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Nel compulsare la vostra rubrica relativa a "Chi riva ....etc., etc.", nel leggere dei tanti bambini che nascono e che voi puntualmente citate, mi sono sentito ispirato e, quindi, sollecitato a dedicare a tutti i bambini che "rivano" e che s'aprono alla vita, i versi che vi allego, scritti qualche tempo fa (nell'Autunno del 2012) allorché, seduto su una panchina d'una gran villa romana, ho assistito al miracolo di veder, via via, passare tanti e tanti bambini, adagiati nelle loro carrozzine.
Versi che, senza avvertire il minimo di presunzione, a me sembrano perfetti, in quanto paradigmatici d'una condizione d'"affaccio" alla vita che, tutt'ora, quando li rileggo, mi commuovono per la loro essenzialità e la loro compiutezza significativa.
IN AUTUNNO (Mille splendidi soli)
Nelle radiose Ottobrate romane, quando l’Estate sembra non finire mai, allorché le rondini, preavvertita la “rottura”dei tempi, s’imbrancano e si sbrancano, sfrecciando ed intessendo stridii augurali per la ripartenza, bambini radiosi spuntano, puntualmente, all’aperto, come i funghi nei boschi, quando la terra, enfia di pioggia, al ritorno, massiccio, del sole, s’inebria di luce ed avvampa di riverberi fluttuanti tra i vapori della caldafredda, mentre, per le strade, nere d’asfalto, baluginanti sul filo dell’orizzonte, ballano le vecchie.
Fruttuosa e confortevole d’amore è stata, per i loro “fattori”, soprattutto con le brezze, suadenti e avvincenti, della Primavera, l’annata trascorsa.
S’affacciano alla vita, incolpevoli ed inconsapevoli, con sguardi di miele, al contempo, compiaciuti, sorpresi ed assorti, e, comunque, ogn’ora, densi di meraviglia per lo “spettacolo”, che, passo dietro passo, si fa loro incontro.
Quando non s’assopiscono, per sognare, beati, di suggere dai loro succhiotti il dolce nettare, che, a volte, sgorga, caldo e spontaneo, dai seni, rigonfi, delle generose “nutrici”, colgono, assorbono ed assimilano come nutrimento, con teneri mugolii od espressioni di misurato assenso, ogni immagine, ogni suono, ogni voce, ogni palpitazione, ogni stato d’animo od improvviso mutar d’umore di chi, comunque sempre attento, li porta all’aperto.
Improvvisamente, a tratti, piangono, stupiscono, s’imbronciano, sorridono o s’incupiscono, turbati, risentiti od avvinti dalle ombre, dal sole, dai gesti e dalle parole di chi li ammira, li contempla, li “complimenta” o li rimbrotta.
Al centro d’ogni umana attenzione, nella loro affidata sicurezza, sono, insieme, felici ed ombrosi, seppur sempre luminosi come l’alba, dalle dita di rosa, degli antichi “cantori” greci.
C’è un’àura di sogno e di promesse, che, aleggiando sopra i teneri capi “inconchiusi” come germogli, ed i bei visi dagli occhi superni, ammaliati dall’”avventura”, li rende così ansiosi di conoscere e di sapere da sollecitare, con lievi dondolii e scuotimenti del corpo, il piede di chi li sospinge, se solo questi accenni a fermarsi; un’àura dorata, che induce alla dedizione e alla gioia, al giuoco e alla festa, ma anche, con assorti sospiri di chi li conduce, alla meditazione per ciò che la vita riserverà loro, più avanti, in questo “incantesimo”, che, di anno in anno, immancabilmente, si ripropone e si dipana per ogni dove: su strade, parchi, prati, campi, giardini e terrazzi, stracolmi di fiori.
Mani e cuori solleciti e forti, di madri e di nonne (madri due volte, e, quindi, più esperte, più attente e sicure, pazienti ed accorte), con malcelato orgoglio, cui fa da usbergo, quasi fossero vestali d’un rito supremo, uno stato di grazia ai limiti della perpetua sacralità, dolcemente li avviano alla vita, vezzeggiandoli, su carrozzine d’ogni foggia, senza audacia o rischio: piano, piano, piano, piano, a scoprire, via via, il mondo, incontro ad auspicati eventi benigni.
E’ stato sempre così e sempre così sarà! E l’uomo, ogni minuscolo uomo, miracoloso e avvincente “progetto” di vita, ricco, in nuce, d’ogni fausta potenzialità e d’ogni possibile nefandezza, sarà tale e quale fino alla fine dei secoli, incantato d’ogni cosa, dall’insorgere al declinare, radioso, di tanti splendidi soli.
E noi, pure, come sempre, veglieremo, commossi, su questa inerme creatura, superna fattispecie di Dio, già nel mondo, ma non ancora del mondo, e, comunque, abbisognevole, ogn’ora, di cure e d’amore, perché possa e sappia, al meglio, affrontare, poi, da sola, la sorte che l’aspetta, troppo spesso matrigna e nemica.
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