Quell’inverno fu particolarmente triste. La tramontana si divertiva a sferzare il Castello col suo gelido soffio per giorni e giorni. I cavi di metallo che assicuravano alla base il traliccio del semaforo issato lassù nel punto più alto della Rocca Pisana per scopi militari, percossi ululavano come belve inferocite e davano ancor più la sensazione di un freddo cattivo.

Nella case la legna si consumava in fretta. Il camino tirava con avidità e a mala pena si cuoceva il cibo. In una casetta i cui infissi riuscivano a stento a trattenere un po’ di calore, una bambina era ammalata ed era scossa da una tosse stizzosa e persistente. La mamma le sedeva accanto. Avrebbe voluto aiutarla in qualche modo, ma poteva solo avvolgerla in un caloroso abbraccio. Se appena la piccola quietava un po’ la donna pensava e pensava. Fu così che le venne in mente di prendere un pugnetto di fichi secchi neruccioli dal bauletto, immancabile arredo nelle cucine del Giglio, e farli bollire nell’acqua finché non avessero lasciato un po’ del loro prezioso umore zuccherino. Raccolse poi l’acqua e la diede da bere alla piccola, che fu felice e gratificata dal buon sapore di quello sciroppo.

La mamma si compiacque. Gliene diede ancora. E miracolo! Piano piano la tosse diminuì. L’esperimento si ripeté per i giorni a venire finché la bimba fragilina fragilina si alzò dal letto. Ora doveva nutrirsi però. Allora il pane si faceva in casa ogni settimana e poi si portava a cuocere nel forno comune. Fu così che la donna pensò di utilizzare i fichi che aveva usato per lo sciroppo unendoli alla pasta del pane e dandogli poi la forma di una ciambella. Come la ciambella incominciò a cuocere l’odore si sparse nel forno e nella piazzetta. Tutte le donne volevano sapere. La voce si sparse: il panficato era nato. La bimba lo mangiò con piacere e piano piano la sua salute migliorò.

Ora stava alla possibilità di ciascuna massaia arricchirlo. Chi aveva in casa una noce ce la mise, chi aveva una manciatina di pinoli li unì all’impasto. Il tempo passava, il benessere raggiunse anche l’isoletta sperduta. Arrivò il cioccolato, il rosolio, la cannella odorosa che veniva unita al vino nel quale i fichi venivano ammorbiditi. Passo dopo passo il panficato si arricchì a tal punto da diventare una prelibatezza da esportare. Era nato dall’amore di una mamma. Donarlo è una prova d’amore.

Caterina Baffigi Ulivi