Vertenza Marina del Giglio - Comune: sentenza dopo 43 anni
Con riferimento alle recenti vicende giudiziarie connesse e conseguenti alla ex miniera di pirite del Campese, per non iniziare da troppo lontano una narrazione che, per essere compresa anche solo nei suoi aspetti essenziali non può essere breve, partiamo dalla data del 1° Agosto 1951, quando la società Montecatini, importante gruppo chimico-minerario impegnato in un programma aziendale per aumentare le riserve di pirite e per mantenere il controllo del mercato nazionale, sostituì la SIMAD (Società Industrie Minerali Azoto e Derivati) nella gestione della miniera. Nel 1952 nella miniera vi lavoravano circa 200-230 operai, ma in realtà l'organico effettivo era assai inferiore per i numerosi infortuni. Il lavoro era duro ed era facile farsi male, così la Montecatini organizzò due ambulatori con la presenza costante di un medico e di un infermiere. La miniera fu attiva fino al 1963.
Come ci racconta Carlo Pistolesi nel suo libro 'La miniera del Franco' “... in quel periodo gli addetti alla miniera erano rimasti solo in 33; di questi quattro erano ricoverati nei 'sanatori', altri quattro avevano inoltrato un 'domanda di invalidità', sette non erano residenti e avevano accettato di trasferirsi in altre miniere della Montecatini, due marinai avrebbero continuato a fare quello che avevano sempre fatto e gli altri avevano accettato un 'premio di licenziamento' (circa 350.000 lire)". Gli amministratori locali dell'epoca (sindaco Giorgio Rum) si preoccuparono della conseguente crisi economica-occupazionale e cominciarono a elaborare un piano per sviluppare il turismo: soprattutto contavano di ripianare il Bilancio 1961-62 con un contributo di sei milioni a carico della Montecatini. Con una beffa abbastanza divertente se paragonata a recenti vicende isolane in tema di mega promesse di ditte private a favore della collettività gigliese, alla fine il Comune rimase senza il becco di un quattrino e, all'ultimo momento, la magnanimità dei dirigenti della Montecatini giunse a promettere in dono al Comune una vecchia “Campagnola”. In un memorabile articolo sul giornale l' “Avanti” dell'11 aprile 1964 a firma di Giuseppe Favati si legge: “Al Giglio non esiste alcuna attività industriale. Esisteva una miniera per lo sfruttamento della pirite, in località Campese gestita dalla Montecatini ….. La solita favola moderna con la solita morale: arriva la Montecatini e con essa il lavoro, poi un giorno la società concessionaria decide di andarsene perché la gestione non ha più carattere economico e lascia dietro di sé alcune lapidi di caduti sul lavoro e quasi il 50% di uomini malati di silicosi. I terreni, acquistati per quattro soldi, rimangono nelle sue mani.”
Questa ultima affermazione sembrerebbe di interesse quasi marginale rispetto agli interessi aziendali della Montecatini ma assume invece un significato preciso di nuovi progetti lungimiranti; nel 1957 infatti la Commissione Provinciale per le bellezze naturali della Provincia di Grosseto, non all'unanimità ma a maggioranza(con l'astensione del rappresentante dell'Associazione Industriali) includeva le isole di Giglio e Giannutri nell'elenco delle zone soggette a vincolo paesaggistico, decisione poi ratificata con decreto Ministeriale del 14 dicembre del 1959 (VEDI DECRETO A FIANCO).
In concreto, nel 1957, in epoca pre-turistica, quando le principali attività economiche dell'isola erano costituite dall'industria mineraria (cave di granito comprese), agricoltura, pastorizia, pesca, marineria ecc. l'unica osservazione contraria a un presunto vincolo di inedificabilità fu elaborata e presentata dalla società Montecatini, fatto ancora più sorprendente se si considera che all'epoca non solo la miniera era perfettamente efficiente, ma che il 1958 fu addirittura l'anno della massima produzione con 28.000 tonnellate di pirite mercantile scavata e arricchita da 235 operai.
