Uno dei maggiori rappresentanti della letteratura italiana del secolo scorso, Raffaello Brignetti, nativo dell’Isola del Giglio, scrisse: “chi è nato in una piccola isola è nato in un posto mitico, come quelli descritti da Omero”. Questa convinzione è comune a molti autori che hanno scritto sull’Isola del Giglio. Per non parlare di quelli che recentemente hanno narrato la vicenda del naufragio della Costa Concordia evidenziando la bellezza dell’isola e la grande generosità dei gigliesi durante la gestione dell’emergenza e le fasi di soccorso. Si tratta veramente di un luogo mitico.
Questo libro, scritto da Francesco Fanciulli, un nipote di una delle più antiche famiglie originarie dell’Isola - ingegnere navale con una lunga esperienza lavorativa al RINA, conosciuto nel mondo marittimo come uno dei maggiori esperti sulla sicurezza e sulla protezione contro gli incendi a bordo delle navi - racconta con dovizia di particolari il tragico naufragio di un piccolo bastimento, il “S. Antonio”, di proprietà di Maria Rosa Rum, dai gigliesi chiamata più semplicemente “Mariuccia”, nonna dell’autore, e di sua sorella Vittoria. Da questa storia di mare si trae spunto per far emergere storie, personaggi, curiosità, aneddoti, usi e costumi dell’Isola del Giglio nella prima metà del ‘900. Un mondo mitico, lontano da quello dei giorni nostri, tuttavia con valori e tradizioni che costituiscono le radici profonde degli abitanti originari di quest’isola, una perla del Mediterraneo.
Il S. Antonio era un bastimento a vela in legno con due alberi ed un motore ausiliario aggiunto nel corso del suo esercizio, della lunghezza di poco più di venti metri e della portata di carico utile di circa 100 tonnellate, gestito per trasportare carico lungo la costa tirrenica e da e per la Sardegna, in un periodo tra il 1927 e il 7 marzo 1953, data dell’affondamento. In tempi diversi, quasi tutti i componenti della famiglia sono stati imbarcati su questo bastimento, che costituiva la maggiore fonte di reddito, come altri bastimenti lo erano per altre famiglie gigliesi. Era iscritto nel Libro Registro del R.I.NA. al numero 5377, costruito nei Cantieri Navali Salernitani, con visita di prima classificazione il 10/02/1921.
Il S. Antonio partì dal porto di Livorno la sera del 7 marzo 1953 alla volta di Palau, in Sardegna, con un carico di mobili destinati ad una giovane coppia di sposi. Nella notte incontrò una violentissima ed inattesa tempesta che colpì nei giorni successivi le coste settentrionali sarde. Per il bastimento non ci fu scampo. Nel naufragio scomparve tutto il suo equipaggio, composto da cinque persone, tra cui due fratelli Fanciulli, figli di Mariuccia: Giorgio, che era il comandante, e Paolo, motorista, entrambi con una grande esperienza di navigazione. Soltanto l’imbarcazione di servizio fu ritrovata alquanto malconcia alcuni giorni dopo lungo le coste della Sardegna, a Santa Teresa di Gallura, in prossimità delle Bocche di Bonifacio, assieme a relitti dello scafo, delle alberature e di parte del carico, tra cui proprio i mobili per gli sposi, dai quali fu possibile risalire al nome del motoveliero naufragato.
A quasi settant’anni dalla tragedia, il libro raccoglie il frutto delle minuziose ricerche svolte dall’autore, nipote dei due fratelli Fanciulli, attraverso documenti, articoli di giornale, testimonianze da parte di persone di famiglia e di altri isolani che, direttamente o per sentito dire, hanno vissuto o tramandato quei drammatici eventi.
Nel libro sono narrate altre storie di mare che si tramandano tra gli abitanti dell’isola. Non solo tragedie e morti. Nel libro ad esempio si racconta la vicenda del motoveliero “Luigino”, molto simile al “S. Antonio” per dimensioni, anch’esso originariamente solo a vela, il quale subì ben quattro affondamenti e riprese di esercizio. Uno di questi accadde dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando i tedeschi in ritirata affondarono il Luigino all’imboccatura del porto di Porto S. Stefano per ostacolarne l’utilizzo. Quando i tedeschi lasciarono definitivamente l’Argentario, il bastimento fu riportato nuovamente a galla e lo resero nuovamente efficiente per trasporti di carico lungo la costa tirrenica. Dopo altre varie peripezie, il Luigino, poi rinominato Antonio, svolse regolarmente il suo servizio fino al 1960 quando, con l’avvento dei traghetti, i noli per questo tipo di bastimenti calarono paurosamente. A causa di ciò, i fratelli Rum furono costretti a metterlo in disarmo e, successivamente, ad affondarlo definitivamente al largo del Giglio.
Il libro si chiude con un capitolo sulla religiosità della gente di mare, intendendo con questi non solo i naviganti ma anche le persone che li aspettano a terra o hanno comunque un rapporto stretto con il mare. L’autore non può fare a meno di notare come la preghiera, praticata in qualsiasi latitudine, lo è ancor più per i naviganti nei momenti di pericolo, o nella solitudine delle loro cabine, per trovare conforto, a qualsiasi nazione o religione essi appartengano.
Il libro si può trovare sul sito dell’editore a questo indirizzo https://store.innocentieditore.com/racconti/il-santonio-340.html
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