Da un errore si sta generando un falso modello culturale che rischia di diventare norma
Ringrazio Giampiero Sammuri, presidente del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, per il commento rilasciato in data 18 marzo 2021 alle osservazioni da me condotte per conto del comitato LetsSaveGiglio (17/3/21) in replica alle sue precisazioni del 21 Febbraio 2021.
Sammuri non ha risposto alle nostre domande
Non mi sembra tuttavia che il presidente del Parco abbia risposto alle questioni poste, preferendo disquisire sul COVID o su chi nega la teoria dell’evoluzione. Di fronte a domande specifiche Sammuri si è genericamente appellato alle disposizioni generali indicate dall’IUCN o dalla CBD, organismi internazionali che per altro non sono direttamente coinvolti nella gestione pratica del progetto LetsGoGiglio; l’ISPRA (Istituto superiore per la ricerca ambientale) inoltre sembra essersi limitata ad esprimere un parere favorevole all’iniziativa nel 2017 in relazione ad un progetto che riguardava l’Elba e non il Giglio, isola quest’ultima dove il muflone, Ovis orientalis Erxleben, 1777 (Bulletin of Zoological Nomnclature, 60/1 March 2003: 81-84), non fu introdotto a scopi venatori ma tramite un programma di conservazione di cui si interessarono gli zoologi Alessandro Ghigi, Augusto Toschi, Renzo Videsott e grazie alla dedizione di Ugo Baldacci che mise a disposizione una sua proprietà recintata sul promontorio del Franco, posto sul versante rivolto a Ponente dell’Isola del Giglio. A differenza dell’Elba e di Capraia, la costituzione del nucleo storico di mufloni nel fondo chiuso gigliese fu motivata da esigenze di carattere meramente conservativo, perché nell’ambiente zoologico nazionale c’era il timore che queste belle pecore selvatiche fossero prossime all’estinzione in natura. Viene fortemente da dubitare che il progetto LetsGoGiglio sarebbe stato approvato dalla Commissione Europea se avesse conosciuto le ragioni dell’importazione del muflone sul Giglio negli Anni Cinquanta dello scorso secolo.
Domandiamo nuovamente: esistono studi specifici condotti al Giglio su muflone e discoglosso?
Solo per fare un paio di esempi, non riusciamo a capire se esiste – o se mai è esistito - un qualche studio condotto sul Giglio che abbia verificato il grado di incidenza della popolazione di mufloni sulle biocenosi locali e che, ovviamente, non si richiami a ricerche condotte in realtà geografiche ed ecologiche lontanissime da quelle delle isole mediterranee – come le Hawaii ad esempio, citate in altre occasioni dallo stesso Sammuri. Certo è che anche il minimo dei dubbi è costretto a dissolversi di fronte all’esternazione rilasciata dal presidente del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano al quotidiano nazionale La Repubblica dello scorso 25 marzo u.s., dove egli affermava che: “E’ universalmente noto che nelle isole gli ungulati sono dannosi per la biodiversità, perciò non abbiamo buttato soldi in uno studio specifico sui danni arrecati dai mufloni all’Isola del Giglio” Sic!
Un altro serio dubbio ci si è posto di fronte alla necessità di creare degli invasi artificiali per il discoglosso. Esiste un qualche studio che giustifichi questa necessità? Se sì, da quale istituzione scientifica ufficialmente riconosciuta è stato prodotto? Anche lo stimato collega ed amico Marco Bologna, intervistato da GiglioNews del 23 marzo u.s., ricorda quanto sia importante che alla base dei progetti ci siano “… ricerche faunistiche e popolazionali che identificano con certezza lo stato di conservazione; inoltre i progetti devono essere preparati da specialisti e sottoposti al vaglio di altri esperti indipendenti; infine è necessario effettuare un monitoraggio attivo sullo stato di avanzamento dei progetti eventualmente attivati, valutando eventuali effetti collaterali, pronti a modificare il progetto di conservazione”. Quando dunque Sammuri – o chi per lui - vorrà risponderci saremo ben felici di accogliere e valutare le sue spiegazioni.
