Tra qualche mese avrò ottantadue anni, ma vivissimo ho il ricordo di quando l'inchino al Giglio lo rese l'ammiraglia italiana - il Rex - dopo che aveva vinto il Nastro Azzurro a ferragosto del '33 in America. Il comandante Tarabotto allora ce la mise tutta a navigare ad oltre 28 nodi per giungere vicino alla meta, al faro di Ambrose a 30 nodi, a forza tutta. Poco dopo l'arrivo a New York consegnò al mondo intero la notizia di quel prestigioso riconoscimento per la Marina italiana.

Io ero piccino, ma ricordo con l'orgoglio di uomo ora e lo stupore del bimbo di allora quando la sagoma del Rex apparve nel canale sullo sfondo dell'Argentario carico di luci e di magia. Passò vicino vicino al Giglio. Eravamo tutti in attesa "sotto i cannoni", la Banda in prima fila che suonava l'inno nazionale e allegre marcette augurali. Dal Rex rispondevano con altre musiche e luminarie e razzi e suono di sirene, in un tripudio di colori e di amicale condivisione di gioia tra i poveri gigliesi, che ancora partivano per le Americhe emigranti e i ricchi ospiti del Rex. Quei momenti furono possibili grazie a quel signore, che poi sarebbe diventato mio suocero: Loredano Baffigi, agente della società di navigazione Italia.

La riflessione che vorrei proporre è questa: non è l'inchino da condannare, ma la leggerezza di coloro che non sanno farlo, nel 2012, lontani un bel po' dagli anni '30.

Giuseppe Ulivi