Quando al Giglio si viveva tra cielo e mare la generosità  univa tutti i paesani, come la povertà. (Da non confondersi con “miseria e abbandono”)
Dettagli ritrovati tutt’oggi nel cuore “animoso” della mia gente.


Il Natale di Giacomo di san Pietro

Era tornato dalla Grande Guerra con i piedi congelati.
Poco più che ventenne, abituato a girare scalzo tra gli scogli e sui terreni  zappati a vigna nella sua isola, Giacomo, che non era mai stato in continente, un giorno si trovò vestito da soldato, sbattuto nelle trincee delle montagne venete col fango ghiacciato che gli arrivava fin sopra i polpacci.
Lassù compì il suo dovere verso la Patria riportando a casa la pelle e una medaglia di bronzo, ma i piedi, pure induriti dai molti calli, non resistettero a quel clima infame.
Camminava con le ginocchia leggermente piegate verso l’esterno ed i piedi piatti. Questo difetto gli portò il privilegio di avere due soprannomi: Giacomo di san Pietro, ereditato dal padre e Giacomogiacomo, nuovo di zecca.

La figura esile un po’ curva, mostrava un volto predisposto al buonumore  ed occhi sorridenti di chi sapeva di averla scampata bella.
Abitava al Castello e spesso, nella buona stagione, raggiungeva altri paesani sul murello fuori Porta dove, una volta seduto propinava il suo argomento preferito: la trincea e la fame patita in guerra.
Non si sposò mai.

Viveva nella parte alta del Paese e come tanti, ci teneva alle tradizioni, così un anno, in prossimità del natale, pensò di fare i panficati  seguendo a memoria la ricetta della sua povera mamma. Di sera, dopo aver cenato, Giacomogiacomo, mise diligentemente tutti gli ingredienti che ricordava nella grande vasca di zinco - quella che serviva per lavare le lenzuola -  mise anche la pasta di pane, ma il composto appiccicoso si amalgamava a fatica con i fichisecchi nel fondo della tinozza e l’uomo pensò di aggiungere della farina, indi, di duplicarla. Soddisfatto coprì il tutto con un lenzuolo riposto nel baule che la mamma buonanima, con tutt’altre speranze per il figlio, gli aveva confezionato in un piccolo corredo matrimoniale.
Andò a dormire.

La mattina di buon’ora, Giacomo di san Pietro venne al Piano sotto il baschetto della nostra casa chiamando a gran voce: “Caterina, o Barroccia, viene un po’ ‘n casa mia a vede’ i panficati che un ci capiscio più niente!”
Il vento freddo di dicembre seguiva le due figure che camminavano in salita per i vicoli verso piazza di sopra; davanti c’era mia madre, giovane, il passo deciso e lo spirito di chi sa di andare a scoprire qualcosa combinata male.
La vasca, posta sotto la finestra dell’angusta cucina mostrava un enorme impasto marrone sufficiente per fare una cinquantina di pani, mamma allungò una mano e…trovò una materia dura come il sasso; il buon vecchio aveva  usato il gesso bianco al posto della farina.
“I due sacchetti erino uguali” si giustificò perplesso Giacomogiacomo che non sapeva leggere.

Il fatto rimbalzando di vicolo in vicolo, di uscio in uscio, entrò nelle case dei laboriosi castellani suscitando grande ilarità, ma anche molta tenerezza e  la notte di Natale la tenerezza si trasformò in tante piccole pagnotte di panficato, arance, noci, mandorle, bottiglie di vino, che i paesani, usciti dalla messa, in un andirivieni, portarono a Giacomo di san Pietro esclamando: “Auguri compa’ buon Natale Giacomo!”.
Il buon Giacomo si ritrovò così tanta roba nella madia da farla tornare buona per carnevale e pasqua.

Seduto sul murello della piazza, Giacomo dagli occhi sorridenti, oltre alla trincea, aveva un altro argomento da propinare a chi gli si sedeva accanto. Le mani ferme sul bastone ... iniziava sempre così:
”ma come feci a sbagliammi!...”
Coreva l’anno millenovecentocinquantadue.

Palma Silvestri – della Barroccia

p.s. Le frasi di Giacomo sono riportate nel dialetto gigliese.