Quindici Settembre e diciotto Novembre, queste le date di s. Mamiliano patrono, che nel calendario laico - religioso dell’isola e precisamente al mio paese, il Castello, vengono ricordate con lo stesso sentimento ma celebrate in maniera completamente diversa.

“Triduo, lettura della vita e delle tribolazioni del Santo, messa solenne con Vescovo, processione fuori Porta con banda che suona l’inno a s. Mamiliano composto dal compianto maestro Ivo Baffigi. Scoppi di mortaretti sin dall’alba e tanti paesani, belli, eleganti, che alla fine della cerimonia si fermano lieti sul monte della chiesa col sorriso sulle labbra per stringersi la mano e augurarsi Buon San Mamiliano. 

Intanto a casa ognuno ha già cucinato e preparato la tavola delle grandi occasioni.
Il pranzo solitamente avviene nella casa dei genitori o del parente più anziano: figli, nipoti, zii, tutti insieme con l’aggiunta di tavoli cercati in cantina, nell’unica occasione, eccetto il Natale, che rispecchia lo spirito della famiglia gigliese: ritrovarsi e commemorare attraverso il Santo una tradizione che si ripete con lo stesso spirito da diversi secoli.”

Sommariamente, ho cercato di descrivere l’inizio della grande festa che tra balli e quadriglie, durerà tre giorni nel san Mamiliano del quindici Settembre.

Nella seconda data, il patrono Mamiliano viene chiamato “dei turchi” per ricordare il suo contributo alla vittoria dei gigliesi “…che pochi di numero e quasi inermi sconfissero, fugandoli 2000 tunisini…”

Era il pomeriggio del 18 novembre 1799 quando gli stremati isolani si affacciarono alle mura del Castello per assistere vittoriosi, alla fuga degli sciabecchi e delle fregate turche che prendevano il largo prima del tramonto del sole… Avevano vinto contro un nemico feroce grazie anche al miracoloso intervento del Santo che, pregato con fervore dalle donne terrorizzate e raccolte nella fortezza della rocca, fece apparire sulle inferiate delle mura tanti e tanti fucili cosi che gli esterrefatti barbareschi se la dettero a gambe giù per la strada del Campese.
Tutto ciò ho sempre sentito raccontare dai grandi quando ero piccola e naturalmente ci credevo, ma come viene commemorato san Mamiliano dei Turchi?

“Nel pomeriggio del diciotto, una messa viene celebrata nella chiesa di san Pietro e Paolo, non arriva il Vescovo, ma sale il sacerdote del Porto. La processione, con banda musicale al seguito, fa il giro del paese fuori dalle mura; passa sotto i Cannoni e arrivata in prossimità della Casamatta “punto cruciale della sofferta battaglia” fa una sosta per innalzare il braccio del Santo ed esporlo ad ovest, in direzione del golfo del Campese e del mare aperto. E’ quasi buio, ma novembre lascia sempre delle strisce rosso fuoco all’orizzonte, quando tutto ha termine con il rientro in chiesa e il bacio alla reliquia.”

Due date ed un santo protettore.
Un santo così sentito nella tradizione popolare che non vi è libro pubblicato che parla del Giglio che non abbia una pagina dedicata a Mamiliano. Basta andare in edicola o alla pro-loco e sfogliare le decine di libri esposti, per scoprire verità e leggende.

Quante volte ho partecipato per telefono alla processione del 18 novembre perché il lavoro mi teneva di qua dal mare!
La voce di mia madre raccontava con parole semplici e prive di enfasi se faceva freddo o aveva piovuto. Alla mia domanda: “chi c’era?” rispondeva: “le solite, noi gigliesi.” E una risposta più ovvia non poteva darmela perché quella festa, se così vogliamo definirla, era soltanto per loro, per quei soliti gigliesi che nel Paese ci vivevano tutto l’anno, testimoni, con la loro presenza, di storie e tradizioni.
Paesani dal numero sempre più esiguo… proprio come allora, come ricorda la lapide al muro del Comune: …Pochi di numero e quasi inermi….

Palma Silvestri