Cari ragazzi sono in ritardo, ma il Carnevale è lungo e spero che possiate, con l’aiuto delle vostre brave insegnanti, provare ancora la “zeppa”. 
Nel nome c’è già l’idea di una cosa pesante che doveva riempire e zeppare (nel passato) ora non ce n’è più bisogno e servirà semmai a soddisfare la vostra curiosità.

UN DOLCE POVERO

La zeppa era un impasto di farina di grano turco fatto con acqua calda, un pizzico di sale e una ricca manciata di uva secca deprivata del nocciolo. Si pigiava bene l’impasto in una teglia di coccio appena unta d’olio, poi con le dita si facevano delle fossette sulla superficie, si bagnavano con parsimonia con l’olio e si lasciavano cadere sopra ancora granelle di uva secca e rametti sminuzzati di rosmarino. Si spolverava con un po’ di zucchero e s’infornava nel forno caldo. Si toglieva quando aveva fatto una bella crosticina dorata.

Il ricordo è quello della giovinezza, quando l’appetito non aveva bisogno di essere sollecitato.
Io non l’ho più mangiata, ma la rivedo ancora quando usciva dal forno come un bel solo dorato e sento il profumo del rosmarino selvatico che stuzzicava le narici.

Caterina Baffigi Ulivi