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LE GUERRE IN MEDIORIENTE E IN NORDAFRICA ALLA LUCE D’ANTICHI FANATISMI ANCORA ESISTENTI (L’HASHISH ALLA BASE DELLA SETTA DEGLI ASSASSINI DEL “VECCHIO DELLA MONTAGNA)
In questi ultimi tempi, assai instabili e perigliosi, che vedono coinvolte popolazioni, etnie, comunità religiose di varia specie, sia nell’Africa del Nord che in Medio Oriente, cui s’aggiunge il rinfocolarsi di varie azioni e reazioni d’impari caratura e portata tra Israele e Palestina, si sta riaffacciando il fenomeno, dato ormai per sopito, di quei fanatici, di connnotazione fondamentalistica, che, imbottiti d’esplosivo e votati alla morte, in nome di Allah, si fanno saltare in aria, provocando stragi tra la gente comune e tra i soldati nemici armati.
Ebbene, questo “fenomeno”, quello, appunto, dei “kamikaze”, che, opportunamente istruiti ed ideologicamente convinti ad immolarsi per la loro causa etnico-religiosa, a differenza di quel che comunemente si ritiene, non è nato, verso la fine della “Guerra del Pacifico”, con i piloti giapponesi, che, al comando di velivoli “Zero”, carichi di bombe, si gettavano sulle navi americane,bensì, secondo la cronaca storica tardomedievale, proprio nel Medioriente e proprio nella regione che, oggi, comprende Iran, Irak, Siria, Libano, Israele, Palestina e Giordania.
In origine, infatti, alla base di questi fanatici comportamenti, di natura espressamente fondamentalistica, nonché millenaristica (anche il Sudan, infatti, ne venne, in seguito, influenzato), per lo più “facilitati” attraverso la somministrazione di droghe, che, inducendo gravi alterazioni psicofisiche a carico di soggetti emotivamente predisposti, finivano per condurli addirittura all’”automartirizzazione”, pur di procurare la morte del “supposto” nemico, c’è la cosiddetta “Setta degli Assassini”.
Setta di cui, dopo vecchie letture liceali sulla vita di Marco Polo, sostanzialmente dimenticate, recentemente c’è tornata memoria in occasione della lettura d’un testo storico, assai accreditato, relativo alla straordinaria “figura” (dai contemporanei chiamata stupor mundi) del più grande rappresentante della dinastia degli Staufen.
Trattasi, nello specifico, d’un’accurata e documentata biografia dell’Imperatore Federico II, scritta dal Polacco Ernst Hartwig Kantorowicz.
Ebbene, a pagina 178 di quest’opera, intitolata, appunto, “Federico II Imperatore”, con riferimento all’impresa che conferì allo Svevo il carisma universale d’Imperatore d’Oriente e d’Occidente, e cioè quella relativa alla riconquista, per la Cristianità, di Gerusalemme e della Terrasanta, avvenuta, tra l’altro senza pressoché colpo ferire, grazie soprattutto alle insuperabili doti diplomatiche del grande monarca, Kantorowicz scrive: E’ chiaro che il soggiorno di Federico in terrasanta, e particolarmente i suoi rapporti con gli Assassini (con un ramo dei quali, gli Ismaeliti del Libano, egli ebbe realmente uno scambio di ambascerie) eccitarono al massimo la fantasia dei contemporanei. Gli Assassini, come raccontò Marco Polo una generazione dopo, erano una setta di fanatici, che, educati dal loro capo Hassan Sabbah (il Vecchio della Montagna) ad obbedire ciecamente, venivano adoperati per ogni strage che servisse alla causa dell’Islam.
Codesta obbedienza si otteneva nel modo seguente: ci s’impadroniva di ragazzi stimati adatti; li si costringeva a vivere per alcuni anni una vita ascetica, non parlando loro d’altro se non delle bellezze del Paradiso. Giunto il momento opportuno, ricevevano un bel giorno, assieme col cibo, una bevanda a base di “hashish”, grazie alla quale si risvegliavano in un giardino veramente paradisiaco che il Vecchio della Montagna, seguendo alla lettera il Corano, aveva fatto preparare in una magnifica valle dove scorrevano ruscelli di vino, latte e miele, si vedevano fontane zampillanti, e urì [Fanciulle vergini, dalla “integrità imenica, via via, “ripristinata”. N.d.r.] e ragazzi [Non solo, l’accenno contestuale alle urì ed ai fanciulli, è, di fatto, assai “equivoco”, ma, alla luce della, per così dire, tradizione “liturgico-coranica”, anche in questo, viene confermato che la donna è, per natura, un essere inferiore, nonché esclusivamente funzionale ai piaceri dell’uomo ed ai suoi bisogni riproduttivi, giacchè per la donna, a prescindere dai suoi comportamenti in vita, non sembra esistere alcuna specie di Paradiso, parimenti gratificante. N.d.r.].
Dopo aver goduto alcuni giorni di tali delizie, gli educandi ricevevano una seconda bevanda drogata, s’addormentavano e si risvegliavano alla tavola del Vecchio – con un desiderio disperato di godere ancora di quel Paradiso. Ma, veniva detto loro che l’avrebbero “riavuto” solo se fossero morti al servizio del Vecchio.
Sicché, da quel momento, la morte stava in vetta ai desideri degli Assassini.
