Lo scavo del relitto di Giglio Porto e i suoi 40 anni
Presto passerà il 2024 e anche al Giglio, come altrove, sarà il momento dei bilanci e delle riflessioni sugli eventi che hanno costellato la vita di quest'indimenticabile isola, soprattutto di quelli più recenti. Forse, guardando più lontano nel tempo, vale la pena anche di rammentare che in quest'anno cade o meglio è caduto il quarantennale dell'avvio dello scavo del "relitto di Giglio Porto". Pochi gigliesi ormai lo possono ricordare, ma nel 1984 partì un'operazione in cui fu coinvolta, oltre ai partecipanti allo scavo, anche la comunità di Giglio Porto, forse perché per la prima volta lo scavo sottomarino, a quasi 40 metri di profondità (fuori curva di sicurezza), ma a 50 metri di distanza in linea d'aria dall'estremità del molo rosso, si poteva seguire dalla telecamera posizionata nel box di cantiere sullo stesso molo, "on demand", come si direbbe oggi. Inoltre lo scavo del relitto era stato preceduto da una iniziativa per l'epoca innovativa, una campagna di raccolta di fondi a titolo di sponsorizzazione, promossa dalla rivista Archeologia Viva e pubblicizzata anche dalla RAI, in accordo con la Soprintendenza Archeologica della Toscana che avrebbe condotto e diretto le operazioni della ricerca.
La sponsorizzazione non si ripeté nel futuro, tuttavia il ricorso a sommozzatori volontari, sperimentato già nella prima campagna del 1984 dall'allora Soprintendenza, si rivelò la formula vincente (i fondi ministeriali erano sempre esigui!!!) anche nelle altre successive (1986, 1987, 1988), con l'incremento dei corpi specializzati in immersione della Guardia di Finanza di Civitavecchia e dei Vigili del Fuoco di Grosseto.
Enrico Ciabatti prima e Piero Dell'Amico poi, archeologi subacquei professionisti, si avvicendarono nella direzione tecnica, in stretta collaborazione con i partecipanti della Soprintendenza (Elisabetta Bocci, assistente e responsabile tecnico; Bruno Vannucchi, fotografo; la scrivente, direttore scientifico). Al Soprintendente Francesco Nicosia va il merito di essersi impegnato per lo scavo di un relitto di provenienza africana, databile all'inizio del III secolo d.C., grazie al suo carico omogeneo di anfore, anch'esse di produzione africana, destinate al trasporto di pesce conservato.
L'intervento di restauro, curato con incredibile rapidità dalla Soprintendenza, rese disponibili i dati e i materiali dello scavo presto nelle sedi scientifiche, ma anche nelle mostre sull'archeologia subacquea in Toscana: a Grosseto nel 1991, con una preliminare esposizione delle anfore del relitto (a cura di Maria Grazia Celuzza e della scrivente), a Porto Santo Stefano nel 1997 (a cura di Gabriella Poggesi e della scrivente), diventata poi sede definitiva con una suggestiva esposizione (progettata da Franco Ceschi); infine, con la ricostruzione di un settore a Grosseto, nel nuovo allestimento del Museo Archeologico del 1999.
Tutto questo per chi vi ha partecipato, non ostante il lungo lasso di tempo trascorso, resta un ricordo indimenticabile, forse perché quello scavo, condotto alla fine dell'estate in anni di precoce, ma non straniante, turismo di massa, prolungava la stagione turistica, e con la presenza di tanti sommozzatori, che si avvicendavano sull'isola, a cui spesso si univano familiari e amici a fine settimana, il porto si riempiva di nuovi estimatori dell'isola e si stabilivano nuovi rapporti di amicizia con gli abitanti.
Lo scavo non fu, dunque, solo ricerca e studio, ma anche un'esperienza umana indimenticabile con il Giglio e la sua popolazione, che - ripeto - vale ancora oggi la pena di ricordare, perché la ricerca archeologica diventò anche motivo di conoscenza di luoghi e soprattutto di persone.
Paola Rendini
Vorrei ricordare a Paola Rendini che molto del lavoro di recupero del materiale del relitto in oggetto fu eseguito da Federico Galletti e Stefano Baieri titolari del Diving Dimensione Mare di Giglio Porto come la fornitura gratuita di molte attrezzature. Mi fa comunque molto piacere che qualcuno si sia ricordato di quella bella operazione che è stata ignorata quasi completamente nonostante gli importanti reperti recuperati.