Cantine aperte  - Festa dell’uva 2012

Borgo di Giglio Castello

“Cantina del racconto”

“Raccontami la storia che appartiene alla mia famiglia, al mio Paese, alla mia isola, affinché possa ritrovare la parte più vera e autentica delle mie origini soffocate dal moderno vivere e spesso celate da cumuli di legno marcio, di terra; oggetti stravolti nelle forme ma non nella storia. 
Minuscoli, poveri oggetti ottenuti con l’ingegno della necessità,  che oggi,  esposti,  parlano e brillano. Veri gioielli ritrovati.”

Dalle Cantine Aperte, per degustare antichi sapori ed apprezzare il buon vino,
alla Cantina degli attrezzi, degli oggetti e di tutto l’insieme servito per dare vita all’opera dell’uomo sin dai tempi più remoti e che forma oggi un unico racconto: Il racconto del vino.

L’origine
Terre scoscese, spesso veri dirupi si presentarono ai primi abitatori dell’isola del Giglio.
Un mondo aspro, che gli Uomini di quel trapassato remoto adattarono a loro misura, scavando, zappando e tagliando pietre di granito al fine di costruire greppe e poste da coltivare a vigneti, rendendo concreta una lunga fatica di opere  traboccanti saggezza e fiero sudore.
Per secoli, tali vigneti hanno avvolto l’isola col verde delle loro foglie, tanto da lasciarle la definizione di “isola verde”.

L’uva del Giglio
: il ceppo ansonica, coltivata in terre dai nomi poetici e sognanti come “il Dolce, Aiarella, Pietrabona, Serrone, Verdello, Fontuccia, Scopeto, Canto del turco, Campana, Tre fonti, Altura, le Grotte, Dobbiarello, Pentovaldo, Appiata, Punta della Vena, Corvo, valle di sant’Antonio, Capelrosso e tantissimi altri, sigilla nel cuore di tutti gli isolani, la sacralità della lunga storia della vigna e dei suoi ritmi scanditi nelle stagioni dal lavoro del gigliese.
Uva -la più bella- coltivata per essere venduta di là del mare: Ansonica, Regina, Biancone.
Cestoni, stracolmi di grappoli dorati in attesa delle barche lungo le calette granitiche e coltivatori a torso nudo, scuri di sole e di fatica pronti a caricare e percepire il guadagno, a volte magro a volte cospicuo, ma sempre portato a casa con meritata soddisfazione.

I Palmenti
- antichi siti campestri, protagonisti, fino agli inizi del ‘900 di quel ritmo finale della vigna: la vendemmia. La loro presenza nella campagna testimonia la grande produzione di uva e di vino.
Calcicare (pestare) sul posto, nelle tine di pietra fatte dall’Uomo, i quintali d’uva che i ceppi ansonica producevano e portare il mosto, travasato negli otri di capra, nelle cantine del Paese: pronti gli asini carichi di soma, fedeli compagni di lavoro.

15 settembre
-  festa di san Mamiliano -  patrono dell’isola.

 

“Una data importante, perché, subito dopo quei divertimenti, si dava inizio alla vendemmia” Testimonianza di Pietro Danei – detto dentistrinti - contadino estinto come centinaia e centinaia di altri che ora riposano al camposanto ed hanno lavorato la terra palmo a palmo, con tenacia, rabbia e amore di appartenenza.

Negli anni cinquanta,
nella campagna isolana arriva la Fillossera, un parassita che farà strage del “ceppo ansonica” e di lì a poco, chiude la miniera di pirite, che dava lavoro e vita ad un’isola con più di tremila persone.
Sgomento e incertezza del domani, spinsero tante giovani famiglie, i cui sentimenti si leggevano negli occhi arrossati di pianto, a prendere decisioni dai distacchi drammatici, ma i gigliesi, spostandosi verso le fabbriche, verso città bisognose di manodopera seppero cogliere l’incerto destino, lavorando, sgobbando e portando tutto a loro favore proprio come fecero gli antichi coltivatori e pigiatori dell’ansonica.

La campagna,
così bella, così vissuta, quasi si spopolò e pure l’isola.
Il “ceppo” fu innestato col selvatico americano, (vite americana). Ai gigliesi che restarono, col tempo subentrarono i figli che, impegnati in lavori impiegatizi, andavano alla vigna nei ritagli di tempo riducendo le poste da lavorare e nei vigneti abbandonati crebbero i rovi, poi la ginestra spinosa, infine di lentisco che stravolsero i confini compattando un panorama impenetrabile.

