Riceviamo da molti lettori gigliesi la segnalazione di questo articolo che di seguito vi proponiamo. Si tratta di una lunga intervista de Il Secolo XIX del 1999, ripresa oggi da alcuni siti internet, ad un gigliese coinvolto in fatti giudiziari ed uscito brillantemente assolto. In un momento politico in cui si fa un gran parlare del tema della giustizia ci sembra opportuno far notare come, nonostante la completa assoluzione, vicende giudiziarie come queste possano comunque segnare la vita delle persone coinvolte.

Questa è una storia vera. Anzi, è un vero incubo fatto di arresti all’alba, di perquisizioni, di mandati di cattura, di traduzioni in carcere con le manette ai polsi. Ovvero tutto l’armamentario di una giustizia che non aveva ancora recepito il rispetto per la persona umana e dove, la pietà, forse anche la gentilezza, la trovavi in carcere tra i detenuti. Una storia durata 11 anni. 11 anni di avvocati, tribunali, udienze, indagini. Tutta la trafila classica, avendo però l’assoluta certezza della propria innocenza mentre i magistrati sembravano non dargli credito. Ma alla fine tutti processi sono finiti nel proscioglimento per non aver commesso il fatto. Non prescrizioni o modifiche della legge. Per non aver commesso il fatto!

La storia è quella di Francesco Baffigi, cavaliere del lavoro, giovane manager che riesce a farsi strada nel mondo del lavoro con intuizioni geniali e duro lavoro. Nato nell’isola del Giglio, ma genovese d’adozione, Francesco Baffigi alla morte del padre fa l’operaio per pagarsi gli studi. Poi una carriera brillante: direttore commerciale della Simi a 24 anni, direttore generale della Mannessman Italiana (condusse l’accordo per il gasdotto algerino), vicepresidente dell’interporto di Rivalta Scrivias. Cavaliere del lavoro nel 1984 a 47 anni. Alla fine degli anni Sessanta, inventò per la Fiera di Genova “Viaggi Vacanze” e “regalo novità”. Aveva fatto anche vita politica: consigliere comunale a Genova a 23 anni, membro della direzione nazionale del Pli; aveva lasciato il partito nel 1976. Il 15 novembre 1985 i liberali lo candidano al consiglio d’amministrazione delle Ferrovie di Stato che da Ministero diventano Ente. Qui propose all’IRI la costituzione di una superholding per la mobilità e i trasporti merci (Ferrovie – Alitalia – Finmare – Autostrade – Anas) con le relative società operative.

Ma nel 1988 viene travolto dallo scandalo delle lenzuola d’oro e viene arrestato una prima volta. Da allora subisce altre due detenzioni, sette comunicazioni giudiziarie, tre perquisizioni, 46 interrogatori. Sono passati 11 anni e tutte le vicende nelle quali era implicato si sono concluse per lui positivamente. Per l’ultima – un “finanziamento” di 150 milioni ai Pli – il 26 ottobre il gip di Roma Tortora ha prosciolto Baffigi per non aver commesso il fatto. E’ il settimo proscioglimento. A 62 anni di cui 11 trascorsi in aule di giustizia, Baffigi parla di ricorso alla Corte di Strasburgo per l’ “irragionevole” durata dei processi, di ricorso contro la procura di Milano per “ingiusta detenzione”, di querele nei confronti degli accusatori. La Corte d’Appello di Roma condannò il Ministero del Tesoro a risarcirgli 20.000 euro per ... avergli distrutto la vita. Eppure Baffigi, nonostante tutto, non si è mai sottratto ai rigori della legge e oggi ne è fuori, a testa alta.

A Francesco Baffigi abbiamo chiesto:

Com’è stata la prima volta in carcere?
“Era il 26 novembre 1988. Mi ero fermato a Roma ed i Carabinieri sono venuti, alle sei della mattina, a cercarmi a Genova. Mia moglie, buttata giù dal letto, ha dato loro indirizzo e telefono”.

E così?
“Un quarto d’ora dopo sono venuti a prendermi a Roma. Mi hanno portato in non so quale caserma. Mi hanno fatto le fotografie, preso le impronte. Dopo un’ora e mezzo un ufficiale mi chiamò: “devo metterle le manette”. Fu gentile: me le appoggiò soltanto sui polsi e mi diede un giornale per nasconderle”.

E finì a Regina Coeli …
“Nessuno può immaginare che cosa significa la prima volta in carcere. Ti sbattono in uno stanzone col pavimento in mattoni pieno di spazzatura. Lì comanda un maresciallo. Ti spogliano. Nudo. Ti levano tutto e ti fanno firmare la ricevuta delle tue cose. Poi ti danno il minimo indispensabile. Il resto va in una sacca tipo nettezza urbana. Poi finisci nella stanza di smistamento”.

E qui?
“Era novembre e ci sono stato 3 ore. Non c’erano vetri”.

Che cosa pensava?
“Ho pensato che quando entri non esisti più: sei una cosa. Ha diritto solo al “tu” e a sentirti dare ordini”.

