Cronaca di una tragedia gigliese
Il seguente racconto da me scritto e offerto ad Ivio Lubrani come inserto al suo bel libro “I Minatori del Giglio” edito da Primamedia Editore, oggi lo propongo in versione integrale; cioè, con quella punteggiatura che, essendo questa una storia vera, curai per dare ritmo alle sequenze e all’emotiva situazione di quei momenti terribili. Storia di un passato remoto, quando appunto, l’Isola del Giglio rifletteva se stessa in un tempo fuori dal tempo, ma da ricordare perché accaduta oggi 20 dicembre - 67 anni fa, per concludersi tristemente il giorno dopo: cioè il 21.
Cronaca di una tragedia gigliese
“Leggete la storia penosa e tragica di un uomo che fu vittima del lavoro quando l’isola del Giglio specchiava nel mare un altro mondo che il tempo ha cancellato; dove il pronto intervento si riduceva a correre a rompicollo tra sassi e greppe e dove a nulla valse l’estrema volontà dei compagni di volerlo salvare affrontando la furia tempestosa della Natura, che invece, crudele, vinse. Piangete con lui le altre vittime che dal buio della miniera passarono al buio della morte in nome del dovere e dell’amore verso la famiglia. Il mio amaro canto è per tutti loro.”
Venti dicembre 1947, mancavano soltanto cinque giorni a natale e i due figli, a casa, aspettavano eccitati il loro babbo che aveva promesso di accompagnarli nel bosco dell’Acqua Selvaggia per trovare l’albero da addobbare.
Ore 19.30 - Ancora poche ore e sarebbe finito il secondo turno; bisognava soltanto staccare l’ultimo ma tenace blocco di pirite da quella maledetta parete, poi gli uomini, sarebbero tornati in superficie all’aria notturna e gelata di quella sera, ma laggiù sotto terra, nella miniera del Campese qualcosa non funzionò e la sirena d’allarme attaccò a suonare.
Quel suono lugubre altre volte vissuto dalle donne del Giglio, arrivò al poggio della Costa e salì, spinto dal ventaccio gelido di ponente, sino al Castello; penetrò le antiche mura e con prepotenza entrò nei vicoli, insinuandosi negli animi assonnati della brava gente che si affacciava ai baschetti ormai oscuri, con presagio di sicura tragedia.
Ore 20.30 - L’operaio Beppino di Canditella, passando per il sentiero del Bastone, corre al Paese e bussa trafelato all’uscio di quei due bimbi. Ignari. Barberina Bartoli, dopo un abbraccio ai figli, che lascia alla zia Maria detta la Reppa, col cuore in tumulto s’ infila uno scialle ed entra nella tragedia della sua vita.
I minatori turnisti escono dalle gallerie; sui volti stanchi, nello sguardo, una muta domanda: “Questa volta a chi è toccato?”
Ore 22.00 - Pietro Anichini, operaio minatore detto Baffetti per un certo simpatico modo di portare i baffi, colpito gravemente da quel blocco che gli tranciò una gamba, dopo un primo soccorso all’infermeria delle Schiacce - priva di un effettivo infermiere - fu portato allo scalettino della torre, dove il dottor Pozzolini, che stava scendendo dal Paese in groppa d’asino, lo avrebbe soccorso e accompagnato via mare, all’ospedale di Orbetello.
Le notizie, concitate e frammentarie tra il direttore della miniera, il capitano del vapore di linea My Fly ed un operaio troppo spaventato, (che, corso al Porto dal capitano, torna fornendo la sua versione del verbo “aspettare”), rallentano la corsa verso la probabile salvezza: qualcuno aveva capito di aspettare la nave presso la torre medicea, ma come poteva col ponente che batteva violento proprio nella baia? Infatti, il piroscafo, impedito dalla mareggiata non si mosse dall’ancora ma restò ad aspettare. In all’erta.
Ore 24.00 - Disposti a tutto pur di salvare l’amico e padre di famiglia, i compagni prelevarono il Gozzo del pescatore Albertino detto il Dorme e affrontando i marosi partirono alla volta del vapore. Con loro era anche il medico e il direttore della miniera. La barca, circondata dalla notte e dalla tempesta ma carica di speranza, correva e tornava misero foglio di carta, in un mare che da prua schizzava fantasmi neri illuminati a tratti da una flebile lampara a calzetta.
Per due, tre volte, tentarono.