L’isola verde
perse i suoi stradelli che, congiungendo proprietà diverse portavano al mare.
Perse, ad uno ad uno, i fedeli e muti aiutanti: i somari.
L’isola cessò di essere verde. Cessò di essere un’immensa vigna.
Le persone rimaste, da quegli anni, per quel poco che potevano coltivarono, salvando la tradizione e l’orgoglio isolano, perché dire:
uva ansonica - vino ansonico,  significava dire storia della famiglia. Significa ritrovarsi in cantina con gli amici ed il bicchiere pieno di vino ambrato in mano.  Significava rispetto per le proprie radici e amore sconfinato verso il proprio scoglio.

Mantenimento e volontà
Negli anni ’70 il Giglio, immerso nel suo torpore forzato, viene scosso da una voce nuova, che porterà speranza di ripresa, di lavoro e di sicuro benessere per tutti: il turismo.
Il turismo stravolge la realtà polverosa e stantia del Paese.
Le antiche celle degli asini e le pagliaie, si trasformano d’incanto in accoglienti monolocali per forestieri innamorati delle bellezze naturali. Anche tante cantine, ormai vuote, fanno quella fine.
La vigna continua il suo mantenimento ad uso familiare e “mescita a frasca” estiva.

La volontà della passione… e… “Prima che il rovo ci entri in casa”.
“la passione che provo per te, è sentimento puro” così dichiara il protagonista, in un racconto di Italo Calvino; e, con sentimento puro, seguendo tale passione per anni, Enrico Centurioni, di Vasco, riesce, nel 2006 a fondare la Cooperativa Le Greppe insieme ad altri personaggi che condividono la passione di riportare le poste all’antico splendore, sbrogliarle dai rovi, far rinascere i vigneti e coltivare ciò che la terra gigliese, da sempre dà naturalmente.

“Per il turista c’è il valore del mare, certamente, ma anche il valore del territorio, in quest’isola benedetta”
Così, “ le Greppe” oltre al vino, puntano sulla qualità dei prodotti che crescono spontanei nella terra gigliese, come le sarace, le more, il corbezzolo, i fichidindi (fichi d’india), le arance amare, le prunelle, le mugnache (albicocche) e il miele. Lo scopo della cooperativa è anche poter offrire al turista una scelta di prodotti concorrenziali sul mercato che puntino alla genuinità; “frutta del Giglio e zucchero” valori sicuramente inscindibili dal territorio.
Portare avanti una cooperativa non è facile; il pensiero positivo accompagna quotidianamente il socio che non deve demordere, ma andare avanti nella produzione sempre più soddisfacente di anno in anno, di diverse varietà di vino,  sino a quello passito, lavorato in botti di rovere e delle marmellate.
“Vedere la campagna lavorata, le greppe pulite. Non c’è soddisfazione maggiore per me e per chi lavora alla cooperativa Le Greppe” (Enrico Centurioni)

Oltre a quelli delle “Greppe”, moltissimi piccoli appezzamenti sono lavorati ad uso personale da un’alta percentuale di isolani che vivono stabilmente nell’isola, o che comunque, tornano spesso: tante macchie di colore verde, tingono oggi la campagna.
Piccole oasi di respiro isolano, verde come la speranza e la certezza di confermare la terra, la storia e le cantine, che restano protagoniste di un vivere amicizia  e compagnia nella maniera  tutta gigliese.
Dopo la mitica Eusebia, che coltivò per anni l’uva ansonica al Serrone, oggi, ancora al Serrone, c’è una nota di colore rosa con Novalba Danei - di Parasole -  che coltivando l’ansonica e il sangiovese, tiene le poste ordinate e linde; la sua vigna sembra il salotto buono pronto a ricevere gli ospiti.
Tutto all’insegna del buon gusto e del piacere di fare bene.

Qualità di vino prodotto al Giglio:
vino bianco – Ansonico
vino rosso (che noi diciamo – nero -) Sangiovese

Aziende vitivinicole sorte sull’isola:
Azienda - Danei s.n.c.
Azienda agricola Altura di Garfagna
Azienda - la Fontuccia  di Rossi Giovanni
Cooperativa – le Greppe

Palma Silvestri della Barroccia
Giglio Castello 27-28-29 settembre 2012