Con questa terribile setta dunque (sotto i cui pugnali perirono molti nobili Crociati) Federico II era stato per breve in relazione, e si favoleggiava persino d’una sua visita al Vecchio ella Montagna. Il quale, per mostrargli l’ubbidienza degli adepti, fece cenno a due Assassini che stavano in cima a un’alta torre, che si buttassero giù: e quelli, felici di ritornare in Paradiso, ubbidirono senza esitare.
La lettura di questa pagina, ci ha spinti ad approfondire la ricerca sulle origini degli Assassini.
Abbiamo avuto così conferma che, pur essendo comparse, già nel XII secolo in Francia, testimonianze dell’esistenza della setta degli Assassini, facente capo ad un cosiddetto “Vecchio della Montagna”, vivente in un castello inaccessibile tra le vette della Siria, circondato da uno stuolo di giovani fedeli fanatici, che, tenuti schiavi del suo volere, attraverso la somministrazione di bevande a base di Hashish, venivano impiegati per uccidere a tradimento i suoi nemici, la più sicura notizia circa la loro esistenza ci viene da Marcio Polo, che li chiama “Asciscin”, mentre in altri testi medievali sono riportati come “Assacis”, “Chaziss”, etc.
In seguito, questa parola ha assunto il significato di omicida e, con questo significato, la si trova già nell’”Inferno” di Dante.
La storia degli Assassini, per quanto riportano, con sostanziale concordanza di riferimenti storici, molteplici fonti orientali, arabe, persiane e cinesi, è, in breve, la seguente.
In origine, il loro capo, il leggendario “Vecchio della Montagna”, era il Persiano ismailita al-Hassan ibn al-Sabbah, chiamato anche con altri nomi, facenti, per lo più, riferimento all’eresia coranica in cui si riconosceva e di cui era portatore.
I suoi seguaci, che, sempre con riferimento all’eresia e ad autorevoli propugnatori dell’eresia, si chiamavano Ismailiyyah, Nizariyyah, Batmiyyah, Malahidah, ma anche Hashishiyyah, alludendo all’uso dell’hashish come sostanza inebriante, parimenti al Vecchio della Montagna, allo scopo di poter disporre di giovani disposti a tutto, per affermare, a loro volta, il loro potere e la loro autorità, in un contesto di fedi controverse e d’una società oltremodo difforme e divisa, fecero in modo che diventasse tradizione secolare la “pregustazione” delle gioie del Paradiso da parte di nutrite schiere di giovani adepti, opportunamente addestrati.
Questa parola, quindi, usata popolarmente nell’area mediorentale, a significare “assuntore” di hashish, per le implicazioni che comportava, una volta approdata in Europa, dette origine soprattutto a livello letterario al “termine” Assassino.
A quei tempi, tra l’altro, l’assasinio per fini politico-religiosi era considerato assolutamente legittimo e lecito dalla dottrina degli Ismailliyyah, per cui non c’è da stupirsi di trovarlo praticato dai seguaci, appunto, di al-Hassan ibn al-Sabbah: una delle prime e più illustri vittime fu, come riferisce la “Treccani”, “il celebre ministro dei Selgiuchidi, Nizam al-Mulk ed altri omicidi seguirono più tardi più tardi con impressionante frequenza … il ramo degli Assassini, stabilitosi in Siria [Come ancora riferisce la Treccani a proposito delle lotte tra Crociati e Musulmani. N.d.r.] parteggiò, volta a volta, per questi e per quelli, ed ebbe parte notevole negli avvenimenti della prima metà del secolo XI, sotto il grande maestro Rashid al-Din Sinan. …. non mancarono, infatti, d’esercitare la loro volontà omicida contro principi e personaggi insigni; Corrado di Monferrato, Principe di Tiro, e Raimondo I, conte di Tripoli, caddero sotto i loro colpi; lo stesso Saladino sfuggì solo per caso ad un attentato …. Le dottrine teologico-politiche degli Assassini …esposte in un’opera persiana di al-Hassan ibn al-Sabbah … accentuano il principio fondamentale della sottomissione assoluta alla verità rivelata senza lasciare alcun posto all’uso del raziocinio; questa dottrina ci spiega la devozione fanatica degli assassini ai loro capi ed il carattere di cupo fanatismo della loro condotta.
Come si può ben veder, in fondo, tra il passato medievale ed il presente delle navicelle spaziali e dei droni, non solo la distanza non è poi tanta, ma, in ossequio alla teoria vichiana sui “corsi e ricorsi storici”, a volte, le cose, specie quelle tragiche e feroci, si ripropongono o riproducono tali e quali.
Per cui, mutatis mutandis, con la propsettiva di potere accedere a “paradisi” di natura soprattutto edonistica, con o senza l’uso di droghe, oggi come ieri, si assiste alla manipolazione mentale di giovani facilmente suggestionabili, per “fabbricare” esaltati disposti a tutto, compresa l’”autosacrificazione”.
Amarissima considerazione se solo si riflette sul fatto che queste tragedie umane si svolgono a due passi da noi, in nome dell’esclusività ed unicità di religioni monoteiste, facenti capo ad entità astratte che, in quanto tali, sono scientificamente indismostrabili.
Amarissima conclusione, perché, se tutto questo, per assurdo, poteva aver una qualche ragion d’essere nel contesto dei fanatismi e millenarismi medievali, oggi, che assistiamo al trionfo della tecnologia, oggi che il metodo sperimentale costituisce l’elemento di discrimine ineludibile tra realtà e supersitizione, tra il tangibile ed il fantastico, per non dire fantasmico, siffatti sistemi d’indrottinamento, per lo più praticati su menti fragili, costituiscono la forma di plagio più subdola e tragica che si possa immaginare.
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