Illustrazione di Sigismondo Arquer, anno 1550
Il 16 di ottobre è stato segnalato che i primi cacciatori sono arrivati in perlustrazione al Giglio per abbattere i mufloni. Questa azione, insieme all'eradicazione delle "specie aliene" da parte dell’Ente Parco che sta portando avanti anche le sterilizzazioni chirurgiche degli esemplari catturati, garantirà l'estinzione di questa popolazione di mufloni unica nel suo genere. Le radici e la cultura della nostra società sono intrinsecamente legate al muflone. Senza narrazione, la storia tende a perdersi e con essa il senso di sé e delle proprie origini.
Barbara Wilkens, Archeozoologa, dopo aver ascoltato la storia dei mufloni del Giglio ci ha inviato questo scritto che descrive il rapporto tra uomo e muflone iniziato poco più di undicimila anni fa; dopo che l’avrete letto, vi renderete conto di quanto strumentale e fuorviante sia l’aggettivo “alieno” applicato al Muflone nel nostro areale geografico e culturale.
Barbara Wilkens è attualmente ricercatrice indipendente presso Alghero, ex docente di Archeozoologia all'Università di Sassari, socia dell'International Council of Archaeozoology, socia fondatrice dell'Associazione italiana di Archeozoologia ha studiato presso l'Università di Pisa e presso il Centre national de la recherche scientifique a Valbonne, in Francia.
STORIE DI UOMINI E MUFLONI
Barbara Wilkens, Archeozoologa, per SaveGiglio.org
Le premesse per una svolta nella storia umana e di altre specie animali inizia con i cambiamenti climatici conseguenti alla fine dell’ultima glaciazione circa 11.000 anni fa.
I cambiamenti portano a variazioni nelle composizioni faunistica e vegetale di gran parte del nostro pianeta. Per quanto riguarda l’Europa mediterranea, il Vicino Oriente e le aree confinanti, si assiste a un innalzamento del livello marino. Si suppone che sulla costa siro-palestinese le popolazioni umane di tradizione natufiana che vivevano di caccia e di raccolta e già sfruttavano i cereali selvatici, in seguito alla rarefazione di queste specie che erano alla base della loro economia, tentarono di fermarle con una primitiva forma di coltivazione dando così inizio alla cosiddetta rivoluzione neolitica che è alla base della nostra attuale civiltà.
Il cibo non viene più cercato, raccolto o ucciso, ma viene prodotto a seconda delle necessità. La neolitizzazione si sviluppa in modo progressivo a partire dal cosiddetto preneolitico natufiano, fase ancora legata alla raccolta e alla caccia.
La domesticazione è una forma di simbiosi, che consiste, da parte dell’uomo, nel controllo di specie animali e vegetali, allontanandoli dal loro ambiente naturale e controllando la loro nutrizione e riproduzione, per ricavarne vantaggi. Ma la domesticazione ha due controparti. Da parte della specie animale o vegetale il passaggio sotto il controllo dell’uomo porta il vantaggio di una maggiore protezione contro i predatori, che si riducono al solo uomo, e alla protezione contro i disagi ambientali. Se lo stato domestico può sembrare svantaggioso per il singolo individuo che difficilmente raggiungerà un’età avanzata, è favorevole per la specie che avrà maggiori possibilità di diffondersi nel tempo e nello spazio. Se i benefici non sono reciproci, difficilmente la domesticazione avrà successo. L’uro si è estinto, ma i bovini domestici si sono diffusi in tutto il mondo; il cavallo selvatico e i caprini selvatici corrono gravi rischi di estinzione, ma non altrettanto i loro simili allo stato domestico.
Le prime specie a far parte del bestiame domestico delle popolazioni neolitiche del Vicino Oriente sono le pecore, le capre, i buoi, i maiali. Un discorso a parte riguarda il cane che era allo stato domestico da tempo con scopi e finalità diverse.
La sistematica del genere Ovis allo stato selvatico è alquanto controversa. In genere si considera una specie Ovis orientalis Gmelin (sinonimo Ovis vignei Blyth), con numerose sottospecie.
Si hanno indizi di domesticazione della pecora dall’ottavo millennio a.C. ad Ali Kosh (Flannery, 1965), e nel settimo la pecora domestica è diffusa in numerosi siti del Vicino Oriente ed anche in Grecia.
Il nuovo tipo di economia produttiva porta ricchezza e aumento della popolazione e le popolazioni neolitiche si espandono al di fuori della loro terra di origine portandosi dietro la loro cultura e i loro animali. Si tratta di specie in uno stadio molto iniziale di domesticazione, sia dal punto di vista morfologico che molto probabilmente di comportamento, cosa che porta alcuni gruppi a sfuggire al controllo umano e a tornare alla vita selvatica. Si formano nuove popolazioni alcune delle quali, come il muflone di Cipro, il muflone della Corsica e quello della Sardegna sopravvissuti fino ad oggi. Lo stesso avviene per altre specie come la capra e il cinghiale. Capre con le caratteristiche della originaria Capra aegagrus si trovano a Creta e si trovavano a Montecristo fino a poco tempo fa. Probabilmente nel Neolitico questi fenomeni furono ampiamente diffusi ma sulla terraferma le nuove popolazioni erano maggiormente sottoposte alla pressione delle specie residenti e ai predatori.