L’ultima, dopo un rischio di capovolgimento in prossimità del Fenaio, disperati: ritornarono.
Ventuno dicembre, ore 4.00 - Continua la tempesta di vento gelido e non c’è la luna a schiarire la tragica notte, ma i piedi dei minatori sono avvezzi al buio e, in un estremo tentativo che solo la rabbia dell’impotenza sprona, posto l’uomo ferito a morte su una barella rimediata con una scala a pioli, lo portano in spalla verso il bivio, salendo la mulattiera delle Grotte.
Il compagno di lavoro e di vita - Cerbone, sarà sempre accanto a lui.
L’avverso destino, oltre alla nave, aveva bloccato a causa del gelo, i motori delle pochissime macchine esistenti sull’isola e usufruibili nell’unica strada carrozzabile Castello-Porto, ma Aroldo Brizzi riuscì a sbloccare il suo gippone e presso la Fontuccia, attese e raccolse quegli uomini eroici.
Ore 5.00 - Alba, che nell’incanto della natura gigliese, mille volte ti presenti simile a colori profumati nel silenzio e nella calma del mare, quel giorno accogliesti la nave e il minatore piangendo colori grigi e freddi.
Ore 7.00 - Nell’ospedale di Orbetello, Pietro lotta contro la morte.
Mattina del 21 dicembre 1947. “Tieni da conto i bimbi” rantolò Pietro a Barberina.
La donna nascondendo gli occhi gonfi rispose: …Si…
La tomba di Baffetti si trova in un loculo a terra, sul lato sinistro del camposanto, nel fondo che guarda “Barbarossa”, al Castello.
Sulla lapide è scritto:
Anichini Pietro
N: 21 – 12 – 1894 M: 21 – 12 – 1947
“Lavoro e famiglia furono la ragione della sua vita – Un tragico infortunio lo tolse all’affetto dei suoi cari, che inconsolabili, posero.
Palma Silvestri
Triste storia e ancora più triste il finale soprattutto perché noi sappiamo che questa e' la pura verità seppure raccontata con molta delicatezza e sensibilita'. Fra le righe io leggo tanta fatalita', destino, sorte avversa, chiamiamola come ci pare ma il protagonista, ancora una volta e' il mare. Grande, immenso amico ma acerrimo nemico nel momento in cui le nostre speranze sono riposte in lui. Grazie Palma delle tue testimonianze che raccontando il nostro passato ci proiettano nel futuro dei nostri nipoti ai quali non mancherò di far loro conoscere tutto, ma proprio tutto, il mio passato al Giglio. Ti abbraccio augurandoti buon Natale insieme a tutti gli amici di Giglio NEWS, cominciando dalla Redazione. BUon lavoro ragazzi! Se non ci foste voi!
aggiungo che la carrozzabile -Campese – Porto, fu realizzata nel 1954 dopo che al Giglio venne l’on. Fanfani a presentarne il progetto. La miniera di pirite, del Campese, gestita dalla Montecatini, chiuse definitivamente nel 1964. grazie a voi e tanti auguri di buone feste. Palma Silvestri
Vedi, caro Pietro, anni fa, mi sono letto e riletto la tragedia mineraria di Ribolla. Tragedia, che, alla fine, come avvengono le cose, in questo (benedetto? maledetto?) Paese, s'è conclusa con l'assoluzione, dopo corsi e ricorsi, dei più alti gradi della Montecatini, che ne erano responsabili in quanto, allo scopo di risparmiare sui costi d'estrazione della (mi pare) Lignite, mandavano, giorno dietro giorno, a rischio di Grisou i loro minatori: quel gas "mortifero", una volta estratto il minerale, andava a formare grosse "sacche", pronte a deflagare alla prima scintilla, all'intero dei "vuoti" prodottisi,, via via, che la Lignitese veniva trasportata fuori, senza essere rimpiazzata da materiale di "risulta". Ebbene, oggi che tali metodi estrattivi, nel mondo dell'economie occidentali, sono severamente vietati, in Cina si continua ad estrarre Carbone con le stesse procedure d'un tempo. Ed, ovviamente, di tanto in tanto, in quell'immenso Paese, si ripetono tragedie come quella di Ribolla. Una nota di cronaca: se la memoria non mi "falla", sul libro relativo alla tragedia, in una delle "illustrazioni fotografiche" riportate all'interno, illustrazioni che, subito dopo la tragedia, immortalarono, al cospetto della popolazione che, immancabilmente e giustamente, manifestava contro la Montecatini per una "sciagura" facilmente evitabile, è raffigurato un palco di eminenti esponenti politici della Sinistra, nonché dei vertici del Sindacato, tra cui il grande Giuseppe Di Vittorio, da Cerignola, fondatore, tra l'altro, nel 1921, a Parigi (dove si trovava fuggiasco dal Fascismo), della "LEGA ITALIANA PER I DIRITTI DELL'UOMO", assieme a personaggi quali Alceste De Ambris, Luigi Campolonghi, Giuseppe Saragat, Nullo Baldini e Cipriano Facchinetti. Ebbene, tra questi, si intravede il futuro senatore Signori, figlio delle terre de "Il taglio del bosco" di Cassola, alle prime armi (come sindacalista) della sua intensa carriera politica, che, prima della pensione, lo vide, per il Partito Socialista Italiano, nominato Sottosegretario alla Difesa, noto soprattutto per la consuetudine, non ostante avesse il privilegio di uno scompartimento "riservato" di 1^ Classe, di sedersi regolarmente in 2^ classe, assieme alla gente comune, durante il tragitto tra Grosseto e Roma. Cari saluti di Buon Natale a te ed alla tua famiglia. siccome a Palma Silvestri, ad Attilio Regolo ed a Tonino Ansaldo.
