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Resistenza e lotta di Liberazione secondo La Malfa
CARO DIRETTORE, APPENA L’ALTRO IERI E’ STATA CELEBRATA LA RICORRENZA DEL 25 APRILE. ED ANCHE QUEST’ANNO, COME, PURTROPPO, STA, ORMAI, AVVENENDO DA TROPPO TEMPO, TRA DESTRA E SINISTRA, SONO “CORSE” ACCESE POLEMICHE D’OGNI TIPO SUI SUOI SIGNIFICATI. SONO VOLATE ACCUSE E CONTROACCUSE SENZA SOLUZIONE DI CONTINUITA’, INCAPACI, COME SIAMO, NON OSTANTE I TANTI ANNI PASSATI, DI CATALOGARE, NELLE SUE PRECIPUE CARATTERISTICHE, LA LOTTA DI LIBERAZIONE, DURANTE LA QUALE, DA UNA PARTE E DALL’ALTRA, CON IMMANCABILI LUCI ED OMBRE, CHE, SEMPRE, CARATTERIZZANO I GRANDI EVENTI, SONO CADUTE TANTE E TANTE VITTIME.
EBBENE, PROPRIO IERI, PER LA PRIMA VOLTA, M’E’ CAPITATO DI LEGGERE UN ACCORATO INTERVENTO IN PROPOSITO, PRONUNZIATO, ALLA CAMERA DEI DEPUTATI, IL 4 GIUGNO DEL 1959, OSSIA BEN 57 ANNI FA, DA UGO LA MALFA. INTERVENTO CHE, NON OSTANTE ABBIA FATTO PARTE, PER UN INTERO LUSTRO, DELLO “STAFF” DEL SEGRETARIO REPUBBLICANO, NON MI ERA MAI CAPITATO DI LEGGERE PRIMA. INTERVENTO CHE, NON SOLO MI HA COMMOSSO, MA MI HA ANCHE CHIARITO, IN OGNI SUO RISVOLTO IL SIGNIFICATO, APPUNTO, DELLA RESISTENZA DI CUI LA MALFA E’ STATO UNO DEI GRANDI PROTAGONISTI. INOLTRE, QUESTO “DISCORSO”, MI HA PURE EDOTTO SULLA PROFONDITA’ CULTURALE E SULLA TENSIONE EMOTIVA E MORALE CHE HA ALIMENTATO OGNI ISTANTE DELLA SUA VITA DI POLITICO ANTIFASCISTA E D I ECONOMISTA PROGRAMMATORE, QUALIFICANDOLO, SENZA RISERVE, COME “UOMO DI STATO” E COME “REFERENTE” (QUESTO BEN POCHI LO SANNO; IO L’EBBI A SCOPRIRE, IN VESTE DI SUO, “INFORMALE”, SEGRETARIO PARTICOLARE, ATTRAVERSO UNA RICHIESTA DI RACCOMANDAZIONI CHE IL PRESIDENTE DEL PARTITO RADICALE FRANCESE, JEAN JACQUES SERVANT-SCRHREIBER /1924-2006, PER IL QUALE UGO LA MALFA AVEVA RECENSITO L’IMPORTANTISSIMO LIBRO “LA SFIDA AMERICANA”, GLI AVEVA INOLTRATO) DEL COMITATO PER L’ASSEGNAZIONE DEI “PREMI NOBEL”.
PER CONCLUDERE, CHIEDENDOTI DI PUBBLICARLO, IN QUANTO ESPLICATIVO, QUANTO MAI, NEL BENE E NEL MALE, DI COSA SIA STATA LA RESISTENZA ITALIANA, TI FACCIO AVERE IL TESTO DI QUESTO DISCORSO, CHE, LETTO IN QUESTI FRANGENTI DI “PESANTI” SCONTRI POLITICI, MI FA CHIEDERE PERCHE’ MAI ANCORA SE NE DISPUTI, IN QUANTO, NELLE PAROLE DI UGO LA MALFA C’E’, IN “EVIDENZA SOLARE”, OGNI SIGNIFICATO, SENZA INFINGIMENTI O PARTICOLARI GLORIFICAZIONI DI QUELL’EVENTO, CHE HA SEGNATO, PER SEMPRE, LA STORIA ITALIANA.
