C'era una volta l'Isola del Giglio, la più bella Isola del mondo, almeno per chi ha avuto la fortuna di nascerci. Nascere al Giglio l'ho sempre considerato un onore e l'attaccamento che provo per la mia isoletta è qualcosa che cresce con il tempo, come i grandi amori e l'amicizia sincera.
Come scordarsi le corse con gli amici tra i vicoli, gli odori che uscivano dai tanti "alimentari e generi vari", il vociare della gente che allora riempiva le vie, i profumi dell'erba alta a primavera, il profumo delle castagne arrosto che cuoceva Raffello (Barabesi), ma purtroppo tutto questo appartiene solo ai ricordi della giovinezza. Tutti noi lo sappiamo che la giovinezza fa apparire tutto bello, ma per me era bello davvero e nonostante tutto anche oggi quando prendo "il postale" per tornare al Giglio mi emoziono perché per me è tornare a casa.
Però tante, troppe cose sono cambiate da allora. La nostra isoletta soffre di una bruttissima malattia, cioè l'abbandono dei piccoli centri per andare a vivere in città e questo è un male molto diffuso e su cui si può fare davvero poco. Questo perché tutti hanno il diritto di scegliere dove vivere e quindi di andare dove "si sta meglio" o almeno lo si crede. Preso atto di questo però non posso far a meno di constatare che per chi, nonostante tutto, ha deciso di restare non viene fatto ancora abbastanza per migliorare le sue condizioni.
Ahimè al Giglio si è quasi "spenta la luce", non si sente entusiasmo, voglia di mettersi in discussione, cercare di fare. Si vivacchia cercando di sfruttare l'estate pensando che sia la medicina che guarisce tutti i mali. Purtroppo questa medicina non guarisce ma è solo un palliativo per tirare avanti e sempre con maggiore difficoltà.
Anche il "mio" Castello che dall'alto guardava con orgoglio il resto dell'Isola, è come un re decaduto. Le sue strade e i suoi vicoli sono pressoché vuoti, le antiche botteghe trasformate in mini appartamenti con le porte che si aprono e si chiudono subito dopo per non far vedere quello che c'è dentro (e si aprono a luglio e si chiudono ad agosto ovviamente). Le vecchie pagliare e le vecchie celle diventate altrettanti mini appartamenti che in alcuni casi sono dei loculi. Per fortuna resistono alcune cantine che ci riempiono il cuore solo a entrarci. Alcune vie, come per esempio dietro la chiesa al Castello, non sono lastricate di granito, ma sporcate di asfalto e terra e sono diventate un monito che siamo noi i colpevoli di tanta incuria.
Qualcuno si potrebbe chiedere: "Ma cosa vuole questo qui ora?". Non voglio niente se non risvegliare nei miei compaesani la consapevolezza di vivere in un posto speciale, di non sentirsi in trappola nel vivere al Giglio, ma di sentirsi fortunati per questo, di dare fondo alle proprie risorse (non parlo delle sole risorse economiche) per trovare nuove soluzioni, per progredire invece di andare indietro.
Mi piacerebbe fare un piccolo esempio illuminante. Qualche anno fa, arrivando al Campese davanti a "Capitan Peppino", ci accoglieva una bella barca in legno con vela colorata e la scritta "Benvenuti al Campese". Per me era splendida, un simbolo dei campesani di un tempo, un monumento alla loro storia. Ebbene negli anni si è sempre più ammalorata finché "una mano pietosa" l'ha levata dal suo piedistallo lasciando un gran vuoto. Possibile che nessuno lo abbia notato? Possibile che nessuno ne abbia percepito lo spirito che la sosteneva e la tristezza per la sua attuale mancanza? Accanto però alla barchetta ci sono ancora i resti di quelli che un tempo furono i bagni pubblici: una cartolina orribile, un segno di degrado che fa davvero male al cuore. Sicuramente si dirà: "Dici bene ma chi fa la manutenzione? La fai tu?" Una possibile risposta potrebbe essere che tutti gli esercizi commerciali-turistici del Campese contribuiscano a mettere a disposizione una cifra per farlo e se poi ci sono altre iniziative ancora più illuminate ben vengano. Non si può sempre e solo chiedere al Comune.
Proteggere la nostra Isola dalle brutture che la deturpano iniziando dalle piccole cose come il rispetto dell'ambiente, il rispetto del bene comune, senza cercare di usarlo per i propri interessi. La nostra Isola può ritrovare l'antico splendore solo se noi Gigliesi ne saremo convinti, se noi per primi ci attiveremo per RISOLVERE i problemi e non cercando di crearne sempre di nuovi.
Il buon Dio ci ha donato un mare bellissimo, una terra dura da coltivare, ma ricca di qualità dei suoi prodotti, un carattere resiliente che ha saputo affrontare difficoltà incredibili, una generosità che ora tutto il mondo ci riconosce, basta vedere con la Concordia: allora non sprechiamo questi tesori che ci sono stati donati e risvegliamoci da questo torpore altrimenti si scivolerà sempre più in basso e la risalita diverrà sempre più dura.
Vi abbraccio tutti.
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