In memoria di Antonietta Rossi detta Antonietta di Orazio, di Giglio Castello.
La vita le cambiò con la morte del marito avvenuta alcuni anni fa.
La solitudine, poi la malattia al cuore la portarono a dividere la sua esistenza a casa dei figli, un po’ al Giglio da Tina, poi a Orbetello da Donatella, a Livorno da Mariluci… e da Mario il maschio tanto atteso, che arrivò per ultimo.
Antonietta d’Orazio (Orazio era il padre), aveva una figura alta e ben marcata ma la prima cosa che colpiva parlando con lei era il sorriso: pacato e rasserenante. Lo stesso sorriso di quando raccontava dei dolori e degli affanni quotidiani, suoi o degli altri, facendo intendere: “…ma alla fine che ci manca!”
Oppure certe volte che aiutava la levatrice del Paese a far nascere i bimbi oggi quarantenni, sempre col sorriso sereno li fasciava e li consegnava alla mamma, facendo intendere: “ora che ti manca!”
Aveva sposato Domenico Arienti, detto Meco di Santafiora, un uomo diventato gigliese per amore suo e per gigliese, bisogna intendere i duri mestieri che gli uomini di un tempo affrontavano per far sopravvivere la famiglia.
Ricordo il giorno del loro sposalizio. Sul guardaroba di mamma, in una scatola a fiori sono conservate tante immagini in bianco e nero più o meno sbiadite; c’è pure una foto che li ritrae: un’incredibile folla vestita a festa circonda la coppia, lei col velo lungo portato sul davanti, sorridente come lo sposo, vestito di scuro. In primo piano accovacciati per terra i figli degli invitati, ci sono pure io con un grosso fiocco tra i capelli. Avrò avuto sei anni. Tutti in posa giù per il lastricato della Porta, pronti allo scatto di Ottorino Brandaglia, poi la cosa più attesa: a braccetto in corteo ai Lombi per il pranzo di nozze che durava fino a sera. Una volta al Giglio era così: se la festa c’era, c’era per tutti.
Negli anni dopo la pensione, Meco, che curava le vigne, aveva preso la bella abitudine di far ribotta nella sua terra di Scopeto radunando nel giorno di Pasquetta, il primo Maggio o qualche compleanno, comunque sempre nella bella stagione, gigliesi e forestieri, ad un'unica lunga tavola imbandita, non mancava il vino ansonico ad aumentare l’allegria.
All’ingresso della vigna Meco aveva preparato un arco di fil di ferro che in primavera si ricopriva di rose, rose grandi di color rosa curate da Antonietta e non v’è dubbio che l’accoglienza agli amici era accompagnata da quell’umile sorriso che invitava a “stare bene.”
Tante persone hanno partecipato a quelle feste e spero leggano le poche righe dedicate ad una coppia che ha avuto il privilegio di condividere la stessa semplicità di vita, lo stesso amore.
Cara Antonietta, la tua morte, inevitabile per la malattia, (ma avevi 74 anni!) riduce quella coda di vita paesana lontana, ormai molto lontana, dove nelle case quando le persone uscivano accostavano leggermente l’uscio e chiudevano a chiave solo se partivano per il continente.
Palma
Palma della Barroccia
Autore: Palma della Barroccia
0 Commenti
Per commentare occorre accedere con le proprie credenziali al sito www.giglionews.it
Login
Non riesci ad accedere al tuo account? Hai dimenticato la password?