E la cella?
“Era di due metri per quattro, con 3 letti a castello ed un buco in terra. C’erano cinque ceffi che litigavano per il loro commercio, orologi in cambio di droga. Poi si sono calmati. Uno mi ha preparato il letto, per farmi vedere come si fa. E’ venuta la notte”.

E che cosa è successo?
“Improvvisamente mi sono messo a tremare. Non riuscivo a stare fermo. Dopo un po’ un secondino mi ha portato dalla psicologa. Mi ha dato delle pastiglie. Lei mi parlava, io tremavo. Ha chiamato la direttrice e hanno deciso di trasferirmi in infermeria col detenuto Giolitti Angelo”.

E chi è?
“Era un definitivo. Un contadino che aveva ammazzato la moglie. Condannato a 14 anni.”.

Lo ha più visto?
“Sono andato a trovarlo. Adesso è un uomo libero”.

E il giorno dopo?
“Il giorno dopo diventa tutto quasi normale: interrogatori, avvocati, parlare con Angelo …”

Il secondo arresto è del 1993 …
“In quei giorni ero a Napoli. Torno a Genova e passo in ufficio. Mi telefona un amico: “Ma sei lì?”. Certo che sono qui. “Su televideo dicono che sei latitante da due giorni …”. Chiamo il mio avvocato: mi consiglia di stare buono per qualche giorno, mentre lui cerca di capire. Latitante a Tagliolo. Il mandato di cattura parlava di reati a proposito di altri ed aggiungeva: “Sedeva inoltre in Consiglio d’Amministrazione Baffigi Francesco”. Per questo sono finito a San Vittore”.

Com’è andata?
“Ci sono stato 14 giorni. Nel sesto braccio, dove mi trovavo io, c’erano Greganti, Nobili, Cagliari, Darida, Casadei e tanti altri. Nelle ore d’aria si chiacchierava. Mi misero a lavorare in infermeria: tenevamo in ordine le pratiche dei detenuti. Ne morivano di Aids ed io cercavo le cartelle. La mattina del 21 Luglio ci dissero di cercare quella di Cagliari …”.

E la cella?
“Ero con dei comuni. Uno era il capo riconosciuto del braccio. Disse: “Questo è un signore, deve leggere e studiare”.

Poi il terzo arresto …
“Il primo Ottobre dello stesso anno. Pensavo che tutto sarebbe finito presto. Di nuovo a San Vittore, per quindici giorni”.

Cosa ricorda del carcere?
“Delle persone. Lo spesino che gira per gli acquisti. L’orrendo cibo. Pochi lo mangiano. Lo preparano per buttarlo via …”.

Come hanno reagito i suoi amici?
“Cinque minuti dopo l’arresto avevo perso un milione di amici, Uscito, chiamavo persone con le quali avevo rapporti abituali e c’era sempre una segretaria: “Riprovi tra una settimana”. Erano gli stessi che prima mi cercavano: “Illustre cavaliere” …”.

Tutti così, gli amici?
“Grazie al cielo no. Quelli di sempre sono rimasti. E ne sono rimasti alcuni come il console Batini, Jack Clerici, Giamba Parodi, Alcide Rosina, Franco Bonelli”.

E in famiglia?
“Non avendo figli è più facile. E poi siamo gente nata su un’isola: uno scoglio e la casa. Con le mie sorelle ed i miei cognati il rapporto è ancora più stretto”.

Sul lavoro?
“Un disastro, ma anche per colpa mia. I mesi passavano, le accuse aumentavano e ho perduto la voglia di fare. Ho reagito dopo tre anni, lavorando per un’azienda petrolifera, per una di materiali sanitari, facendo il consulente per il rilancio della Preti e per un gruppo olandese”.

Scusi la domanda: quanto le è costato tutto questo?
“Diciamo un minimo di trecento milioni, anche se alcuni avvocati, come Biondi ed Acquarone, non si sono fatti pagare. E poi il costo di 116 viaggi a Roma, per le udienze, per i rinvii, per incontrare i legali”.

Una volta lei mi ha detto che non passava più in Via XX Settembre. Perché?
“Per vergogna. Anzi, no, forse per timore. Lei ricorda, anche voi giornalisti: c’era la caccia a quelli delle tangenti. Incontravo qualcuno e mi diceva: “Ma dai, qualcosa sarà successo, magari non te ne sei accorto”.

Ora ci passa più in Via Venti?
“Si. Non guardo più per terra”.

In che cosa è cambiato?
“Mi hanno tolto la cosa più bella che avevo al mondo, la generosità. Non sono diventato cattivo, ma mi sento freddo. E ho perso il coraggio di fare: mi chiedo subito se sarò capace”.

Tornerà a fare politica?
“Stare nell’anonimato è gradevole. Ho bisogno di almeno un anno di disintossicazione. Anzi no, non scriva questo: scriva che sono a disposizione, a costo zero, per la Fiera di Genova, per provare a rilanciarla”.