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Piselli a diciotto soldi il chilo!
Non me ne vogliate ma siccome nel “cerchio” delle mie amicizie turistiche isolane, con ciò intendendo diverse persone che amano trascorrere, soprattutto le vacanze estive, all’Isola del Giglio, capita spesso di dire “ma quanto sono “esosi” i commercianti gigliesi che, spesso, ti vendono prodotti di marche sconosciute a prezzi impossibili! Forse dipende dal fatto che, dopo l’ultima “razia”, effettuata dai turcomanni tunisini, che si portarono via circa 700 persone, la popolazione fu “rimpinguata”, soprattutto attraverso l’immissione di gente genovese, notoriamente sparagnina, nonché di mani corte e senza dita, peggio degli scozzesi”, ieri rileggendo un “compendio” di storie maremmane, m’è venuto da pensare che questa “nomea”, a carico dei commercianti del giglio non è cosa di tempi recenti, in quanto risale per lo meno agli anni ’30 dello scorso secolo.
Perché affermo questo?
Affermo questo perché rileggendomi, per l’ennesima volta, un bel libro, che regalatomi, tanti e tanti anni fa, (quand’ero una giovane speranza mazziniana) dall’ormai “scomparso” avvocato Ennio Graziani di Orbetello (grande professionista, patrocinatore in Cassazione, nonché eminente massone ed autorevole repubblicano, che s’onorava d’aver ben conosciuto e frequentato il famoso Raffaele Del Rosso, che, da grande scienziato, scrittore, inventore, archeologo, ricercatore ed amministratore di fama internazionale, onorò, tra l’altro, la cittadina lagunare dell’appellativo, di Anadiomene, ovvero, sorta, come Venere dalle Acque), con il titolo di “Maremma”, e la “cura” di Antonio Meocci, tratta, appunto, della “Maremma Amara”, attraverso il contributo di tanti scrittori e poeti, quali D.H.Lawrence, Vincenzo Cardarelli, Corrado Alvaro, Guelfo Civinini, Alessandro Bonsanti, Giovanni Comisso, Luigi Bartolini, Rosso di San Secondo, Nicola Lisi, Vasco Pratolini, Curzio Malaparte, Ardengo Soffici, Federico Tozzi, Delfino Cinelli, Eugenio Nicolini, Arrigo Bugiani, Bino Samniatelli, Guido Piovene, Carlo Laurenzi e Carlo Cassola.
Ebbene, rimandando, per una visione d’insieme del Giglio, al Giovanni Comisso de “L’Italiano errante per l’Italia”, del 1937, con riferimento ad uno splendido racconto di mare e di pesca di Corrado Alvaro, intitolato “I pescatori dell’Argentaro”, m’è capitato di soffermarmi, con particolare attenzione, a motivo delle ragioni di cui in premessa, sulla fine di questa “avventura”, allorché lo scrittore, che ebbe a trascorrere, assiduamente “sorvegliato” dalla polizia fascista, molti anni tra la nostra gente, fu costretto a sbarcare sull’isola, perché chiaramente in preda ad un “mal di mare” incontenibile.
Questo è, quindi, quel che, nello specifico, scrive Corrado Alvaro, mentre s’aggira tra le case del porto, in attesa del postale che lo riportasse in continente, ovvero a Porto Ercole, ove s’era imbarcato per una battuta di pesca, a bordo del motopeschereccio “Montargentaro”, comandato dal valente capopesca quarantenne, Sabatino Ferdinando: … Gli abitanti, quasi tutte donne, poiché gli uomini navigavano, erano fuori delle case e pensavano alla spesa della mattina; qualcuno tornava a casa dall’aver pescato un piattello di pesci. Una donna con un viso antico si mise a leticare con una vecchia che portava, da soglia a soglia, una sporta di piselli. Vendeva i piselli a diciotto soldi il chilo. “che vergogna, che vergogna!” diceva la donna. “il mio figliolo è su un veliero sulle coste della Sardegna; è un mese. Scarica e carica calce, cemento, mattoni, fa questo lavoro; guadagna nove, dieci lire se gli va bene, ed io devo pagarti i piselli diciotto soldi al chilo.”
La donna andava più in là a sentire un’altra canzone. Le donne frugavano tra quei piselli, li facevano scorrere tra le mani, poi lasciavano andare e rimanevano pensierose a guardare il mare. Siccome mezzogiorno avanzava, e usciva odore di cucina da tutte le case, certe bambine vennero alla spicciolata in bottega a comprare una sarda salata. Ravvolta in un pezzo di carta gialla, la portavano nel pugno, e, di tratto in tratto, vi accostavano la lingua a leccare il buon sapore di sale.
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