E’ stato detto: “La morte non ci porta via completamente la persona amata, rimane sempre la sua opera che ci incita a continuare”.
Fra le tante cose che ci sono rimaste, fra quelle fatte in vita da Beppino Ulivi c’è la pubblicazione di un libro sul “pianeta immigrazione” intitolato “L’altra Italia”: in questa sua opera Beppino ci racconta come, dall’unità d’Italia a oggi, oltre trenta milioni di cittadini italiani sono emigrati in un centinaio di paesi stranieri. I motivi alla base del fenomeno migratorio erano sempre i soliti.
Si legge nel testo:
[box type="shadow" align="" class="" width=""]“Fin dall’inizio del secolo scorso Genova rappresentava, per moltissimi emigranti, la prima tappa di un viaggio che si sarebbe concluso qualche mese dopo, con lo sbarco in una terra straniera. La terra promessa dei loro sogni, dove ognuno avrebbe voluto riscattare la propria povertà e le proprie miserie. Molti però, non immaginavano che nuovi disagi e miserie sarebbero cominciati proprio al momento in cui, scesi dai treni in arrivo a Piazza Principe, si sarebbero messi alla ricerca di persone che avrebbero dovuto provvedere all’imbarco su una nave per l’America. Le sofferenze e i soprusi non erano limitati alla fase del reclutamento e del viaggio. Nella New York di fine secolo c’erano alcuni loschi individui che sfruttavano a proprio vantaggio certe situazioni venutasi a creare con l’emigrazione. A Ellis Island spesso arrivavano fanciulli dai 10 ai 15 anni senza famiglia, mandati dai genitori a lavorare, allo sbaraglio. Questi ragazzi non venivano fatti sbarcare se non c’era ad accoglierli una persona che si assumesse la responsabilità di loro. E allora, quando giungevano i piroscafi dall’Italia, questi individui, fingendosi parenti e protettori dei bambini, se li facevano consegnare dalle autorità e li sfruttavano mandandoli in giro per la città a vendere giornali o con sulle spalle lo sgabello del lustrascarpe. Spesso li adibivano anche a lavori più pesanti e infamanti. Dovevano lavorare tutta la giornata senza paga, in cambio di una magra cena. Con il tempo questa specie di commercio dei bambini si era ingrandita tanto che a volte, a Ellis Island si presentavano più persone per “prendersi cura” dello stesso bambino. A volte c’erano anche genitori disperati che inviavano i loro figli a fare questi lavori. Era diventata una cosa usuale vedere questi bambini laceri, scalzi, affamati, vagare per le vie della città, vendere giornali o lustrare un paio di scarpe per sopravvivere. Erano gli anni della prima emigrazione quando si partiva a frotte dall’Italia in cerca di pane e New York era diventata una grande Babele di gente di tutte le razze che lavoravano in condizioni precarie senza nessuna protezione.”
[/box]Oggi l’Italia si è trasformata da paese di emigranti in paese di immigrazione. Gli italiani nel mondo eredi delle collettività emigrate, grazie a una sempre maggiore e accresciuta opera di promozione economica, culturale e politica hanno conseguito un ruolo socialmente dignitoso.
Beppino Ulivi, è stato per decenni responsabile dell’INAS, patronato presente in vari paesi esteri, con grandi responsabilità nel settore dell’emigrazione, svolgendo, fra l’altro, un importante ruolo per l’organizzazione della prima conferenza della sicurezza sociale degli italiani all’estero. Se oggi, milioni di emigrati italiani, fra cui moltissimi Gigliesi, vivono nei paesi stranieri con dignità e decoro lo devono all’impegno e all’opera di persone come Giuseppe Ulivi e di tutti quelli che ancora la pensano come lui. Egli non ci ha lasciato solo l’esempio di una vita sempre ispirata da grande e generosa onestà intellettuale ma anche temi sempre attuali su cui continuare, doverosamente, a riflettere.
