Professore di matematica, a 35 anni Carfagna decise di voltare pagina: si trasferì sull’isola con la famiglia e fondò un’azienda. Oggi la sua “Altura” sforna 5000 bottiglie di bianco ogni anno.

E’ venuto sull’isola da bambino, in vacanza con i genitori e c’è tornato da adulto, sposato e padre di un figlio, «innamorato del mare, del cielo e del vento». E vi è rimasto, per sfatare, con la complicità della natura, un luogo comune che era diventato anche un modo di pensare, un alibi per sfuggire alla tradizione per correre incontro alla modernità. Le terre rocciose del Giglio sarebbero state capaci di restituire frutti dolci e maturi a chi le avesse amate e coltivate.

Francesco Romano Carfagna, 57 anni, molisano di padre e triestino di madre, aveva 35 anni quando fece una radicale scelta di vita. Insegnava matematica in un liceo, ma il suo mondo non era lì: alle equazioni e alle radici quadrate preferì i lineari filari di vite, l’aria di una campagna salmastrosa, il rumore delle onde infrante sugli scogli. Oggi Carfagna è alla testa di un’azienda agricola che si chiama “Altura”, cinquemila bottiglie di vino bianco, l’“Ansonico”, forte e fino come il paesaggio del Giglio, dorato e trasparente come sono qui le mattine d’estate. Ed è anche titolare di un ristorante che nel nome coniuga al femminile la più colorata delle suggestioni del cielo l’“Arcobalena”.
Francesco Carfagna lo dice con parole sue, di persona colta e semplice. Le stesse di un celebre poeta francese: lasciare la città significa separarmi dai miei amici, ma stento a lasciare la campagna perché è come separarmi da me stesso. Infatti l’insegnante molisano di matematica adesso fa i conti con l’estate che tarda, il cielo che ogni tanto fa le bizze, oltre trentamila piante di vite, sparse su quattro ettari, che ad ogni primavera fanno nascere nuove gemme che poi saranno uva da vendemmiare a settembre.

Un impegno faticoso, quasi una sfida, mentre tutti se ne andavano dal Giglio, per dimenticare i disagi, l’inverno lungo, la posta che parte e arriva in ritardo, l’acqua che manca spesso, la corrente elettrica che va e viene come i pochi traghetti. E di fatti Carfagna li ricorda volentieri quei vignaioli eroici, nel senso letterale dell’impresa, che lui ha trovato al Giglio: i fratelli Giovanni e Domenico Centurioni, Antonio e Vincenzo Bancalà, Antonio Biagio, Gaetano Brizzi, Francesco Botti, Giovacchino Lubrani, Giuseppe Biagio Stagno.

Anche Carfagna è un vignaiolo “eroico”, riconoscimento suggellato dalla Regione Toscana che gliel’ha consegnato all’ultima edizione del Vinitaly tramite l’assessore all’agricoltura Susanna Cenni. Una benemerenza “per aver dedicato la propria vita alla viticoltura eroica”: una terra strappata all’abbandono e riportata allo splendore di un vigneto a terrazze sul mare. In sette anni di lavoro Carfagna e i suoi collaboratori, a cominciare dal figlio Mattia (l’altra figlia, Irene, ha 16 anni) hanno tirato su dodici chilometri di muri a secco, che oltre tutto servono a contenere lo scivolamento del terreno verso il mare, in una delle zone più belle del Giglio, il promontorio incontaminato di Capel Rosso, dove lo specchio d’acqua cristallina apre la vista, a sud ovest, alla Corsica e a Montecristo.

Questa è “Altura”, tre dei quattro ettari di proprietà di Carfagna coltivati a vigneto, dove nasce un vino forte ma dal sapore pulito, 13 gradi e mezzo, qualche vendemmia anche 14. L’Ansonico, Carfagna lo serve ai suoi clienti dell’“Arcobalena”, il ristorante che si trova al porto (il ristorante si trova a Giglio Castello n.d.r.) ed è aperto quasi tutto l’anno, condotto dalla moglie Gabriella. I piatti sono quelli della tradizione gigliese, dal pesce alle carni, ma il bianco della casa è lui, l’Ansonico, apprezzato - dice con orgoglio Carfagna - anche dai rossisti, tanto da poter accompagnare bene anche il maiale al forno e un primo brusco come pasta e fagioli. Ai rivenditori questo originalissimo vino bianco costa 16 euro più Iva, al ristorante costa tra i 30 e i 40 euro e i locali che hanno maggiori costi per la gestione della cantina lo mettono in carta fino a 60 euro a bottiglia.

Possono sembrare prezzi alti, ma bisogna tener conto che la produzione, per il momento, si ferma a cinquemila bottiglie l’anno, che la commercializzazzione - come dice Carfagna - avviene soprattutto “per quel magico canale del passa parola” e che quel che c’è dentro è un frutto strappato alla natura a costo di immensi sacrifici. Un lavoro che viene solo da una passione estrema, che Carfagna sa di aver ereditato dal nonno, capomastro agricolo del Molise e di aver portato avanti con il padre, maestro elementare ma infaticabile vignaiolo nelle terre dei genitori.

«Certo, la sicurezza della scuola e del lavoro statale non c’è più - dice l’imprenditore gigliese - come non ci sono più le ferie pagate, le assenze per malattia retribuite, la pensione e così via. Ma non ho rimpianti. Il mio ufficio adesso è nei campi, all’aria aperta. Faccio la vita che ho sempre sognato grazie all’aiuto di mio figlio e di mia moglie, che è decisiva in tutte le situazioni. Anche mio figlio è contento e anche orgoglioso del suo lavoro. Certo, al Giglio, d’inverno, un giovane è assai sacrificato, ma non abbiamo rimpianti. Un altro motivo di soddisfazione è la rinascita del Giglio, il nostro esempio seguito da alcune persone che hanno riscoperto la voglia e il gusto di lavorare sui terreni dell’isola».

E ancora una volta Carfagna fa i nomi: Nunzio Danei, che cominciò ancor prima di “Altura”. Poi Giovanni Rossi con il fratello Simone e dall’anno scorso anche una cooperativa di gigliesi che ha piantato una vigna su un terreno di circa quattromila metri. Si torna all’isola, finalmente.