Cagnolino single prende il traghetto per il Giglio
Leone ha girato per tutto l’Argentario in cerca di una ‘fidanzata’. E quando proprio non l’ha trovata, ha deciso di andare a far conquiste all'Isola del Giglio.
Non ci sarebbe nulla di strano se Leone fosse un ragazzo, invece è ... un cane, peraltro conosciutissimo ed amato a Santo Stefano.
In vena di gite, la bestiola è salita sul traghetto di nascosto ma subito ha ‘fatto amicizia’ con l’equipaggio con il quale ha anche pranzato.
Compiuta la traversata, è tornato ancora ‘single’ a Porto Santo Stefano dove ha trovato ad accoglierlo i suoi padroni, felici di rivederlo.
RIFLESSIONI SULLA MISSIONE INCOMPIUTA DI “LEONE” Nella storia del Giornalismo mondiale, per significare quale sia la vera essenza della “Cronaca” con la “C” maiuscola, viene, ritualmente, portato un esempio: “Un uomo che è morso da una cane, non fa notizia, mentre un uomo che morde un cane è notizia da dare senz'altro”. Questo m’è venuto in mente a leggere di Leone, che se invece, d’essere il nome d’un cane o d’un cagnolino, (dalla foto non si identifica bene), corrispondesse al re della foresta, magari scappato da un circo, accampato sull’”Argentaro”, come chiamava quel Promontorio, Corrado Alvaro, avrebbe costituito ben altra storia (probabilmente drammatica) che non quella “simpatica” del nostro, che, stimolato da irrefrenabili impulsi d’accoppiamento, col supporto ingannoso d’un venticello che pareva gli trasferisse, ancorché da lontano, sublimi sentori di femmina in calore, ignaro che, anche al Giglio, c’è chi è ben in grado d’assecondarli, ha (con vero Cuor di Leone), disinvoltamente tentato, come dire, l’avventura, onde perpetuare, anche nell’isola, la sua specie. Questa storia, che, a me sembra, “mutatis mutandis”, faccia il paio con altre storie di cui, ogni tanto, si sente riferire o si legge, quali quelle relative ad alcuni cani, che, per amore verso i loro padroni, che li hanno vilmente abbandonati, ne seguano, in qualche modo, l’usta (cosa tutta da scoprire, visto che, spesso è la strada il luogo dell’abbandono) per centinaia e centinaia di chilometri, fino a riuscire, stremati, a rintracciarli e, magari, leccarne, quasi riconoscenti, il viso e le mani oltremodo “fedifraghi" Altre storie, ma stimoli di natura simile: da una parte quello della riproduzione per la perpetuazione della specie; dall’altra quello dell’affetto nutrito verso persone con le quali è stato costituito, riconoscendo ai padroni ed ai loro “cuccioli” il ruolo di ”capobranco, una vera e propria famiglia, ancorchè ibrida, per la salvaguardia della specie. Onore, quindi, a Leone, che, imperterrito e tutto compenetrato nel dovere di “riproduttore”, se lo sbarco fosse stato favorevole, avrebbe certamente compiuto, dopo essere salito, da clandestino, nella stiva del traghetto per il Giglio, onde poter avere libero accesso agli orti, ai recessi delle case ed ai vicoli della terra d’oltremare, e verificare, di fatto e “de naso”, le capacità selettive dei diversi odori ed emanazioni di cui ogni cane è istintivamente dotato. Dotato, nonchè istintivamente portato ad adeguarsi. Specie se di piccola taglia, che, come gli uomini, cosiddetti “brevilinei” (per i Gigliesi, che tanto gli devono, soprattutto per la strada che congiunge Porto, Campese e Castello, basta rammentare Amintore Fanfani), sono oltremodo “cazzuti”, ben inteso non in senso specifico ma lato; Di due cani, che mi riguardano personalmente, ho memoria: il primo è quello di un “Bretoncino”, appunto di taglia piccola, che, messo nelle condizioni di non uscire dal canile per le sue scorribande notturne in cerca delle fonti dell’effluvio che tanto lo inebriavano, una volta legato ad una corda, quale ultima salvaguardia in un recinto comunque ben munito, finì per impiccarsi lanciando il suo cuore oltre l’ostacolo della recinzione; quanto al secondo, finito, per fortuna, in altro modo, in quanto le sue imprese, ebbero solo a sortire cucciolate di piccoli bastardi o “Batardes”, ringhiosi ed irriducibil, come li avrebbe chiamati Jack London, scrivendo del Klondike, fui addirittura spettatore d’una sua impresa che ha dell’“inverosimile” e che mi svelò un mistero, il mistero di come una “Setterina” biancarancio, ben chiusa in un’alta gabbia inaccessibile, di tanto in tanto, mi rimanesse, appunto, in cinta. Ebbene, un giorno, un “cagnotto” bastardo e vagabondo, venuto da molto lontano (nessuno, ad Orbetello e nei d’intorni, l’aveva mai prima visto) sul filo d’un vento “Galeotto”, mi giunse dietro casa e dopo aver a lungo guaito, percorrendo, in lungo e largo, l’alta recinzione metallica che, “affogata” nel cemento, gli impediva l’accesso al luogo ove avrebbe potuto e dovuto compiere i suoi doveri di maschio, s’avvide e solo allora io pure m’avvidi che, una canna da pesca, una semplice canna di fosso, con la quale, in Primavera, mi recavo nei campi a “pescare” rane in quel di Campolungo, proprio di fronte alla Stazione ferroviaria, lasciata appoggiata alla rete, poteva costituire il “percorso di guerra” da seguire per garantirgli la salvezza della razza. E lo fu perché, camminando, si fa per dire, aggrappato, con le unghie e coi denti, alla canna oscillante per il peso, più volte cadde e ricominciò, uggiolando, da capo. E questo finché dopo mille sforzi non riuscì a raggiungere, quasi fosse uno scalatore, la sommità del sentiero, da cui, a piombo, si lasciò cadere dall’altra parte. Come sarebbe poi riuscito nell’impresa di tornare indietro (alla stregua di quanto aveva fatto le volte precedenti) è rimasto un mistero perché non lasciandogli tempo di compiere il “misfatto”, in pochi passi, fui subito al cancello che, aperto, gli consentì di scappare, attraverso le mie gambe, come un fulmine.