“Ma quanti alimentari c’erano al Castello negli anni sessanta?
Tanti; giravano in tondo nel paese e gli abitanti di piazza di sopra non scendevano a fare la spesa in piazza di sotto perché avevano i loro. Di certo andavano se nella bottega terminava quella tal cosa.
Allora erano scenette comiche:
“Cosa vuoi cara?” - Ha detto la mi’ mamma, un etto di tonnina -
“No, fattela mettere nel cappellino dal bottegaio di piazza di sopra...” (Miliano dei Fratozzi)
Oppure, un bimbo: “quanto le fate quelle maschere?”
Chele: niente, sono per la pubblicità -
“Allora se un costano niente datemene una!”
La bottegaia Ilva: “Cosa vuoi bimba?”
- Ha detto la mi’ mamma, un kaco -
Ilva: “purgati cara...”
Aneddoti da riempire pagine intere, che fanno sorridere e riflettere sullo stile di vita condivisa che una volta offriva il Castello, Paese dell’isola.
Le paesane nelle botteghe, con la sporta di paglia, compravano a etti: due etti di noci - un etto di acciughe - cinque ogliole “...Che ci fo una bella zuppa da mangia’ in quattro e quello che resta, domattina il mi’ marito lo porta al lavoro...” (Dina della Baffona)
Circondati dalle mura e dal mare che filtravano pochissime novità forestiere, credevamo di stare bene nella beata povertà condivisa con amor proprio e guardando quel tempo ormai perduto nel tempo mi sembra di intravvedere una saggezza accomodante che culminava nel canto solitario e liberatorio.
I riferimenti rendevano caratteristico un luogo, un oggetto o una persona; “Ti aspetto alla Madonnella, o al Lampione (dove il municipio) o Suppepesci“ perché dal Campese arrivavano, al grido di tombolelli donne, intere ceste di pesci portate in spalla dai pescatori. Una volta il giovane Gaetano-Martinpescatore, sudato fradicio, si prese una bella imbronchite nel vicolo di Lombistretti
Il Paese si svuota e cambia la realtà che si sovrappone alla nostra storia. non si può più dire -nel vicolo della Tega- le vie hanno cancellato quella memoria, e - Sotto le Mure- che senso ha? Eppure quanta gente nel tepore della primavera si trovava in quel luogo a ricamare corredi. Anche “il Piano - Trione del Piano- Buca del Piano” sono delle realtà vissute appieno da chi vi abitava sfruttando il sole per asciugarsi i capelli o curare l’artrosi.
Oggi, ben sistemati, ben custoditi, bene indirizzati rischiamo di smarrire il sentimento di appartenenza dato anche da tali definizioni. Senza radici una pianta muore.
Senza riferimenti il senso perde la storia che fa affondare la parte migliore di noi nell’assurda pretesa di voler essere (o apparire) più gigliese di un altro, invece siamo tutti figli delle stesse tribolazioni, stesse albe, stessi tramonti, stesso piatto di minestra ricco di finocchietto selvatico ...
Dedicato al mio Paese che rivive in estate la gioia del ritorno di quanti lo tengono nel cuore sempre, di qua e di là dal mare.
La mostra - Arte e mestieri - di “Oh che bel Castello” (4 - 5 agosto 2013) ha brillato grazie alla luce “passata” da diversi paesani e dalle “nuove botteghe che girano in tondo”.
Tutti altruisti e generosi nell’adottare artisti, artigiani e mestieranti espositori.
Palma Silvestri della Barroccia
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