Dibattito tv Tozzi - Sammuri sulla riforma della legge sui parchi
Nell’ambito del dibattito sulla riforma della legge sui Parchi 394/91, Mario Tozzi, ex presidente del Parco nazionale Arcipelago Toscano, prende posizione sulla modifica della legge su La Stampa di ieri, con un articolo che di seguito vi proponiamo.
Vi segnaliamo inoltre che il Presidente Sammuri e l’ex presidente del Parco Mario Tozzi si confronteranno pubblicamente su questo tema domani, venerdì 3 Febbraio, su RAI TRE alle 13,30.
Di seguito l’articolo di Mario Tozzi
"In un Paese in cui non scarseggiano le buone leggi forse non era il caso di toccarne una ancora all’avanguardia in Europa, nonostante sia passato più di un quarto di secolo dalla sua originaria approvazione.
Altra cosa è verificare se la 394/91 (legge-quadro per le aree protette) sia stata completamente applicata, ma, visto il tipo di problemi riscontrati, sarebbe forse il caso di rilanciarla, dotandola di quelle risorse e di quegli strumenti che sono finora scarseggiati, non depotenziarla e renderla succube, di fatto, della politica locale che non brilla certo per la conservazione e la tutela della natura.
Invece alle 23 «perle» naturalistiche del Belpaese va meno di quanto occorre per costruire un km della variante di valico autostradale Bologna-Firenze. Tanto che i parchi possono garantire quasi solo il funzionamento ordinario e, con questa riforma, vedono ulteriormente indebolite le funzioni di tutela e salvaguardia che devono essere il loro primo obiettivo.
Per prima cosa un’eventuale revisione della legge 394 (attualmente approvata dal Senato) andrebbe condivisa non solo con i portatori di interesse economico, ma prima di tutto con le associazioni ambientaliste che sono tutte (ma proprio tutte) contrarie a questa revisione. Poi dovrebbe avere come base un rilancio della conservazione della natura come valore etico fondante della nazione, partendo dall’articolo 9 della Costituzione (anche se lì si usa il termine «paesaggio»). Si dovrebbe poi evitare nella maniera più assoluta la frammentazione localistica che sancisce, per esempio, l’impossibilità di avere un Parco Nazionale del Delta del Po: un assurdo naturalistico che non ha uguali in Europa. Un parco nazionale deve restare sovraordinato rispetto a qualsivoglia Regione, Comune o Provincia, perché la tutela della natura deve essere compito dello Stato e perché localmente i troppi interessi particolari la minacciano continuamente. Come dimostrano le continue violazioni e deroghe alla legge 157/92 sulla caccia, quella sì da cambiare profondamente, fino a quando un referendum sancirà la volontà ben nota degli italiani di cancellarla.
La stagione venatoria appena conclusa riporta il solito bollettino di guerra alle specie protette: tra queste, sono stati uccisi un’aquila del Bonelli e cinque Ibis eremita, animale sacro per tutti i popoli tranne che per il nostro. Per non parlare della possibile apertura della «caccia di controllo» al lupo appenninico: dopo averlo salvato dall’estinzione si decide di intaccarne la popolazione, perché scorrazza troppo libero per l’Appennino. Siamo alle solite, tutta la natura ricondotta sempre e solo all’uomo, padrone di qualcosa che in realtà non gli appartiene.
Peraltro negli anni sono cambiati i riferimenti internazionali e oggi la natura è più tutelata. Per esempio la conservazione della ricchezza della vita è diventata anche programma strategico dei governi: modificando la 394, riesce difficile capire come si potrà mantenere la biodiversità. Nella revisione passata, in Senato, presidente e direttore dei parchi diventano cariche politiche senza alcun riferimento alla preparazione naturalistica (che non viene neppure valutata). Gli agricoltori (e chissà perché solo loro) entrano nei consigli direttivi: di questo passo per istituire un’area marina protetta si dovrà chiedere il permesso ai pescatori subacquei. E ci sono meno scienziati, meno ecologisti e più rappresentanti locali.
Se un’area merita di essere tutelata (su indicazione scientifica), va tutelata e basta, non va negoziata. Per non parlare delle royalties che il parco andrebbe a guadagnare dalle attività economiche permesse dentro i suoi confini, col rischio di «svendere» i propri valori. Ma i parchi sono gli unici a non soffrire la crisi del turismo, con un giro di alcuni miliardi di euro per oltre 35 milioni di visitatori. E a tutto vantaggio (gratis) del 33% dei Comuni che ha il territorio ricompreso in un parco (percentuale che sale al 68%, se si considerano i comuni sotto i 5 mila abitanti). Per non dire del fatto che sarebbe bene considerare i parchi prima di tutto come valori e non come prezzi.
Un parco sul proprio territorio è una fortuna e un’opportunità e solo chi non sa sfruttarla, per incapacità o malaffare, lo considera un vincolo. L’hanno capito perfino in Cina, dove la popolazione dei panda giganti non è più soggetta al pericolo di estinzione perché protetta da un sistema di parchi. Da noi, invece, si barattano ricchezza di vita e natura per gli interessi dei soliti noti.
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