Ciò nonostante alcune di queste popolazioni vivevano ancora in età romana. Secondo Varrone (De Re Rustica II,1 e 3) in età romana esistevano capre selvatiche in alcune località: “Ve ne sono infatti molte in Italia nella zona del Fiscello (Umbria) e del monte Tetrica (Abruzzo)”. Lo stesso Varrone cita Catone riguardo alla presenza di capre selvatiche sul Soratte (Lazio) e sul Fiscello.
In Italia meridionale, Corsica e Sardegna, le popolazioni neolitiche arrivano con la nuova cultura pienamente formata, completa di ceramica, agricoltura e allevamento, intorno al VI millennio a.C.
In Puglia e Basilicata si hanno pecore con caratteristiche abbastanza vicine a quelle dei mufloni attualmente viventi in Sardegna: taglia relativamente grande, cranio acorne nelle femmine, fornito di robuste corna a sezione sub triangolare nei maschi, frontale diritto. Individui che presentano queste caratteristiche sono state osservati a Rendina e a Latronico. Presenti in alte percentuali erano sfruttate principalmente per la carne.
Il vello lanoso è una mutazione che nelle pecore avviene in seguito alla domesticazione ed è particolarmente difficile conoscere dai resti archeologici quando questo sia avvenuto. Una delle più antiche raffigurazioni di pecora lanosa, da Sarab in Iran, risale al 5000 a.C. circa (Bökönyi, 1974), ma è probabile che in Europa pecore con queste caratteristiche siano state introdotte più tardi.
Quindi dopo il loro arrivo e il loro ritorno allo stato selvatico, i mufloni sardi vengono sporadicamente cacciati e utilizzati in tutti i periodi: da vittima di prestigio nei santuari dall’Eneolitico di Monte d’Accoddi al santuario nuragico ma utilizzato ancora in era romana della Purissima di Alghero; a cacciagione ricercata per la carne e per il corno da lavorare nelle officine medievali specializzate (Santa Filitica, Santa Maria di Seve). Il muflone diventa il simbolo e l’animale tipico delle due isole. I romani usavano incrociarli con le pecore domestiche per ottenere particolari variazioni di colore. Gli individui prodotti dagli incroci venivano chiamati “umbri”.
Nel Medioevo il muflone continua ad essere visto come animale simbolo. Sigismondo Arquer ne inserisce una immagine nel suo lavoro sulla Sardegna del 1550 (Sardiniae brevis historia et descriptio in Cosmographia di S. Münster), e Francesco Cetti ne parla diffusamente nei suoi libri alla fine del XVIII secolo. Al suo tempo i mufloni erano ancora abbondanti, ma non in tutta l’isola.
Alcuni esemplari venivano addomesticati e tenuti in casa: “Timido è all’eccesso, e per poco trema di paura: d’ogni romore si allarma, e perciò è difficilissima la sua caccia; per poco strepito, che ascolti, leva le berze......Vivono gregari talora in truppa di cento: il muflon più vecchio e forte è sempre il duce. Si domesticano facilmente, onde molti si dilettano averne per le case.... Imparano facilmente a seguitare il cavallo, e l’uomo: a conoscere la casa del padrone, vanno e vengono. Riescono però spesso importuni per la loro sovrana impertinenza, per cui non vi è angolo in casa, ove non annasino con rovina, e fracassamento di mobili. Si fanno clandestinamente a’ mercati, manomettendo cavoli e frutta, sono il terrore delle fruttajuole”. (Cetti, 1774, pp.124-125)
“Il latte pure della muflona si dice essere migliore di quel della capra, e denso quanto quello della pecora; ma poco se ne mugne”. (Cetti, 1774, pp.122-123)
Riassumendo, i mufloni hanno dato origine a tutte le pecore attuali e hanno accompagnato la nostra civiltà dal Neolitico antico fino ad oggi, cioè da circa 8.000 anni nei nostri territori e ancora più nei loro territori di origine del Vicino Oriente. In passato sono stati amati come simbolo della natura selvaggia e spesso sono stati spostati in parchi perché tutti potessero ammirarli e anche per salvarli da possibili estinzioni.
Adesso in alcune località la loro sopravvivenza è messa in pericolo come specie aliena. Cosa si intende per specie aliena? Quanto tempo deve passare dopo il suo arrivo perché una specie non debba più essere considerata aliena? Se si è bene inserita nell’ambiente, 8.000 anni bastano? Oppure 2.000? 500? o 100, o 50? Vogliamo ricreare un falso ambiente fine glaciazione? Quell’ambiente non esiste più, c’è stata la storia umana e la storia delle diverse specie animali che l’uomo ha portato con sé. La storia è andata avanti e non dobbiamo rinnegarla.
Questo è particolarmente evidente nelle isole. In Sardegna per esempio i mammiferi selvatici con l’esclusione dei pipistrelli, sono tutte specie aliene se consideriamo essere alieni il fatto di essere stati introdotti dall’uomo. A levarli tutti la Sardegna sarebbe uno scoglio popolato da uccelli.
Bibliografia
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Ma quali interessi ci potranno mai essere dietro alle azioni messe in atto dall'ente parco, se si insiste diabolicamente nel portarle avanti, nonostante siano, per l'ennesima volta, confutate e demolite dal punto di vista scientifico e antropologico come viene fatto in questo articolo???
Finalmente un resoconto di altissimo livello scientifico e storico, oltre che di profonda partecipazione antropologica. Si dovrebbe dare (o meglio, dovrebbe prendere) la parola solo a chi è competente come l'autrice di questo intervento.