Aveva ventiquattro anni e una figlia in arrivo quando lasciò le sue montagne e tutti i suoi affetti per seguire il marito, che la portò in un’isola sconosciuta e lontana, circondata dal mare che non aveva mai visto!

Quell’isola sconosciuta diventò da quel momento tutto il suo mondo!!

Non si perse mai d’animo, neppure quando prese il tifo e dovette restare quaranta giorni in ospedale, lasciando la figlia piccolissima alla suocera che la nutrì con il latte della capra di una vicina.

Ben presto i gigliesi impararono a voler bene a quella “forestiera” che non aveva paura della fatica, e lei piano piano si sentì a casa, grazie anche alla suocera, che lei considerò sempre come una mamma.

La vita a quei tempi non era facile, ma Anelita era decisa e una abituata al lavoro!

E le piaceva il divertimento, insieme al suo Rocco! Così approfittavano di ogni occasione per andare a ballare nella mitica sala dei Lombi. Ma il periodo più divertente era il carnevale! Allora si mascheravano e facevano il giro delle case che “facevano passare le maschere”, e al suono di un grammofono ballavano fino a tarda notte. E, mi raccontavano i miei genitori, fu proprio una di quelle notti, mentre alla Rocca passava “il ballo corrente” del martedì di carnevale, che io sono nata!!

Con il tempo, la famiglia aumentò: nacquero altre due femmine, e Rocco, che avrebbe voluto un maschio, le amava tanto, quelle tre bambine che riempivano la casa.

Mentre Rocco si divideva fra la miniera e la campagna, Anelita si occupava della casa e del piccolo bar che avevano acquistato in Piazza di sopra. Spesso, nelle ore più calme, mi lasciavano lì e, se per caso arrivava qualche avventore, dovevo salire su una sedia dietro il bancone per poterlo servire!

La vita scorreva serenamente: il lavoro, certo, e la fatica, ma anche la sala da ballo, le quadriglie di S. Mamiliano… 

Noi crescevamo e avevamo sempre più bisogno di lei, della mamma, che era allo stesso tempo severa e protettiva. Ci insegnava a lavare i piatti nell’acquaio di pietra e per arrivarci dovevamo salire su un panchettino… noi ci divertivamo, e ci bagnavamo tutte, e lei ci sgridava ridendo.

Nel periodo natalizio preparava gli immancabili panficati che cuoceva nell’unico forno del Castello. Quello per me era il momento più bello dell’anno perché la mamma mi permetteva di aiutarla a prepararli.

Finalmente la miniera chiuse e Rocco andò in pensione. Allora, per alcuni anni, gestirono un bar “alla porta”, poi aprirono un magazzino di frutta e verdura e ogni giorno Anelita e Rocco, sempre insieme, con l’Ape scendevano al Porto per vendere la frutta e la verdura.

Gli anni volarono e lei si trovò vedova. Ricordo con dolore una frase che lei ripeteva nei primi tempi della sua vedovanza: “Chi mi voleva bene è morto! Come farò ora?” Malgrado il dolore non si lasciò andare e prese in mano le redini della sua vita: aveva due figlie da sposare e non poteva permettersi di pensare solo a sé stessa!

Ma appena arrivava la bella stagione preparava la valigia, prendeva il treno e di corsa tornava al Giglio, nella sua casa. Ancora oggi, appena arrivano i primi caldi, dice “Ma al Giglio, quando ci andiamo?” E, appena arrivati, seduta in terrazza, abbraccia con lo sguardo il Castello, la baia del Campese, il mare fino all’orizzonte e sorride contenta…

Ora è arrivata, pur con mille acciacchi, ai 90 anni!! (che compirà il 3 di maggio)

E speriamo che possa festeggiare tanti e tanti altri compleanni insieme a noi!

Mille e ancora mille auguri carissima mamma dalla tua famiglia.