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Disservizi postali
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Disservizi postali COM’E’ POSSIBILE E TOLLERABILE CHE LA POSTA IMPIEGHI 10 GIORNI?

Qualche tempo fa, forse due settimane, ebbi a scrivere, in merito soprattutto alle vicende dell’”Alitalia”, un “pezzo” piuttosto “pepato”, che aveva per titolo, guarda caso, “Ci sono cose che fanno indignare”.

postino poste isola del giglio giglionewsEbbene, oggi, incuriosito dall’annuncio (in realtà è già in corso) della lodevole mostra di Giovanni Andolfi, presso la Torre Medicea del Porto, dal titolo “L’isola del Giglio attraverso la storia postale e le cartoline”, incuriosito, mi sono anche letto dell'”incazzatura” di cui, apertis verbis, ha fatto mostra, nel suo commento il signor Silla Cellino, in merito al fatto che la corrispondenza, Giglio-Giglio, non viene immediatamente smistata e consegnata nell’isola, bensì deve prima andare a Firenze e da lì avere la grazia e la fortuna di ritornare per essere  finalmente consegnata al destinatari, dopo 10 giorni.

Cose dell’altro mondo!!!. Altro che indignazione! Nella fattispecie trattasi, a mio parere, non solo di un vero e proprio attentato alla libertà ed all’inviolabilità della comunicazione, perché tali sono da considerarsi gli impedimenti procurati senza ragione, ma anche di un’offesa lapidaria alla logica ed all’intelligenza umana.

Vorrei che qualcuno, l‘ufficio Postale dell’isola, ovvero quello provinciale di  Grosseto, mi spiegasse bene la ratio per la quale, visto che la posta, una volta tornata da Firenze, sempre per mano d’un postino è consegnata, non viene, invece, immediatamente data al “Porta lettere”, perché provveda, se non proprio nell’arco della medesima giornata, quantomeno nel corso del giorno successivo, a recapitarla al destinatario.

Se, invece che a Renzi, toccasse a me promuovere una legge, anzi, mi basterebbe una “leggina”, provvederei acciocchè fossero comminate gravi sanzioni, tipo quelle previste per l’omissione d’atti d’ufficio, all’addetto al servizio, che nelle 24 ore, non avesse provveduto a recapitare al destinatario la corrispondenza indirizzatagli.

Intanto, mentre mi viene da sottolineare che, ad esempio in Olanda, le “buche” postali sono dotate d’un orologio che, al momento della spedizione, timbra la corrispondenza con giorno, ora, minuti e secondi, mi fa piace anche far sapere ai “lettori” di “Giglio News”, attraverso un’iniziativa di vera e propria intelligence condotta da Giuseppe Mazzini, che, nel lontano 1844, a Londra, la posta, con destinazione cittadina, veniva consegnata al destinatario a distanza di due ore dal suo “affidamento” all’Ufficio postale centrale.

Attingendo alle “note autobiografiche del “genovese”, questi i fatti.

