Quel bar della Pilarella (a Porto Santo Stefano)
Ricordi, che a volte tornano trasformati e sedati dal tempo trascorso inesorabile e certo. Immagini vissute con gli occhi dell’infanzia e situazioni ritrovate guardando per caso una foto in bianco e nero.
E’ così che si squarcia il velo della memoria ed appare in un baleno un volto chiaro, circondato di morbidi capelli castani che sorride, mentre dietro il bancone di un bar, alla Pilarella, prepara i caffè e versa il fernet nei bicchierini per i gigliesi ammalati di mare. Isolani che mettevano piede in continente con il sole appena spuntato.
E quello, era il volto della signora Giulia.
Ancora scomposta dal sonno e dagli sballottamenti, arrivavo dall’isola del Giglio scendendo la passerella della motonave Aegilium, ultimo, esiguo legame con il mio microcosmo gigliese, accompagnata da un forte sentimento di appartenenza. Mi infilavo, impacciata di valige e stretta ad un familiare, nel bar “da Giulia” tiepido rifugio invernale, dove l’aria densa di aroma e il profumo delle brioches calde confondevano l’odore di salmastro sul mio vestitino, preparato con cura da mamma la sera prima della partenza.
Erano gli anni ’50 e quel bar, alla Pilarella, una breve sosta, quasi un premio al distacco pure quotidiano e al tempo, che ancora, attraverso la diga Leopoldina di Orbetello, mi avrebbe portato nelle città; faticoso confronto con la incosciente e serena vita sull’isola, grembo materno che sempre mi avrebbe accolto.
Tutto ciò vivevo ad ogni viaggio con la sottile sensazione di perdere quel mondo felice; gioco crudele della crescita e delle aspirazioni che a noi isolani fanno attraversare il mare con la testa, ma di più, con il cuore zeppo di ricordi.
Palma Silvestri della Barroccia (da appunti per Racconti brevi- gigliesi)
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