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"Nuovo" Museo a Montecristo: una damnatio memoriae?

Nell’immagine in copertina: Maschi adulti della capra selvatica Montecristo. L'individuo ritratto sul lato sinistro della fotografia rientra nei fenotipi dell’antica razza domestica corsa e di altre etnie “alpine primitive”, mentre l'altro è caratterizzato dai patterns dell’egagro asiatico ed egeo (foto di Massimo Piacentino; Montecristo, aprile 2009).

“Nuovo” Museo a Montecristo: una damnatio memoriae?

Oltre alle leggende che l’hanno identificata nella favolosa dimora di un misterioso tesoro, il fascino di Montecristo consiste soprattutto nell’essere lontana da tutto e da tutti. Uno scoglio di granito, solo abitato capre selvatiche ed uccelli marini, posto in mezzo al mare più o meno alla stessa distanza dalla Corsica e dalla costa toscana. Dal 1971, anno della sua costituzione in Riserva naturale dello Stato italiano, l’accesso all’isola viene riservato quasi esclusivamente a chi intenda recarvisi per motivi di studio e di ricerca. Per questa ragione è piuttosto difficile capire quello che avviene su Montecristo. Le informazioni che la riguardano sono infatti essenzialmente desumibili dai resoconti forniti dai pochi mass media cui è consentito l’approdo sull’isola, oltre che dai comunicati stampa dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Al proposito, colgo l’occasione per commentare il contenuto di un recente articolo a firma di Luca Filippi, apparso sul quotidiano Il Telegrafo del 13 aprile 2022 con il titolo “Montecristo, il tesoro si arricchisce. Museo di storia naturale e orto botanico: due nuove strutture per accogliere i visitatori sull’isola”. In esso si annuncia l’inaugurazione di due nuove strutture inerenti un orto botanico ed un museo di Storia naturale in cui sono riunite rispettivamente “le essenze vegetali tipiche dell’isola” oltre ad “una panoramica delle specie animali più diffuse su questo gigantesco ammasso di granito che emerge dal mare”. All’evento hanno preso parte vari esponenti del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (PNAT), dei Carabinieri Forestali e della Regione Toscana. Il nuovo allestimento della sala didattica è stato possibile grazie al finanziamento di oltre 55.000 euro, stanziati dalla Regione Toscana per il 75% e dal PNAT per la restante parte.

Una simile iniziativa sarebbe decisamente encomiabile. Bisogna tenere però conto che non si tratta di una creazione del tutto nuova perché sull’isola un orto botanico ed un piccolo museo di Storia naturale esistevano già da molto tempo. L’orto botanico è quello costituito dal giardino di specie esotiche e rare - non solo autoctone - che circonda la cosiddetta “Villa Reale” ed i relativi annessi, dal lontano tempo della sua costruzione. Esso fu voluto inizialmente dall’inglese Giorgio Watson Taylor che ottenne l’isola in concessione nel 1852. Comprende vari alberi ad alto fusto di origine alloctona secondo quello che era il gusto dell’epoca. Molti degli esemplari sono da tempo provvisti di un adeguato cartellino di riconoscimento in cui si specifica la specie botanica di appartenenza. Fra le diverse essenze possiamo ricordare vari alberi da frutto ornamentali, l’imponente cipresso di Monterey, originario della California e l’ailanto dell’Asia orientale che si è in seguito propagato massivamente, grazie anche alla gestione non proprio felice di cui è stato oggetto nel corso del Novecento. Piuttosto, quindi, che dichiarare l’inaugurazione di una nuova installazione, forse sarebbe stato più opportuno parlare di ampiamento dell’orto botanico già esistente con una nuova sezione dedicata alle piante autoctone dell’isola.

Anche un piccolo museo di Storia naturale era presente su Montecristo per lo meno dalla fine degli Anni Settanta e l’inizio degli Anni Ottanta dello scorso secolo, cioè da quasi cinquant’anni. Non era certo ricco dei pannelli e dell’altro materiale didattico d’avanguardia che appare nelle fotografie di quello nuovo, ma nella sua semplicità assolveva egregiamente al compito per cui era stato concepito: quello di documentare la ricchezza biologica della Riserva naturale. Era essenzialmente composto da un unico ambiente diviso da un arco, in cui erano disposte poche teche che esponevano esemplari impagliati od essiccati di specie animali e vegetali, qualche pannello didascalico ed alcune pubblicazioni che riguardavano l’isola. Anche nel caso dell’evento descritto da Il Telegrafo del 13 aprile scorso sarebbe dunque più opportuno parlare di un nuovo allestimento piuttosto che dell’inaugurazione di una nuova struttura.

