“… Vai alla fonte che l’acqua è finita”.

Erano gli ultimi anni ’50 e almeno una volta al giorno, questa frase in casa veniva ripetuta fino a quando io, comunque fosse il tempo, prendevo la brocca di rame (quella col buccicuto) e mi incamminavo per lo stradello, fuori il Castello, che portava alla Fontana. 
Là ci trovavo sempre tanta gente e la timidezza non mi faceva dire: “Chi è l’ultima?” famosa frase che garantiva il turno all’acqua.

La Fonte, allora, era un crocicchio di incontri.
Mentre l’acqua, preziosa, riempiva staiali, damigiane e brocche, la gente si scambiava confidenze, battute e si salutava quando se ne andava, ma litigava anche.

Ultimamente non sarà stata importante come quella sopra descritta o come la Fonte che dà l’acqua della sorgente san Giorgio al Porto, però la fontanella di via Thaon de Revel - che guarda proprio l’imbocco della strada dove sta la sua collega più fortunata - piccola vedovella lavorata in granito da scalpellini gigliesi, è là quasi centenaria, decorativa ed utile nei tempi remoti della vita paesana che prendeva dal suo piccolo canto acqua di pozzo e si stagliava nella luce del giorno contro i colori contrastanti del mare che le sta alle spalle.

Non c’era la fila delle donne in attesa con le brocche, ma ci ho visto tanti bambini intenti a lavarsi le mani, cani bere scodinzolando e uomini riempire secchi per le barchette ormeggiate più sotto.

Una fontanella essenziale nella veste granitica che umilmente dona acqua filtrata dal mare, ma decisamente ben collocata, in stile con le scalette che portano alla spiaggia e il muretto che le sta accanto, meta di chi vuol scambiare quattro chiacchiere tra sorrisi e saluti.
Il piccolo grembo gioioso, a volte canterino a volte muto, adesso è quasi sepolto da una struttura in legno – esigenza di chi fa la stagione estiva e lavora con il turismo.

Bastava una considerazione in più, un ragionamento in più, un po’ di rispetto in più verso l’arredo urbano del passato, da conservare non come rimpianto, ma come filosofia del nostro vivere quotidiano e la struttura-terrazza poteva convivere benissimo strizzando l’occhio alla storica vicina.

La mancanza di quello sguardo che fa bello il presente rispettando il passato e che io chiamo “amore per il mio paese, tenerezza di racconti ereditati tenuti cari negli occhi e nel cuore”, porta al vuoto e perché no, anche alla solitudine.

Mi viene in mente una frase che - Il Piccolo Principe, di Saint Exupery - dice al mercante che vende pillole contro la sete che fanno risparmiare tempo -  “… Io, se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio, adagio verso una fontana…”

Ecco, se fossimo capaci di ritornare bambini, se amassimo veramente il Porto e la sua memoria, oggi dovremmo chiedere scusa alla Fontanella, soffocata da esigenze perentorie prive di occhio critico. Prive di storia, ma soprattutto prive d’amore.

Un caro saluto a Nilde che trovai - sgomenta - davanti alla “sua” fontanella.

Palma Silvestri della Barroccia

Filastrocca della Fontanella - reminiscenza dell’asilo… Pio XII.

Andai alla fontanella
mi ci lavai le mani
mi ci cascò l’anello
pesca e ripesca
trovai un pesciolino
vestito di turchino
lo portai alla sua mamma
ma c’erano le sorelle
che facevano le frittelle
gliene chiesi una
la misi sulla luna
gliene chiesi un’altra
la misi sulla panca
dove la capra campa
e sotto c’era il lupo
che ballava la tarantella
chi trova il mio anello
alla fontanella?

(l’ho scritta come me la ricordo, ma autore ???)