"Un bicchiere d'amore" nella Cantina della Chiesa
C'è una cantina in più da visitare all'interno del percorso organizzato per la Festa dell'Uva e delle Cantine aperte. E' la Cantina della Chiesa in cui sarà possibile prendere parte all'iniziativa "Un bicchiere d'amore" pensata da don Lido e dal Gruppo Missionario "Padre Luciano Baffigi" per il sostentamento di due Centri Nutrizionali del Burkina Faso.
ECCO, LA VEDO DALL’ALTO Ecco, d’un tratto, quasi un sogno, in pieno sole e con il mare azzurro che la contorna tra scogliere di grigio-smeraldo, vedo battere il cuore grande di questa piccola isola incantata, ch’è un gioiello, di bellezza e d’amore. Sono questi i giorni della raccolta dei fondi, per la gente dell’Africa nera, nelle chiese, con il bicchiere in mano e l’animo commosso. Non ostante non sguazzi nel superfluo, è gente generosa quella del Giglio, in apparenza, egoista, ma, in fondo, assai solidale e pronta al sacrificio, come, subitaneamente, ha dimostrato la notte della Concordia e gli anni a venire. Non a caso, le è stata conferita una medaglia d’oro, come d’oro puro sono i grappoli delle sue vigne sparse, che trasudano dolcezza già prima d’essere colte. La vedo, quindi, o quantomeno la immagino, in fila, uno dietro l’altro, famiglia per famiglia, ancorchè divisa da atavici ed incolmati campanilismi, tra il Porto, Campese ed il Castello, andare qua e là, modestamente, per “frasche” e per cantine, appena aperte e consolidate, a rigenerarsi con quell’ambrosia d’Ansonaco, che Dio gli ha dato e che quasi ribolle ancora nei i tini, per poi, finire in chiesa, in ogni chiesa di culto, a meditare sulla sua buona sorte, al confronto di quella disperata del Burkina Fasu, recando, secondo Cristo, con gioia ed amore sofferto, l’obolo, dovuto a chi vive, sempreché vi riesca, nelle tribolazioni.
A G R U S E S T U S ! Assai lodevole l’iniziativa solidaristica promossa dalla Parrocchia del Giglio a sostegno delle iniziative mutualistiche in Burkina Fasu, una delle regioni più povere e disperate del mondo e con i più alti tassi di mortalità infantile che si conoscano. Anche la COOP in generale e quella di Riotorto (LI) in particolare, da anni ormai, hanno ”sposato” questa causa, portandola avanti con successo, ancorchè relativo, considerate le condizioni di partenza ed il contesto soci-economico in cui c’è, praticamente, bisogno di tutto. Le cooperative, infatti, che, anno dietro anno, mandano risorse e personale, hanno creato un centro abitato “attrezzato”, che già s’avvale d’una “foresteria” per gli ospiti, d’una infermeria-ospedale, dotata d’attrezzature per interventi urgenti e per consentire parti in sicurezza (con l’assiduo concorso di alcune cooperatrici-ostetriche, che, a scadenze regolari, si recano colà, vengono anche addestrate alla “maieutica” giovani infermiere del luogo), una pizzeria di tutto rispetto, più pozzi ed orti sufficienti a consentire la coltivazione di frutta e verdura d’ausilio all’alimentazione, seppure non ancora in grado di garantire un integrale soddisfacimento dei bisogni. Ma questa iniziativa del Clero gigliese e dei Missionari che sono andati a coadiuvarlo, per me che, essendo d’origine contadina, sono ancora molto legato alla terra, assume, per molteplici ragioni, un valore particolare. Infatti, lconiugare la solidarità al consumo del vino, non solo costituisce (almeno per me) una rarità assoluta, ma anche un rito augurale che mi fa rivivere il passato, in quanto questo vino, che si chiama Ansonico e che è squisito, mi riporta al tempo in cui, anch’io, al centro d’Orbetello, ne producevo qualche “caratello” da poco più di 500 piante. Piante che, attraverso una vendemmia di famiglia, fatta d’accorte ed accurate “schiccature”, vedevano, poi, i ragazzi giuocare e pestare insieme, entro tini di mezza misura, quel miracolo della natura, che diventato, in pochi giorni, un vero e proprio “giulebbe”, faceva 14 gradi e mezzo, privo d’acidità, e giallo paglierino come la pipì degli infanti. Ma anche ad altri tempi, quando frequentando la Chiesa, facevo talvolta il “chierichetto” e “seguivo” attento la Messa fino al “miracolo” finale della “transustanziazione”. A quel punto, dopo la “manducazione” dell’ostia, al sollevare del calice, la mia fantasia si scatenava, prefigurando la “cantina del tesoro” in cui era custodito quell’elisir di vino, che, riservato al Prete per la sacra funzione, non era consentito ai comuni mortali. E mi veniva tanta voglia di rubarglielo e d’aggiungerne d’ordinario come, si diceve, facesse la “perpetua” che tirava su di gomito ed il “prevosto”, talvolta, la trovava alticcia. Come mi raccontava mio padre, che oggi non è più, che, non ostante fosse un grand’uomo, non conosceva il Latino e che, di tanto in tanto, reiterava la storiella del chierico che, dopo aver ceduto alla tentazione d’assaggiare quella rara delizia, non avendo a portata di mano un vino comune con cui ripristinare il livello dell’ampolla, dovendo agire in fretta, s’era avvalso d’un po’ d’aceto di “bottega”. Da cui, la risata, tra sé e sé, del mio “vecchio” che, prefigurando il gesto sacrale del sacerdote al primo sorso gli faceva gridare: “Agrus estus!!”. Cosa c’è di più bello e di più buono, dunque, dopo essere andati, per altri ambulacri e per altre cantine a celebrare la vendemmia, abbondante o scarna che sia stata, del recarsi in quella, ben fornita., del Prete, con la certezza di bere, se non proprio quello della Messa, quantomeno l’Ansonico più buono del Giglio (posso ben dirlo perché, un tempo, qualche fiasco di quello leggendario di Don Andrea Rum ho pure avuto la grazia di poterlo centellinare), e colà, seduti e rinfrancati per il lungo e sempre più incerto camminare, un po’ “su di giri”, ovvero con lo sguardo alquanto inebriato, mettersi una mano in tasca e tirar fuori qualche soldo (quanto più è possibile senza soffrirne) nella certezza che andrà a soddisfare bisogni ed esigenze vitali per la povera gente del Burkina Fasu, che, nella miseria più nera, rischia addirittura di morir di fame.