Da Giglio Campese all’Antartide: un mare di archeologia per Mensun Bound
La notizia che riecheggia sui più importanti quotidiani del mondo della scoperta tra i ghiacci dell’Antartide del vascello Endurance si lega con un filo rosso – anzi un filo blu – all’Isola del Giglio.
Nel gennaio del 1915, questo veliero a tre alberi, capolavoro dell’ingegneria nautica del tempo e ideato per la navigazione di crociera nei mari del Polo Sud, rimase drammaticamente incagliato nel pack. A nulla valsero gli sforzi dell’equipaggio, costretto ad abbandonare la nave che dopo 281 giorni affondò, il 21 novembre 1915. Dopo più di cento anni l’emozione del team che ha cercato a lungo di ritrovare il relitto è palpabile nei video e nelle dichiarazioni diffuse in rete. Avevano già tentato l’impresa tre anni fa, arrivando vicinissimi alla meta. Poi la pandemia, le difficoltà logistiche estreme. Poi ecco comparire tre giorni fa, nelle immagini dai rov, il veliero in tutto il suo splendore: un frammento di tempo perfettamente conservato nel gelo.
E tra i volti e le parole che trasudano la gioia di aver fatto l’impresa, molti avranno riconosciuto l’inconfondibile sorriso di Mensun Bound. Certo, qualche anno è passato da quando a metà degli anni Ottanta, sbarcato al Giglio, Mensun ha guidato assieme a Joanna (poi divenuta sua moglie), la grande impresa dello scavo del relitto arcaico greco-orientale della secca dei Pignocchi. Come noto, il relitto gigliese è uno dei più importanti contesti di archeologia subacquea del Mediterraneo, affondato nel VI secolo a.C. dopo aver fatto tappa nel porto sicuro del Campese, forse nella laguna protetta dallo scoglio degli Aglialochi sotto l’insediamento del Castellare, in una rotta che dall’Asia Minore lo stava conducendo probabilmente verso la Francia meridionale. Fu uno scavo fondamentale, pioneristico per quei tempi, e che seguiva quasi venti anni di drammatiche spoliazioni clandestine del relitto da parte dei primi divers arrivati al Giglio.
Per chiunque abbia mai chiacchierato con Mensun negli anni (che con il Giglio ha un rapporto speciale e lo testimonia la piccola casa che fronteggia la torre medicea di Campese, dove spesso torna) o lo abbia sentito parlare ad una conferenza sul relitto arcaico di Campese, l’esperienza dello scavo subacqueo di Campese è stata la chiave di volta della sua carriera. Sono stati grandi anni di archeologia subacquea al Giglio. Da una parte gli inglesi della Oxford University impegnati con Mensun e Joanna ai Pignocchi, dall’altra Paola Rendini con la Soprintendenza al relitto di Giglio Porto. Due storie in parallelo, due amicizie storiche, che raccontano anche le due anime archeologiche dell’Isola: da una parte il Campese, fulcro delle vicende protostoriche ed etrusche; dall’altra, il grande Porto Romano, costruito nell’ultimo ventennio del I secolo a.C.
Così tutti noi, che dobbiamo molto a questo capitolo di storia scritto nelle onde del Giglio e che ancora oggi studiamo i materiali di quegli scavi, nelle immagini della scoperta dell’Endurance possiamo sorridere con Mensun. Quaranta anni dopo il Campese, la sua archeologia continua a fare la storia.
Jacopo Tabolli, Università per Stranieri di Siena
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