Avevo 17 anni e vivevo da pochi mesi a Firenze, quell'anno c'erano le elezioni credo comunali o regionali, come molti studenti il pomeriggio imbustavo i depliant di un candidato, lavoravo con un signore di una sessantina d'anni.
Dopo qualche giorno, mentre imbustavamo, ci trovammo a parlare chiaramente di politica, allora i partiti erano veramente tanti, non ricordo come andò il discorso ma ci ritrovammo a parlare della guerra, del fascismo e di tutto quello che era successo, a un certo punto del discorso quel signore tirò su la manica del sua camicia: all'interno del suo avambraccio c'era un numero.
Era stato un deportato nei campi di sterminio nazisti.
Poche cose mi hanno colpito nella vita: quando mia zia si salvò per miracolo dalla bomba di piazza fontana e quel numero.
Avevo davanti agli occhi una verità, un sopravissuto della pazzia di uomini come Hitler e di altri come lui, di italiani che avevano contribuito a quel massacro vendendo i propri compatrioti di origine ebraica all'alleato nazista.
Nella giornata del ricordo, per me è tutte le volte che penso a quel signore, mi rattrista sapere che ancora oggi si neghi l'olocausto, ancora più grave che proprio da esponenti della chiesa, appena riabilitati, questo venga con voce ancora più forte rinnegato.
Imparando dal passato e non dimenticando, forse un domani potremmo evitare che succeda nuovamente una simile tragedia.

franca melis