storia e di tutto quanto può rappresentare una sorta di filo di unione, di radice, tra la popolazione attuale e chi visse l'isola in altre epoche. Gli stessi ragazzi presenti, ma, Le assicuro, anche cittadini oltre l'età scolare, ci hanno chiesto perchè non organizzare qualcosa che mostri loro i risultati dell'attività di scavo e di recupero effettuata negli anni qui al Giglio. Qualcosa con chi è studioso nella materia ed ha lavorato sul campo, senza togliere a tutti coloro che, come noi del resto, si adoperano spinti dalla passione, La ringraziamo per l'attenzione che, con nostro grande piacere, ha posto nell'iniziativa, e la salutiamo con simpatia e stima.