Come ho già avuto modo di ricordare in un articolo apparso su GiglioNews in data 1 ottobre 2021 (https://www.giglionews.it/la-capra-selvatica-e-scomparsa-anche-dal-museo-di-montecristo), il magnifico esemplare di maschio adulto di egagro preparato tassidermicamente, che faceva bella mostra di sé nella vecchia sala espositiva, non c’è più. È stato sostituito da altri due animali naturalizzati che non hanno però niente a che vedere con le capre originarie di Montecristo. Quelle, per intendersi che furono descritte da Toschi (1953 e 1965) e da Spagnesi & Toso (2003), come pressoché identiche all’egagro anatolico ed all’agrimi di Creta e di altre isole del Mare Egeo. I nuovi esemplari musealizzati non mostrano infatti la colorazione del mantello di questi ultimi ma si presentano caratterizzati da un tono bruno-rossiccio pressoché uniforme, come quello delle capre domestiche dell’antica razza corsa e di altre etnie “alpine primitive”. Queste devono essere state importate su Montecristo in un momento imprecisabile degli Anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso quando il numero degli ungulati sull’isola doveva essersi drasticamente ridotto a causa della caccia spietata di cui gli animali erano oggetto. Toschi (1953) riferiva ad esempio che “… nella sola settimana della nostra permanenza ne furono uccise per lo meno una mezza dozzina”. Pochi anni dopo, lo zoologo Kahman (1959) riuscì a vederne solo 4 individui nel corso dei 10 giorni in cui durò la sua esplorazione dell’isola. L’inquinamento delle capre originarie di Montecristo deve essere dunque avvenuto in conseguenza del fatto che la società privata Oglasa che aveva acquisito i diritti dell’isola a partire dal 1953 per trasformarla in un esclusivo hunting club si era praticamente ritrovata senza caccia grossa da offrire agli esigenti soci.

Dalle foto pubblicate sui media si evince che l’esposizione dei due esemplari naturalizzati, con cui è stato sostituito il vecchio egagro di Montecristo, è stata mantenuta anche nel nuovo allestimento museale, preferendosi così fornire un’informazione errata che va contro al parere di esimi zoologi, oltre che scorretta sotto il profilo del rigore scientifico. Sembrerebbe quasi che non essendo più disponibili le vere capre di Montecristo, se ne voglia anche rimuovere il ricordo, secondo un processo di damnatio memoriae che con la scienza avrebbe ben poco a che vedere. Eppure nel non troppo lontano 1998, un censimento condotto dal collega Ferdinando Ciani del ConSDABI National Focal Point Italiano F.A.O. e da me per conto dell’allora Corpo Forestale dello Stato (CFS) – Ufficio territoriale per la Biodiversità di Follonica rivelò ancora la presenza del 30% di capre a fenotipo egagro/agrimi sull’isola. Che fine abbiano fatto nel frattempo è difficile da dirsi. Forse le selezioni venatorie condotte da coloro che erano stati incaricati al contenimento della popolazione ircina isolana non sono state così mirate? È presupponibile poi che il lancio dall’elicottero di circa 14 tonnellate di esche avvelenate (https://www.giglionews.it/quattordici-tonnellate-di-esche-avvelenate-su-montecristo-i-segreti-dellente-parco) - per eradicare i ratti neri dall’isola nel corso del progetto Life Montecristo 2010- LIFE 08 NAT/IT/000353 – abbia fatto il resto.

Tornando al nuovo museo di Montecristo, in un comunicato del PNAT si legge che “Sono stati creati pannelli didattici, materiali per la copertura del pavimento, ideati e allestiti strumenti interattivi, terminali video per la proiezione di filmati, sono stati montati brevi filmati ed è stato creato un plastico dell’isola su supporto in acciaio per l’esterno”. Il vecchio allestimento è stato dunque completamente stravolto e sostituito in favore di più moderne modalità didattiche. A questo proposito Giampiero Sammuri, presidente dell’PNAT, intervistato nel già ricordato articolo de Il Telegrafo del 13 aprile u.s., ha dichiarato: “Orto botanico e museo sono piccole strutture che hanno però una grande valenza didattica sia per le scuole […], sia per le persone con minori capacità di movimento che senza dovere percorrere i ripidi sentieri dell’isola, possono vedere da vicino le specie animali e le piante”. Secondo dunque l’ammissione dello stesso Sammuri il nuovo allestimento del museo di Montecristo si presenterebbe come all’avanguardia nella moderna progettazione didattica. Peccato che si sia trovato niente di meglio che ricorrere ancora una volta alla ormai antiquata e profondamente diseducativa esibizione di animali impagliati. Alla faccia della “grande valenza didattica”!

Marco Masseti

Bibliografia consultata:
Kahmann H., 1959 - Notes sur le statut actuel de quelques mammifères menacés dans la région méditerranéenne. Mammalia, 3: 329–331.

Masseti M., 2021 – La Capra Selvatica è scomparsa anche dal Museo di Montecristo. GiglioNews, 1 ottobre 2021.
Spagnesi M. & Toso S., 2003 - Capra hircus (Lannaeus, 1758). In Boitani L., Lovari S. & Vigna Taglianti A. (a cura di): Fauna d’Italia. Mammalia III. Carnivora – Artiodactyla. Edizioni Calderini del Il Sole 24 ORE Edagricole, Bologna: 355–360.
Toschi A., 1953 - Note sui vertebrati dell’Isola di Montecristo. Ricerche di Zoologia Applicata alla Caccia, 23: 1–52.
Toschi A. (a cura di), 1965 - Fauna d’Italia. Mammalia. Lagomorpha, Rodentia, Carnivora, Ungulata, Cetacea. Edizioni Calderini, Bologna: 647 pp.