Rispondo in quanto produttore chiamato in causa dall’articolo/lettera di Armando Schiaffino pubblicata su Giglionews il 25 settembre scorso. Ero presente alla giornata Slow Food fra i produttori di passito delle isole mediterranee e non sono stupito dalla pubblicazione di un testo a firma dell'uscente capogruppo di maggioranza nonché ex sindaco di una remota amministrazione comunale. Innanzitutto voglio precisare, a vantaggio di Slow Food di cui mi onoro di far parte, che nel corso del dibattito, terminati gli interventi dei relatori, è stata data ampia possibilità a tutti di esprimersi sia a favore che contro, sia per condividere che per disapprovare i temi discussi nell’incontro pubblico.

Allora una domanda mi sorge spontanea:
Perché farlo dietro le spalle?
Perché non intervenire durante i lavori?
Paura di non dire la verità?

Vorrei però spendere un paio di parole su alcune inesattezze che ho rilevato.

Prima di tutto nessuno, né tantomeno il Sindaco, hanno riferito che per colpa del Parco non si possono ricostituire le coltivazioni originarie anche se purtroppo le cose stanno così. Parlavamo di terreni in generale e non solo di una parte. S’intende quindi anche quella parte di territorio fuori dal Parco. La norma regionale è sovra ordinata rispetto a quella del parco pertanto le norme dell'Elba, con buona pace dello Schiaffino, NON POSSONO essere meno vincolanti della legge. La vecchia storiella che ci continuano a raccontare del buon parco meno restrittivo delle leggi nazionali non ci convince più!

In materia di recupero di vecchi terreni agricoli, per dirla sempre con il codice in mano, la legge forestale toscana (LRT 39/00 e smi) e il regolamento forestale (48/R/03 e smi) sono chiari: dopo 8 anni che un terreno non viene lavorato diventa saldo, per poterlo lavorare di nuovo è necessaria l'autorizzazione dell'Unione dei Comuni (o quel che sarà dopo la sua definitiva cessazione), che in alcuni casi circoscritti e fortunati può limitarsi ad una comunicazione.

Altrettanto chiara la legge forestale per i terreni incolti, ahimè, da oltre 15 anni che vengono formalmente trasformati in bosco con imposizione dei vincoli paesaggistico ed idrogeologico. Per la rimessa a coltura è necessaria una pratica che passando dal Comune va in Unione dei Comuni e Soprintendenza di Siena con tempi e costi tecnici che sicuramente scoraggiano i più con conseguenze di risvolti penali oltre che amministrativi in caso di incaute operazioni colturali. Insomma, chi se la sente più di rischiare?.

Ora, l’integerrimo ex Sindaco o ex  Capogruppo si vanta di aver partecipato fattivamente all'elaborazione di regole che avrebbero poi consentito il recupero del nostro territorio agricolo. Io lo ringrazio a nome dei colleghi coltivatori e di coloro che vorrebbero esserlo ma preferisco invitare chiunque a ragionare con la propria testa senza prendere per oro colato le dichiarazioni di terzi. Tanto per rendersi conto dell'entità di questa “facilitazione” è sufficiente leggere le linee guida per l'istruttoria delle istanze di cui all'articolo 14 del piano del parco e della L. 394/91 (nulla osta) e del DPR 22.07.1996 (autorizzazioni) che si trovano sull'impronunciabile portale del parco
http://www.islepark.it/attachments/009_Lineeguidaistruttoria.pdf 

Ma entriamo nel vivo della procedura per i terreni più giovani. La pratica da presentare richiede relazione a firma di un tecnico abilitato, cartografia, elaborati grafici e documentazione fotografica. Effettivamente poca differenza con quanto richiesto per terreni abbandonati da oltre 15 anni. La “facilitazione” quindi risiede nel fatto che, se per fortuita circostanza il terreno interessato si trova a ricadere nella perimetrazione del PNAT, questa pratica diventa necessaria non solo per i 15 anni, ma anche per gli 8 e addirittura per lassi temporali per i quali fuori parco non è richiesto addirittura nulla!

Le stesse benedette regole che avrebbero poi dovuto consentire il recupero del nostro territorio agricolo sono quelle in ottemperanza alle quali le ultime due pratiche presentate al parco sono state respinte. Una perché, nonostante fosse un orto fino a 3 anni prima della richiesta di nulla osta al ripristino, si trova fra terreni boschivi e quindi per omogeneità con i terreni limitrofi non può tornare ad essere orto com'era fino a 3 anni prima ma si aspetterà che fra 50 anni diventi “lecceta”! L'altra ha avuto il diniego alla realizzazione della recinzione, peraltro precedentemente autorizzata dalla Soprintendenza di Siena!

Sfido chiunque a coltivare qualcosa senza recinzione, o ai conigli ci pensa il Parco?

Come fidarsi poi di un piano del parco schizofrenico che si prefigge il recupero alla vegetazione spontanea di aree (precedentemente) destinate all'agricoltura, il mantenimento dello status quo  nell’estensione delle formazioni di macchie e garighe, la conservazione delle aree incolte e  contemporaneamente prevede l'identificazione dei terreni da recuperare all’attività agricola e della loro vocazione colturale? Sarà frutto degli stessi studi e delle stesse menti che hanno fatto scegliere al parco di eradicare i mufloni sparandogli piuttosto che catturandoli? Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ai primi spari i mufloni sopravvissuti sono diventati schivi e non se ne uccidono quasi più. In compenso continuano a mangiarsi le vigne e proliferano a dispetto di selecontrollori, censimenti, parco e ambientalisti pronti a scagliarsi contro una trappola per topi ma colpevolmente silenziosi di fronte all'inutile strage (chiedere a Biagio di Bugia la sorpresa avuta il giorno del convegno in località Serrone quando ha visto le sue greppe barate e soprattutto piante completamente mangiate per oltre metà vigna!!).

Tutto con buona pace dei contadini, sempre encomiati ma abbandonati poi nei fatti.

Chiudo con una nota positiva, il regolamento forestale sopra citato prevede che la trasformazione dei boschi sia valutata in rapporto alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali. Questo è l'unico concreto strumento in mano all'Amministrazione Comunale. Bene, nel redigendo Piano Strutturale è stata inserita la possibilità di recupero di coltivazioni abbandonate, come la possibilità per i conduttori dei fondi di ricostituire le coltivazioni pre-esistenti.

Grazie e scusate il piccolo sfogo.