GRAZIE, PALMA! Anichini, pochi giorni a Natale, una giovane moglie e due figli ch’aspettano l’Albero con gli addobbi per festeggiare, per rilassarsi e dimenticare anche solo per poco, la dura vita della Miniera e i suoi perigli. Anichini, un “predestinato”: tutto contro, le viscere della terra, il buio della notte, il tempo, anzi, il maltempo, e l’ultimo blocco di Pirite, uno come tant’altri già rimossi già frantumati, che sfavillavano nella luce delle lanterne, come fossero la polvere d’oro del Klondike, che, però, se t’ammorbava i polmoni, non ti rendeva benestante, ma solo meno povero. Eppure, come ha scritto, a suo tempo, Palma Silvestri, a Campese, come nel Klondike, con la miniera, tutto era cambianto, e, pian piano, s’erano aperte botteghe, laboratori d’artigiani ed un “indotto”, che induceva a far anche baldoria, rimuovendo, d’incanto, la ricorrente silicosi e le sempre presenti disgrazie sul lavoro, che la parvente agiatezza, aveva “dato” all’isola. Ed ora, questo ricordo, che pure m’appassiona e m’agghiaccia, come le tragedie del Polverificio d’Orbetello, ove, ad ogni insolita esplosione, ingigantita dal vento di Borea, si temeva il peggio, lassù tra le colline di Giardini, aspettando il suono della ”tufa”. Mi turba perché la storia d’Anichini, morto sotto Natale del ’47, come tutte le storie di lavoro, dall’Elba all’Argentario, sono storie di povera gente, destinata, comunque, a vita breve, fatta di malaria, silicosi, esplosioni, incendi e tante altre tragedie. Storie di “Soprannomi”, soprattutto, quali patronimici d’una grande schiatta, che, pur fatta d’eroi (lo si tocca con mano, seguendo, ora per ora, l’impegno, sovrumano, speso, per “Baffetti”, da gente “disperata”), era conosciuta e ricordata, non certo pei balsoni, frutto d’altri lombi e “privilegi”, ma per prerogative e per “fattezze”, propositi, carattere e gesti, fare e faticare “da un buio all’altro”, come s’usa dire, non avendo che questo da lasciare, assieme a un patrimonio d’onestà, ai figli ed ai figli dei figli, dei figli, finché del suo sembiante c’è memoria nella consunta effige d’una tomba. Grazie, Palma! E che Dio ti benedica!
Sono rabbrividito. La stretta sequenza delle difficoltà che si sono accanite contro il "malcapitato Pietro" è veramente incredibile._ Barberina Bartoli legata in quel presente accanto al marito e al futuro che lo aspettava da vedova mi ha fatto anche pensare a quello stesso cognome che portava il mio Nonno materno Pietro Bartoli, del Castello, nome che mia Madre mi mise come secondo maschio della sua famiglia._ E mi chiedo: ma come si poteva far lavorare la gente in quella miniera ed in quella maniera, SENZA ALMENO UN ABBOZZATO PRESIDIO SANITARIO DI PRIMO SOCCORSO ? _ Comunque GRAZIE Palma e Buon Natale.