Un refolo di Libeccio
Trentadue lanterne lanciate verso il cielo, trentadue come le vittime del naufragio. Il primo anniversario si concluse così al molo di levante, mentre alle 21.45 esatte, l’ora dell’impatto della Nave con Le Scole, le campane della chiesa di San Lorenzo e Mamiliano al Porto e le sirene di tutte le barche suonarono fino a emettere un corale lamento funebre.
Un leggero refolo di libeccio spingeva le lanterne verso nord, proprio in direzione della Nave, mentre l'anno prima era stato il grecale a spingerla verso la punta della Gabbianara. E un brivido di emozione percorse i presenti, naufraghi, familiari delle vittime, gigliesi, tutti radunati davanti alla lapide in bronzo che, “ad sempiternam memoriam”, ricorda i trentadue nomi. È stata realizzata in fretta e furia da una fonderia nel Chianti fiorentino contattata alla vigilia del Natale precedente. “Serve una fusione in bronzo entro il 10 gennaio”. “Mi dispiace, siamo chiusi per le vacanze”. “È per ricordare le vittime del naufragio al Giglio”, tentai di replicare nella speranza di far cambiare idea al mio interlocutore. Breve pausa e poi “Proveremo a farcela”, mi risponde dopo un attimo di esitazione. E ce la fecero. Ancora grazie.
Quella lapide, per me, è bellissima. Cambia continuamente di colore e questo la rende ancora più speciale, con la spirale che richiama la forma perfetta e quella linea a simboleggiare l’orizzonte marino sotto il quale sono incisi i nomi. È stata un’idea di Cesare Scarfò, giovane ingegnere nato e cresciuto a Siena che ha scelto il Giglio come sua patria. Qui ama lavorare la terra e coltivare antichi vitigni, quelli che dal Medio Oriente giunsero a noi passando dalle isole greche la Calabria e poi la Sicilia, alla ricerca del vino delle origini.
La notte del naufragio lui c’era, insieme a tanti altri gigliesi, tutti insieme riuscirono a strappare alla morte decine di persone, stravolte dalla paura.
Nel provare a ricordare le gesta di ognuno di loro viene alla mente Lucrezio e il suo “De rerum natura”. Non per la fine dei malcapitati naviganti, quanto per la storia che hanno voluto scrivere gli spettatori. “È dolce, mentre nel grande mare i venti sconvolgono le acque, guardare dalla terra la grande fatica di un altro; non perché il tormento di qualcuno sia un giocondo piacere, ma perché è dolce vedere da quali mali tu stesso sia immune”. Immagine che da secoli scatena il dilemma. Di fronte alla sciagura si rimane a guardare oppure si prende parte attiva al dramma che si sta svolgendo?
I gigliesi in quella notte scelsero la seconda strada, anche quelli che non avevano letto Blaise Pascal che in una sua celebre massima scrive “Vous êtes embarqués”. Voi siete imbarcati. Tutti siamo imbarcati. E tutti, nel giro di pochi minuti, con una ininterrotta ed efficace catena di telefonate si sono imbarcati su quella nave, piombata poco fuori dalle loro case. E così agendo hanno impedito che la tragedia potesse assumere ben altre proporzioni.
Mentre ancora dobbiamo capire perché tutto questo sia accaduto, una cosa la sappiamo con certezza. Nel momento più buio della notte, l’Umanità sentì soffiare un vento di speranza. I gigliesi anziché fermarsi a guardare si sporcarono le mani e agirono per evitare il peggio.
Gilbert Keith Chesterton scrive che: “Le favole non insegnano ai bambini che i mostri esistono, questo lo sanno già. Le favole insegnano ai bambini che i mostri possono essere sconfitti”. L’altra faccia di quella notte ha insegnato che le cose si possono cambiare e che tutti dobbiamo sentirci imbarcati nella stessa nave, sia quando stiamo in mare sia se siamo sulla comoda terraferma.
La prima giornata di commemorazione del naufragio era iniziata sotto un cielo grigio e carico di pioggia, con l'arrivo al Porto dei naufraghi e dei loro familiari. Nella chiesa del Porto, gremita all’inverosimile, si respirava una energia carica di lutto e commozione. Il vescovo, che officiò la Messa di suffragio, fece risuonare le parole del Vangelo: «Il cielo si aprì quella notte per il Giglio che ricevette il suo battesimo al Giordano». L’anno successivo la stessa commozione e lo stesso lieve vento di libeccio a spingere le lanterne in direzione della Nave ormai raddrizzata. Una data, il 13 gennaio, che rimarrà indelebile nella storia dell’Isola, anche ora che Lei non è più là. Chissà se il vento anche mercoledì prossimo, quarto anniversario del naufragio, spingerà sempre in quella direzione.
Michele Taddei
Non c'è niente da fare. Ogni volta che leggo qualcosa che riguarda quella tragica sera trattengo a stento la commozione. Anche perché mi sento sempre orgoglioso delle mie origini paterne.
TRENTADUE LANTERNE IN PARADISO Bella, bella lezione di Solidarietà c’hai dato, caro Taddei, pure dal punto di vista culturale, ancorché Plutarco, di fatto, conoscendo poco Cristo, non sapesse cosa significhi “fai agli altri quello che vorresti per te stesso”. Ed è per questo, che il Giglio tutto si mobilitò quella scura notte. Una notte in cui l’umana stupidità e l’incuria ebbero il sopravvento e d’una vacanza spensierata fecero una tragedia. Ed e’ per questo, che solo trentadue furono i morti e solo trentadue son le lanterne, che, mentre le cinesi magnificano l’amore sacro e profano, quelle dei giorni scorsi, celebrano la gloria di tanti innocenti, vittime del’imperizia e della fellonia d’un uomo, che, ancor oggi, si vanta d’aver compiuto il suo dovere fino in fondo, mettendosi, anzitempo, in salvo, coi suoi “accolti”. Pensate un poco, allo spettacolo grande e impressionante, cui, commossi, i Gigliesi avrebbero assistito, se solo il cielo dell’isola fosse stato solcato, come avrebbe pure potuto essere, da migliaia di lanterne “illuminate”. Sarebbe stato giorno, un giorno di miserie e di dolore per la gente di mare e del Paese, in lacrime per sempre, come fu per Longarone e i suoi dintorni. L’uomo, ancora una volta avrebbe confermato d’essere lupo all’uomo, e gli agnelli sacrificali avrebbero, invano, belato negli stazzi. Ma la gente, questa gente rude d’uno scoglio che la sorte ha posto in mezzo al mare, per bellezza, s’è tanto prodigata che, appena trentadue non ne ha salvati di questi disperati, “intrappolati”. Trentadue, che pur essendo assai, son pochi al cospetto dell’evento. Trentadue, le cui lanterne luminose, se anche il vento fosse stato di Libeccio sempre su Gabbianara si sarebbero dirette, prima di salire in Paradiso.