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"L'Uva - la Vendemmia - la Vita"
L’Uva - la Vendemmia - La Vita

… Né orologi, né campane

Erano in tanti in quella famiglia allargata, dalla lunga tradizione contadina, che viveva col frutto delle terre e del proprio sudore. Nella loro abitazione racchiusa tra i vicoli del Castello, c’erano sempre le primizie di stagione e molta cacciagione. Soprattutto beccacce.

Il sottoscala traboccava di prodotti a lunga conservazione: patate, mele cotogne, melograni, cavolo torso, moltissime mandorle che coltivavano al Pentovaldo e fichi secchi. Dai vecchi travicelli della cucina, sempre ombrati di fumo, pendevano mazzi di basilico, di finocchio selvatico, di pomodori pallini e di ciuffi di sorbe; quest’ultimi frutti, simili alle ciliegie ma dal colore del cacao e cremosi, erano perennemente circondati da un nugolo di muscini.

Molte volte ho dormito in questa casa che odorava di olio d’oliva e ginestra secca, per fare compagnia alla più giovane della famiglia timorosa del vento ché quando tirava forte faceva tremare i vecchi infissi. Il giorno dopo mi avrebbe regalato le mandorle già sgusciate.

Rispettando il lavoro degli uomini che andavano in campagna anche la domenica mattina, le donne di casa non buttavano mai la pasta nell’acqua pronta sul fuoco a carbonella, se prima non vedevano sbucare le orecchie dell’asino che li precedeva al rientro, fuori le mura.

Né orologi, né campane commentava la Vecchia Merilde tra sé e sé, mentre, appoggiata al granito del trione del Piano, fissava un punto lontano, verso ovest; il sole settembrino ancora caldo e luminoso le faceva mettere una mano sulla fronte. Piccola, sempre vestita di scuro con uno scialle sulle spalle, la matriarca aspettava i suoi uomini.

Io, ragazzina, dallo stesso vicolo scendevo a giocare e aspettavo in silenzio con lei. Le figure alfine si rivelavano confuse con la luce del mezzogiorno: Ecco l’asino traballante di soma; i cestoni, uno di qua, uno di là dalla sella, carichi d’uva: alcuni chicchi ambrati spiccavano tra il verde delle foglie che ricoprivano i grappoli. Ed eccoli gli Uomini. Da dove arrivavano quei Magi carichi di doni? Quella bimba, figlia di un minatore, abituata ad altri odori casalinghi se lo chiedeva intanto che, china sul selciato, giocava a “sassetti” immaginando le loro terre lontane a picco sul mare fresche di zappatura, col pozzo dell’acqua buona da bere e alberi sempre pieni di frutta.

Il tempo della vendemmia riempiva i vicoli del Paese di uva, tanta uva ansonaca, regina, biancone; di botti rotolanti; di tine; di staiali pieni d’acqua e spalancava le porte alle cantine tenute gelosamente chiuse per il resto dell’anno ma aperte per un bicchieretto tra amici e le merende. Le cantine: “orgoglio e vanto dell’uva dorata che i nostri vecchi colà calcicata facevan bollire per poi ottenere l’ansonico giusto dentro al bicchiere.”

Gli uomini accendevano i fuochi negli angoli delle mura: l’acqua bollente disinfettava e liberava dai residui “di spunto acetoso” le doghe in legno che molto presto avrebbero accolto il nuovo mosto. La festa del Patrono Mamiliano era imminente e tutti godevano di questo spazio temporale dedicato al divertimento, alle quadriglie, ma subito dopo, già prima dell’alba un andirivieni faticoso e gioioso di donne, somari, ragazzini, famiglie intere, per le mulattiere dell’isola svuotava le vigne dai preziosi grappoli per dare inizio alla fonte di guadagno e quindi alla sopravvivenza e quindi alla vita.

Ma quel giorno era domenica e non si lavorava tutto il giorno.

Merilde voltata la testa verso il suo vicolo, con una certa trepidazione e, a voce alta avvertiva le donne di casa: “Arrivano.

Palma Silvestri - 14 settembre 2017

Glossario gigliese: Sorbe: frutti cremosi che maturano a novembre Muscini: moscerini Calcicare: pestare con i piedi