A mezzo quell’anno [1844; si era appena tragicamente conclusa la “spedizione” dei fratelli Bandiera], or non rammento più se in Giugno o sul cominciare del Luglio, m’avvidi che le lettere dei miei corrispondenti in Londra – ed erano tra quelli i banchieri per mezzo dei quali mi giungeva la corrispondenza straniera – mi venivano tarde di due ore. Concentrandosi dai diversi punti all’uffizio postale generale, le lettere vi ricevono un timbro che accerta l’ora del loro arrivo: la distribuzione a domicilio ha luogo nelle due ore che seguono. Esaminai accuratamente quei timbri e trovai ch’erano generalmente doppi: al primo era sovrapposto un secondo timbro, di due ore più tardo e collocato in modo da celare il primo, e allontanare il sospetto. Bastava per me, non per gli altri increduli d’ogni violazione di ciò che chiamano lealtà britannica e che accoglievano con sorriso ironico i miei sospetti. I timbri così sovrapposti lasciavano mal discernere le due ore diverse e serbavano apparenza di lavoro affrettato e data illeggibile. Ideai d’impostare io stesso all’uffizio centrale lettera diretta a me, calcolando l’ora tanto che il primo timbro dovesse portare la cifra 10. Or dopo aver ricevuto quel timbro, a me dirette, erano, per ordine superiore, raccolte e mandate a un uffizio segreto dov’erano le lettere aperte, lette, risuggellate, poi rinviate al postiere incaricato della distribuzione nella strada ov’io allora viveva, ch’era Devonshire Street, Queen Square. Quel nefando lavoro consumava due ore a un dipresso; e il timbro da sovrapporsi alla cifra 10 dovea quindi portare il 12, che, per quanto facessero, lasciava visibile parte dello zero del 10. Chiarito quel punto, raccolsi altre prove. Feci impostare, in presenza di due testimoni inglesi e ripetutamente, alla stessa ora e allo stesso ufficio postale, due lettere, una delle quali era diretta al mio nome, l’altra a un nome fittizio, ma alla stessa casa: i testimoni venivano ad aspettare con me la distribuzione; e accertavano con dichiarazione scritta come la lettera che portava il mio nome giungesse invariabilmente due ore più tardi all’altra. In altre lettere a me dirette racchiusi granellini di sabbia o semi di papavero: e li trovammo, aprendo con cura, smarriti. Istituimmo una serie di esperimenti intorno ai suggelli, scegliendo i più semplici e segnati di sole linee, poi collocandoli sì che le linee cadessero sulla lettera ad angolo retto; e ci tornarono identici di forma, ma colle linee piegate lievemente ad angolo acuto. Inserii un capello sotto la cera lacca, e non era più da trovarsi: risuggellando, lo consumavano. E via così, finché raccolto un cumulo di prove innegabili, misi ogni cosa in mano ad un membro del parlamento. Tommaso Duncombe, e inoltrai petizione alla Camera perché accertasse e provvedesse. L’accusa produsse vera tempesta. Alle interpellanze che, da ogni lato furono mosse ai ministri, questi diedero per alcuni giorni risposte evasive: poi, meglio informati sul conto mio e convinti ch’io non mi sarei avventurato senza certezza di prove, confessarono, schermendosi in parte con certo vecchio editto che risaliva alla regina Anna e a circostanze eccezionali, in parte con insinuazioni a mio danno e come s’io avessi macchinato pericoli all’Inghilterra. Confutai queste ultime in modo da ridurre il ministro accusatore – ed era sir James Graham – a farmi ammenda pubblica in parlamento. E quanto all’altra difesa, afferrai la via che m’apriva per disvelare all’Inghilterra tutta la piaga. Non era da credersi che gli stessi ministri e gli altri che li avevano preceduti, avessero resistito sempre, fuorché in quell’unico caso, alla tentazione di valersi, pei loro fini, di quell’editto antiquato. Feci quindi chiedere e ottenni che s’istituissero due commissioni d’investigazione nelle due Camere. E le relazioni che fecero, comunque tendenti a piallare le colpe più che non a produrle brutte com’erano, provarono che dal 1806 fino al 1844, da lord Spencer [antenato della principessa Diana] a lord Aberdeen, tutti i ministri, compresi Palmerston, Russell e Normanby, s’erano successivamente contaminati di quell’arbitrio – che non solamente le mie e quelle di altri esuli, ma le lettere di molti inglesi, di membri del parlamento, di Duncombe medesimo, erano state violate  a quel modo – che si erano inevitabilmente praticati, a celare la colpa, artifizi contemplati dalle leggi penali, falsificazione di suggelli, imitazione di timbri e altre – che le mie erano state aperte per quattro mesi…….Molte di quelle cose riguardavano appunto il disegno, da me combattuto, dei due Bandiera, e rivelate suggerirono al governo di Napoli l’Atroce pensiero di provocarli, di sedurli, per liberarsene, all’esecuzione. I ministri inglesi s’erano fatti complici di quell’assassinio; e lo sentivano e ne arrossivano. Lord Aberdeen, il gentiluomo più onorato in Inghilterra per fama d’impeccabile schiettezza e la cui parola era considerata da tutti come sillaba di Vangelo, fu trascinato a mentire sfrontatamente alla Camera. Fatto interrogare da me se si fosse data comunicazione dei segreti contenuti nella mia corrispondenza a governi stranieri, il nobile lord aveva, plaudente la Camera, – a quale affermazione di ministri non plaudono le Camere escite dalla legge del privilegio?  - risposto: Né una sillaba di quella corrispondenza fu mai sottomessa ad agenti di potenze straniere. Poche settimane dopo, la relazione delle due commissioni investigatrici gli gettava in viso: Le affermazioni raccolte dalla corrispondenza erano comunicate a un governo straniero. Io scrissi il dì dopo su’ giornali, alludendo alle calunnie insinuate contro me da sir James Graham, che quando uomini di Stato scendevano alla parte di falsificatori e bugiardi non era da stupirsi che fossero anche calunniatori.