Nei primi anni '70 dello scorso secolo il nuovo Piano di Fabbricazione del Giglio prevedeva per la zona della ex miniera la possibilità di costruire un complesso “turistico-allberghiero”. Tale definizione, per la sua presunta ricaduta positiva in termini occupazionali, consentiva un indice di fabbricabilità di tre metri cubi su ogni metro quadrato, praticamente il doppio dei normali indici edificatori. Fu così autorizzata, in un primo momento, una enorme volumetria di oltre 30.000 metri cubi di fabbricati, poi ridotta in seguito a varie proteste di associazioni e di privati cittadini (la minoranza dell'epoca definì la concessione edilizia “la più ignobile vicenda del dopoguerra gigliese; l'avvocato Claudio Canovi del foro di Roma vide riconosciuta legittima la sua lagnanza dal Comitato Regionale di Controllo in quanto si era autorizzata, con un'unica licenza, la costruzione di un vero e proprio agglomerato urbano ecc.).
La costruzione di tale enorme cubatura rappresentò alla fine solo una speculazione a favore di grandi potentati economici estranei agli interessi dell'isola; lo scadere dopo pochi anni del vincolo alberghiero delle poche camere previste all'inizio, a distanza di anni non fornì quella occupazione di lavoro che si pretendeva e garantiva; la costruzione del residence fu anche favorita, a suo tempo, dalla possibilità di stoccare enormi quantità di materiale di scavo e di riporto nella contigua zona dello “Stagnolo” per la costruzione del campo sportivo comunale: operazione di riempimento che ha alla fine provocato, anche se in modo preterintenzionale, la mancanza della naturale “vasca di espansione” del borgo del Campese in caso di eventi alluvionali eccezionali.
A parziale scomputo degli oneri di urbanizzazione, il 1° Ottobre del 1975 la società “Marina del Giglio” si era impegnata, con un atto d'obbligo, a trasferire al Comune una unità immobiliare ad uso ambulatorio, l'ex chiesina dei minatori e altre aree destinate a essere occupate da opere di urbanizzazione (strade, parcheggi, verde pubblico). L'ambulatorio, per qualche anno realizzato, era ovviamente e principalmente funzionale al residence per la sua localizzazione logistica all'interno del residence stesso. Come pure risultarono essenzialmente funzionali al residence i parcheggi della valle Ortana, se non altro per la posizione di contiguità. (A parere dello scrivente sarebbe stata opportuna, in occasione dell'alluvione dell' 11-12 novembre 2012, una valutazione delle responsabilità conseguenti alla tombatura del fosso, a suo tempo effettuata, causa dell'inondazione di quella parte del centro abitato e che ne ha reso necessaria la riapertura a cielo aperto, con oneri finanziari a carico dell'amministrazione comunale e quindi dei cittadini).
Con varie motivazioni, la Marina del Giglio in tutti questi anni non aveva mai provveduto al trasferimento di tutti i beni immobili oggetti dell'atto d'obbligo a favore del Comune di Isola del Giglio. Trasferimento legittimo e soprattutto dovuto non solo in termini di accordi scritti ma moralmente spettanti alla collettività gigliese, dato che i relativi valori economici rappresentano solo le briciole rispetto al valore venale globale dell'intera vicenda fin qui descritta e di tutte le sue implicazioni sociali, amministrative e politiche.
Finalmente, il 7 dicembre 2017 il TAR della Toscana, con una sentenza in seguito a ennesimo ricorso presentato nel 2011 dal Comune di Isola del Giglio, riconoscendo la fondatezza delle questioni di fatto e di diritto (fra l'altro anche dallo scrivente a suo tempo sostenute e condivise dall'avvocato Tamburro, difensore degli interessi del Comune) ha condannato la società Marina del Giglio a trasferire tutti gli immobili oggetto dell'atto d'obbligo del 1975 (ambulatorio, ex-chiesetta dei minatori, terreni ecc.) al Comune di Isola del Giglio.
Armando Schiaffino – ex Sindaco
Per commentare occorre accedere con le proprie credenziali al sito www.giglionews.it
Login
Non riesci ad accedere al tuo account? Hai dimenticato la password?