Come suonavano gli Etruschi

E' noto dalla storia che gli Etruschi siano stati molto amanti della musica. Numerose occasioni della loro vita erano accompagnate da suoni e canti, sempre modulati da una ricca varietà di strumenti musicali. Sarebbe bello e interessante poter riascoltare alcuni di quei brani musicali: ciò è evidentemente impossibile non solo perché in quelle lontane epoche non erano ancora stati inventati i registratori ma neppure codificate le note musicali; estremamente arduo ricostruire le loro musiche in quanto, allo stato attuale, non si è neppure ritrovata alcuna specie di spartito, nessuna incisione, nessun simbolo grafico riferito alle musiche suonate in quelle lontane epoche.

Recentemente però, l'etruscologa Simona Raffaelli e il sassofonista internazionale e musicista Jazz Stefano Cocco Cantini hanno dato vita a varie iniziative in cui si è cercato di intuire le melodie etrusche, studiando in particolare uno strumento a fiato tipico di questo antico popolo, il doppio flauto. Per affrontare questo impegnativo progetto, oltre a difficili considerazioni teoria musicale, di acustica, di matematica delle onde sonore, fino a scomodare addirittura le teorie dei numeri primi e le grandezze incommensurabili, si sono ovviamente rifatti a radici storiche e iconografiche, cioè all'osservazione attenta dei musicanti e degli strumenti musicali incisi sugli antichi vasi o raffigurati sulle pareti delle tombe etrusche. Ma l'aiuto più importante in questa ricostruzione è venuto dal poter provare a suonare dei veri flauti etruschi, grazie alla disponibilità del più cospicuo lotto di strumenti a fiato rinvenuti, fino ad oggi, nel territorio dell' Etruria toscana, lotto recuperato a bordo del relitto dell'isola del Giglio, naufragato intorno al 590 a.C. nella baia del Campese e miracolosamente preservato, perché rimasto sigillato in uno spesso strato di pece che ne ha consentito la conservazione attraverso più di due millenni. Facilmente intuibile l'importanza non solo culturale, ma anche di attrazione turistica di tali flauti, alcuni in legno di bosso e uno in avorio. Tali reperti, assieme al resto del carico di quella che è considerata una delle più antiche navi del mondo (e presto anche la chiglia restaurata) non sono però conservati, come sarebbe logico pensare, all'isola del Giglio ma al Museo Archeologico della Fortezza Spagnola di P.S. Stefano: è infatti là che i due studiosi sono andati e si sono fatti autorizzare a studiare i flauti.

Di recente abbiamo letto una lunga dichiarazione sulla utilizzazione della Rocca Pisana di Giglio Castello piena di grossolane inesattezze. La Rocca è tuttora per la maggior parte inagibile e questo spiega, fra le altre cose, perché è stata rimandata, “sine die”, l'inaugurazione del Museo Mineralogico (che forse era meglio lasciare dove era prima, almeno era controllato e visitabile con richiesta al personale della Pro Loco). Non riuscire a concretizzare e a sfruttare la valenza turistica, sia in senso ricreativo che culturale, di questo nostro importante monumento, condiziona negativamente non solo la vitalità del centro di Giglio Castello, ma anche le potenzialità dell'intera isola. Avere perso l'opportunità di acquisirne gratuitamente la nuda proprietà dal Demanio rappresenta la “distrazione” più grave dell'attuale mandato amministrativo: distrazione ancora più grave se si pensa che sarebbe stato sufficiente leggere i giornali per rendersi conto di come le altre amministrazioni comunali stavano inoltrando al Demanio decine di domande per l'acquisizione non onerosa dei beni previsti dal relativo decreto (e non). Come sarebbe stato auspicabile che l' “Ufficio Stampa” del Comune avesse compilato nell'occasione rassegne stampa con una attenzione maggiormente rivolta agli interessi dei cittadini e non ispirata a soli intenti autocelebrativi.

Armando Schiaffino (ex Sindaco dell' Isola del Giglio)