La Camera mi consenta di essere semplicemente e soltanto commosso, perché questo giorno richiama in me una folla di ricordi: di ore di speranza, di ore disperate, di paura e di eccezionali coraggi”. “Signor Presidente, ho ormai 35 anni di attività politica, di cui 20 spesi nella battaglia antifascista, e ciò mi esime – penso – dall’usare la retorica. Quindi, posso guardare alla lotta di resistenza e alla liberazione con spirito calmo e obiettivo, e posso, onorevoli colleghi – possiamo, onorevoli colleghi, se tutti abbiamo raggiunto questa tranquillità e questa obiettività – possiamo (e uso una parola volgare) ridimensionare quegli eventi. Quando noi misuriamo quegli eventi alla (lasciatemelo dire) opaca realtà di oggi, in certi casi, allo squallore della realtà attuale; quando misuriamo quegli eventi sul metro dei nostri piccoli opportunismi, dei nostri trasformismi, delle nostre viltà morali di ogni giorno, di tutti noi, onorevoli colleghi, possiamo pure porci un problema più vasto e penetrante: che cosa quegli eventi, che si sono sublimati in certe manifestazioni, hanno rappresentato per la struttura della società italiana, per le sue stratificazioni storiche, per le sue buone e anche cattive tradizioni, per i suoi opportunismi? Possiamo anche dire, tutti quanti, che, se c’erano veri partigiani, ci sono stati molti falsi partigiani, se c’erano veri antifascisti, ci sono stati antifascisti d’accatto e di maniera. Perché dobbiamo noi gonfiare quella realtà?” “Del resto, onorevoli colleghi, problemi di questo genere nel nostro paese si sono posti anche in altri tempi, si sono posti agli storici e ai politici che sono diventati storici, si sono posti rispetto al Risorgimento: qual è il rapporto fra l’azione delle minoranze e la realtà delle strutture sociali, fra l’azione delle minoranze e le classi dirigenti che hanno responsabilità di quelle strutture sociali?” “Signor Presidente, è perciò lontana da me l’intenzione di riempirmi la bocca di magniloquenti parole. Vi è una sola cosa che sempre mi ha fatto pensare in questi anni e che mi fa pensare molto più frequentemente in questi tempi di relativa aridità (e voglio sperare che questa aridità non sia permanente). Qualunque giudizio noi diamo su questi eventi, vi è qualcosa, un titolo di nobiltà, definitivamente acquisito alla storia del nostro paese. Sono i morti, i morti che sono stati preceduti dai seppelliti vivi, pochi e molti che fossero, nelle galere fasciste. Su questi morti noi non possiamo fare polemica né discussione. Fra l’altro possiamo a tutti, non ad essi, attribuire la responsabilità di certo squallore attuale. Essi, proprio perché sono morti o sono stati seppelliti vivi, onorevoli colleghi, hanno dato tutto in piena purezza, non li ha toccati nessuna delle mediocrità che disgraziatamente caratterizzano, forse troppo, la nostra vita attuale.” “Onorevoli colleghi, vorrei essere franco fino in fondo. Pensando a questi morti che furono anche vecchi, ma furono giovani, qualche volta giovani che si affacciavano appena alla vita, mi lascio prendere, nei momenti di tristezza, da un sentimento grave, da una specie di sentimento di rammarico. Penso, essendo stato maggiore di età di qualcuno di loro, se avendo pensato come io penso, non li abbia indotti o non abbia contribuito a indurli al sacrificio e se avevo questo diritto, guardando alla realtà attuale.” “Come vedete, è un sentimento, onorevoli colleghi, estremo, un sentimento grave che, subito, appena appare, respingo. Sarebbe veramente triste e desolante se io dovessi concludere (e forse qualcuno con me dovesse concludere), nelle ore più oscure, che quel sacrificio è stato vano. Poi mi faccio alimentare dalla speranza, dalla fiducia e non penso che quei giovani (poiché molti di quei giovani erano romani ed operavano in Roma) se non hanno conosciuto la nostra situazione e le nostre miserie attuali, non hanno nemmeno goduto il sole, l’azzurro, la primavera che sono la gioia sicura (questa sì) della vita umana.” “Abbandono queste considerazioni, che potrebbero sembrare un rimorso, per dire, onorevoli colleghi, che se la liberazione e la Resistenza sono state vaste e profonde o non vaste e non profonde, se hanno creato un costume o si sono prestate alla speculazione, non importa. Nel patrimonio del popolo italiano non entriamo noi viventi. Ma se vi fosse stato anche solo un morto […] egli meriterebbe di essere ricordato, come meriterebbe di essere ricordato l’avvenimento per il quale quella vita si è immolata. Basta infatti un uomo solo, che muoia per un ideale e per la libertà del paese, perché questo paese acquisti un titolo di nobiltà. Appunto ricordando questo, onorevoli colleghi, riacquisto fiducia e a quei morti mando il mio saluto e quello dei repubblicani tutti.
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