Armando Schiaffino
Carissimo Armando, ero certa che ti avrei trovato anche se non abbiamo avuto il tempo di un abbraccio. Tutte le volte che abbiamo avuto bisogno di te tu c’eri sempre. Ti dissi una volta che auscultasti Beppe al telefono che eri un taumaturgo, ed era vero. Perché bastava tu gli dicessi qualcosa, o gli consigliassi un’aspirina, perché lui si sentisse subito meglio. Ti stimava come Uomo e come Medico, capace di agire nelle situazioni più critiche. La scienza si acquisisce con lo studio, ma poi si pratica con la passione. Tu ce l’hai questa passione, che però non ti impedisce di trovare altri spazi. Ho visto che hai cercato subito l’Altra Italia e ne hai pubblicata una parte, che è servita ai più a conoscere meglio ciò che Beppe faceva e il suo pensiero. Emigrazione, argomento di grande attualità, che Beppe aveva affrontato con la sua umanità in tempi non sospetti. A te non sfugge mai niente….Grazie, sempre, di tutto. Caterina e Loredana Ulivi
IN MEMORIA DI GIUSEPPE ULIVI Anche per chi non crede e non ha fede nell’aldilà, non è vero che quando si muore, si muore per sempre. La storia, nel bene e nel male, ricorda i grandi e i malvagi, e, nel bene e nel male, attraverso i ricordi delle loro buone o cattive azioni li la rivivere, “laudandoli” od esecrandoli. Se non altro, questa è una fattispecie d’umana e concreta semieternità. Anche soltanto questo “risvolto” del vivere e del morire, dovrebbe indurre a condurre, ciascuno nel proprio ambito, un’esistenza ammirevole ed irreprensibile, acciocchè la buona memoria non abbia mai a decadere e, passando di bocca in bocca, di ricordo in ricordo, si perpetui anche in coloro che non ebbero la fortuna della contemporaneità e della conoscenza di chi ha meritato dei suoi simili. Ieri Giuseppe Ulivi, l’Onorevole Giuseppe Ulivi, che non ho mai conosciuto, non ostante, in tempi recenti, ne sia diventato parente indiretto, e qualcuno me ne abbia pure parlato, è morto. E’ morto, ma è subito rivissuto nei ricorsi di tanti, parenti, amici, conoscenti e concittadini. E tutti, resuscitandolo, lo hanno definito "esemplare", come uomo, come politico, come amministratore. Da quel che ho letto, esemplare per tanti versi e per tante ragioni, ma, soprattutto, da quel che hanno scritto, due suoi colleghi sindaci, Schiaffino e Brothel, di “parte” affine ed avversa, che gli sono succeduti, e che condividono il cordoglio della famiglia, esemplare perché s’è, a lungo, prodigato, con la mente, col cuore, e con la concretezza del suo ruolo politico, di migranti, e, specialmente, di bambini migranti, anime perse nelle metropoli americane, alla mercè di chiunque volesse profittarne. E questo, ora che anch’io lo conosco, m’induce a ricordare, un altro Giuseppe, a me più che caro, un uomo tra i più illustri di questo amaro Paese, ovvero, Giuseppe Mazzini, che, a metà Ottocento, migrante-esiliato in Albione, “provvide”, di persona, alla salvezza di tanti giovani Italiani, che, indotti dalla fame e da falsi profeti nostrani, a tentare la sorte Oltremanica, una volta diventati preda di abili, quanto spregiudicati sfruttatori organizzati, finivano, immancabilmente, in galera o morivano per tisi e sfinimenti, negli ospedali inglesi. Ebbene, Giuseppe Mazzini, non solo intentò e vinse per loro, centinaia di cause, sottraendoli alla “schiavitù”, ma riuscì pure ad emanciparli attraverso la creazione di scuole, di cui, tuttora, esistono tangibili e visitabili testimonianze. Quindi, lunga vita, ancora, per secoli, a Giuseppe Ulivi ed a Giuseppe Mazzini!