Ecco come l’ente parco sembra percepire il Giglio e la nostra comunità
Dalle dichiarazioni di Sammuri pare di capire che egli non ritenga il Giglio, e tanto meno gli isolani, degni di essere ascoltati. Infatti non gli occorrono studi scientifici dedicati e nemmeno ha perso tempo a chiedere ed ascoltare l’opinione della popolazione e dei locali prima di prendere decisioni così importanti e definitive. Basandosi sulla generica definizione di “alloctono”, il presidente del parco ritiene opportuno privare il Giglio del muflone che è presente sull’isola da oltre 66 anni e che qui ha una storia tutta particolare. La presenza dell’ungulato, inoltre, pare sia molto sentita sia dagli isolani che dagli amatori del Giglio.
Espressione “fauna selvatica”: da un errore si sta generando un falso modello culturale
Quanto all’espressione “fauna selvatica” - da lui sostenuta e difesa - vorrei fare una precisazione. Secondo alcuni dei più importanti dizionari della lingua italiana, il Battaglia, il Treccani ed il Devoto Oli, il termine “fauna” traduce il “complesso delle specie animali proprie di un determinato ambiente o territorio”. Per cui, fare seguire l’aggettivo “selvatica” al sostantivo “fauna” non ha evidentemente senso. Stante dunque lo stato dell’arte, non mi sento di escludere che i legislatori cui il presidente del Parco fa riferimento non sapessero che la “fauna selvatica” non esiste (come, ripeto, non esiste una “flora selvatica”) e/o che nessuno al tempo della stesura dei dispositivi di legge ricordati da Sammuri glielo abbia fatto notare. Così da un errore si sta creando un falso modello culturale che rischia di diventare norma e quindi di non venire più discusso ma solo accettato. In un modo non troppo dissimile da come vengono trattate molte specie alloctone che, anche quando non sono invasive, sono brutalmente abbattute in nome di un anacronistico e falso ideale di purezza ecologica, perduta ormai da millenni di interferenze e stratificazioni antropiche. La ripetizione acritica dell’espressione “fauna selvatica” nell’uso legale che si protrae dai primi anni novanta dello scorso secolo - come sempre osserva Sammuri - è un po’ inquietante e dà seriamente da pensare sul presente e, soprattutto, sul futuro della nostra bella lingua italiana oltre a quello della nostra bella isola del Giglio.
Riguardo alle ultime dichiarazioni rilasciate
Fanno riflettere anche le dichiarazioni di chi, dall’alto dell’elencazione dei propri titoli, non fornisce alcun riferimento su eventuali ricerche scientifiche condotte al Giglio, rimandando invece alle solite opinioni generali o ai pareri della “intera comunità scientifica internazionale”. Al proposito, vorrei ricordare che il muflone non è una pecora rinselvatichita (o peggio ferale, parola che in italiano ha ben altro significato!) ma, come abbondantemente dimostrato dalla letteratura scientifica nel corso degli ultimi quarant’anni, è l’antenato di tutte le razze di pecore domestiche. A partire dal Neolitico (fra il IX ed il VII millennio a.C.), quest’ungulato è stato importato dal Vicino Oriente a Cipro, in Sardegna ed in Corsica, dove non ha però “riacquistato nel tempo l’aspetto originario” ma l’ha semplicemente mantenuto dal momento che l’iniziale processo di domesticazione non aveva ancora favorito alcuna modificazione fenotipica della specie.
Sui riferimenti a Napoleone (che poi si è occupato di capre domestiche e non di pecore selvatiche) e Hitler preferisco non fare commenti.
Marco Masseti
(Si ringrazia Massimo Sanna per la foto di muflone femmina utilizzata per questo articolo).
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