In generale noi siamo favorevoli all'istituzione di aree marine protette.
Come subacquei ricreativi, così come gli escursionisti nei parchi terrestri, conosciamo molto bene la fascia costiera fino ai 60, 70 metri di profondità e, a differenza degli escursionisti terrestri, siamo gli unici a poterla vedere direttamente verificandone lo stato ed i cambiamenti.
Se è vero che un solo peschereccio a strascico od una nave che lava le cisterne al largo o scarichi industriali fanno in assoluto più danni di mille pescatori  della piccola pesca o sportivi, è anche vero che la fascia costiera dove si fanno le immersioni risente in maniera esponenziale dell'attività predatoria umana.
La pesca in tali zone purtroppo alla fine provoca uno spopolamento locale (per cattura o perchè i pesci si spostano in zone più profonde) in particolar modo di specie stanziali e quindi più vulnerabili come cernie, musdee, aragoste ed astici.
Poichè il valore economico di una grande cernia viva nel suo ambiente e costituente una attrazione per gli escursionisti è nettamente superiore alla stessa cernia pescata, non è più ammissibile nelle aree protette permettere la pesca sportiva o subacquea se non in zone estremamente delimitate ed attentamente controllate.
Anche le attività di pesca artigianale con reti od altri attrezzi, se non possono essere totalmente impedite per le immediate ricadute economiche, vanno il prima possibile riconvertite in, tra l'altro più redditizie, attività turistico ricreative.
E' inoltre indispensabile la predisposizione di boe di ormeggio, in considerazione del fatto che l'impatto sia della ancore che soprattutto delle relative catene che poggiano sul fondo è estremamente distruttivo per la vita bentonica e le praterie di posidonia.
Ma soprattutto occorre stabilire delle regole logiche e ragionevoli e poi farle rispettare scrupolosamente, senza inutili grida manzoniane.
E dopo aver stabilito tali regole occorre effettuare una zonizzazione anch'essa ragionevole ed essere pronti ad effettuare eventuali rotazioni o cambiamenti monitorando ciò che accade.
Purtroppo gli esempi dove ciò è stato fatto o si sta facendo in Italia sono pochi, ad esempio in alcune oasi gestite dal WWF o, grazie all'opera di una encomiabile associazione, alle tegnue dell'altro adriatico.
In altri luoghi sono invece prevalse altre soluzioni, dannose ed irrazionali, spesso purtroppo avallate dai politici locali sensibili, nella migliore delle ipotesi, ad un tornaconto elettorale.
Senza far riferimento a casi lontani, un esempio di come non va fatta un'area marina protetta o nel caso di specie, un parco, è Giannutri.
A Giannutri si è infatti sbagliata la zonizzazione: si sono infatti inutilmente interdette vaste aree con pareti a picco lasciando distruggere i due principali posidonieti dell'isola, usati addirittura come zona di ancoraggio.
Si continua a permettere la pesca sportiva ad uso di sedicenti residenti e non si effettuano controlli sui comportamenti più dannosi, come la pesca di frodo.
Si sono sperperati soldi pubblici, provocando oltretutto notevoli danni ai fondali nella posa in opera, per boe di ormeggio palesemente inadatte e spazzate via dal mare in un paio di stagioni e per assurdi "percorsi subacquei", anch'essi ora distrutti dal mare, concepibili solo da un subacqueo impazzito.
In altri luoghi l'attività subacquea è divenuta fonte di guadagno solo di alcuni centri di immersione, con restrizioni non compensate da un miglioramento della situazione generale.
Senza combattere assurde guerre di religione le varie problematiche vanno attentamente analizzate, con l'aiuto di tecnici competenti e non politicizzati e dato che una corretta soluzione interessa tutti, senza farne l'oggetto di battaglie elettorali.
Per quanto riguarda più strettamente l'attività subacquea Mare Vivo ha fatto riferimento al documento recentemente messo a punto nel tavolo tecnico per le attività subacquee ricreative nelle aree marine protette.
Alla redazione di tale documento hanno partecipato soggetti istituzionali, associazioni ambientalistiche e didattiche subacquee, probabilmente con una rappresentanza trasversale di subacquei, presenti anche nelle prime due entità.
Se tale documento rappresenta indubbiamente la disponibilità dei subacquei ad accettare delle regole non vorremmo però che si trattasse dell'unica categoria così disponibile con il risultato di dover fare immersioni, con una normativa rigida, in mezzo alle reti calate dai pescatori del luogo o tra lo slalom dei motoscafi. Inoltre non vorremmo, lo ripetiamo ancora ad una volta, che solo ai subacquei fossero imposti dei balzelli per l'ingresso o che si creino situazioni di oligopolio che facciano lievitare a dismisura i costi delle immersioni o impongano l'obbligo di frequentare determinati corsi offerti dalle didattiche che sono e rimangono organizzazioni del tutto private.
Nel merito riteniamo che il divieto di immersioni guidate in zona A debba essere sancito solo in casi di effettiva necessità e per una parte limitata della complessiva zona A (a meno che non sia estremamente ridotta), eventualmente da adibire a zona di controllo per valutare gli impatti ambientali.
Vanno evitate in sostanza stuazioni come Giannutri dove la zona A vietata alle immersioni, è ingiustificatamente ampia.
Pur condividendo il fatto che nelle zone A l'immersione sia consentita solo con la supervisione di centri di immersione autorizzati e che non vi si svolgano corsi subacquei è però necessario che i requisiti richiesti da tali centri di immersione autorizzati siano tali da soddisfare le reali esigenze sottostanti e non arbitrarie o peggio da favorire alcuni rispetto ad altri (come avverebbe ad esempio adottando il criterio di residenza o della sede sociale come avvenuto in passato in quel di Capraia).
Francamente non condividiamo il divieto di immersioni notturne, la cui nocività è tutta da dimostrare, essendo oltretutto diversa dal giorno la fauna visibile: non è certo vero che si va a svegliare i pesci che dormono. Immersioni notturne andrebbero quindi permesse, in  numero limitato o solo in alcune parti della zona A in maniera da poter confrontare i risultati.
Siamo invece del tutto contrari al fatto che nella zone B le immersioni individuali siano permesse solo in subordine alle immersioni guidate svolte dai centri di immersione autorizzati. Non solo ciò è peggiorativo della situazione attuale ma non trova alcuna ragione considerando l'impatto delle altre attività di altra natura permesse nelle stesse zone. Abbiamo il fondato timore che ciò nasconda l'intento, sfuggito alle associazioni ambientalistiche, delle organizzazioni del settore di introdurre per altra via l'obbligo, anche per subacquei obiettivamente esperti e rispettosi dell'ambiente, di rivolgersi per forza (dato che la zona B è normalmente insieme alla A l'unica dove valga la pena di effettuare immersioni subacquee ricreative)  a centri di immersione autorizzati (magari numericamente pochi) e soprattutto l'obbligo di avere per forza un brevetto rilasciato da soggetti privati, senza la possibilità di far valere altrimenti  il proprio livello di esperienza subacquea (ove ci siano ragioni di averla per preservare l'ambiente).

Associazione Italiana Liberi Subacquei
www.liberisub.it