Dopo 14 Tonnellate di Bocconi Avvelenati Lanciati su Montecristo, la Capra Selvatica è Scomparsa anche dal Museo
Al nostro articolo, pubblicato su questa testata il 3 settembre (https://www.giglionews.it/quattordici-tonnellate-di-esche-avvelenate-su-montecristo-i-segreti-dellente-parco), hanno risposto pochi fedeli dell’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, tra i quali Francesco Mezzatesta, col suo articolo intitolato “nello scontro tra naturalisti e animalisti ripartono le bufale sull’isola di Montecristo” (https://italialibera.online/ambiente-territorio/nello-scontro-tra-naturalisti-e-animalisti-ripartono-le-bufale-sullisola-di-montecristo/), pubblicato da Italia Libera ed altre testate giornalistiche il 9 di settembre. In tale articolo, Mezzatesta, difende ed elogia l’azione dell’Ente Parco e coadiutori, affermando che dopo la distribuzione via elicottero di oltre 14 tonnellate di bocconi avvelenati avvenne un miracolo: “il risultato straordinario arrivò portando alla scomparsa del ratto alieno senza danneggiare né anfibi, come il Discoglosso sardo (…), né le capre di Montecristo”. Tuttavia, esistono molte evidenze che suggeriscono che questa affermazione molto ottimistica non sia accurata. Il ratto è ancora presente sull’isola, nonostante il disastro ecologico causato dalla massiccia quantità di rodenticida lanciato sull’intera isola, in terra ed in mare.
L’Ente Parco e coadiutori, infatti, hanno praticamente eradicato da Montecristo la Capra aegagrus, che costituiva l’unico nucleo di capre selvatiche esistente in Italia sin dal Neolitico. Per non lasciarne traccia, non l’hanno eliminata solo dall’isola ma anche dal piccolo Museo dove non è più esposto un bell’esemplare di Capra aegagrus, ma due esemplari di Capra della razza antica corsa, una razza domestica di recente introduzione, a dimostrazione che il fenotipo egagro non sia più rappresentativo delle capre oggi presenti sull’isola, perché probabilmente non sono sopravvissute all’ingestione dei bocconi contenenti “brodifacoum” lanciati dall’Ente Parco e coadiutori. L’Ente Parco, specializzato in eradicazioni, si appresta ora ad eradicare il Muflone (Ovis orientalis) dall’Isola del Giglio, questa volta non utilizzando bocconi avvelenati come per la Capra aegagrus, ma tramite squadre organizzate di sparatori.
Ma leggiamo cosa è accaduto alle Capre di Montecristo e cosa sta per accadere ai Mufloni del Giglio, dalla risposta che il professor Marco Masseti, zoologo e paleo-ecologo esperto di caprini selvatici e di ambienti insulari mediterranei, ha dato all’articolo, sopra citato, di Francesco Mezzatesta.
Risposta del Professor Masseti a Mezzatesta:
Fino a pochi anni fa il museo di Montecristo ospitava un esemplare di Capra aegagrus
Fino a non molto tempo fa, il fulcro del piccolo museo di storia naturale dell’isola di Montecristo era costituito da una teca di vetro che ospitava un bel maschio adulto naturalizzato della locale capra selvatica. L’animale presentava lunghe corna a forma di scimitarra, con il mantello bruno rossiccio chiaro su cui spiccavano le tipiche zone scure della specie su muso, zampe, spalle e linea dorsale, mentre la colorazione della pancia era crema-biancastro. Si trattava in tutto e per tutto di un egagro o capra selvatica, Capra aegagrus, ancora oggi diffuso in parte del Vicino Oriente, a Creta e su alcune isole minori del Mare Egeo. Secondo il celebre zoologo Augusto Toschi, che nei primi Anni Cinquanta del secolo scorso ebbe modo di soggiornare a Montecristo e di studiarne la fauna, i locali ungulati corrispondevano in pieno ai fenotipi del vero e proprio egagro (Figura 1). Questo fatto faceva sì che si trattasse della popolazione più occidentale della specie.
Oggi nel museo, non è più esposta la Capra aegagrus ma due Capre domestiche dell’antica razza corsa
Oggi, nel nuovo allestimento del museo di Montecristo, il vecchio esemplare non compare più, forse perché deteriorato dal cattivo mantenimento e non restaurato. É stato sostituito da altri due animali naturalizzati, un maschio ed una femmina adulti, che però non corrispondono più ai caratteri fenotipici descritti da Toschi per la popolazione isolana. Gli esemplari attualmente in esposizione sono due rappresentati dell’antica razza domestica corsa, caratterizzata anch’essa in ambo i sessi da corna a forma di scimitarra (più lunghe nei maschi) e dall’assenza delle tettole, le due appendici cutanee ai lati del collo di alcune etnie di capre domestiche (Figura 2). Il loro mantello è però più o meno uniformemente bruno e manca delle caratteristiche zone scure della specie. Questa razza è stata importata a Montecristo in epoca piuttosto recente, probabilmente nel corso degli Anni Cinquanta e/o Sessanta dello scorso secolo per rinsanguare la popolazione selvatica locale ormai ridotta sull’orlo dell’estinzione a causa di una caccia senza sosta e regola. Quando una società privata prese in concessione l’isola per trasformarla in un esclusivo Hunting Club per le attività venatorie di terra e la pesca d’altura, ci si deve essere resi conto che le capre selvatiche erano quasi del tutto scomparse e così si è probabilmente cercato di rinfoltire il patrimonio faunistico isolano con l’importazione di animali domestici che potessero essere abbastanza simili a quelli originali dell’isola. La vicina Corsica ospita ancora interessanti contingenti di capre dell’antica razza locale. Forse è questa la ragione per cui, nel dépliant del 1970 Montecristo ovvero “Del Privilegio” che illustrava le meraviglie del club che stava per essere inaugurato sull’isola, si invitavano espressamente i futuri cacciatori a privilegiare l’abbattimento degli individui con “balzane chiare” e “macchie sul costato”, caratteri fenotipici che nessun zoologo prima di allora aveva mai segnalato per le capre di Montecristo.
Per rendersene conto non è necessario raggiungere la piccola isola tirrenica ma basta cercare in internet la voce “museo di Montecristo”, dove appaiono alcune foto del nuovo allestimento del museo. Perché è stata sentita la necessità di questo cambiamento? Il fenotipo “egagro” non corrisponde più a quello manifestato dalla popolazione ircina dell’isola? Cosa può essere successo, se una ricognizione condotta sull’isola per conto della Gestione Ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali ancora nell’estate del 1998 aveva rivelato la sopravvivenza di un terzo di ruminanti a fenotipo “egagro”?
Praticamente tutte le capre del fenotipo egagro rimasero fuori dal recinto durante il lancio dei bocconi avvelenati
Fra il 2010 ed il 2014, su Montecristo è stato condotto il LIFE Project+ Montecristo 2010, cofinanziato dalla Comunità Europea ed essenzialmente finalizzato all’eradicazione del ratto nero, Rattus rattus, e dell’ailanto o albero del paradiso, Ailanthus altissima. Per eliminare il roditore si è fatto ricorso alla distribuzione di un’enorme quantità di pellets avvelenati sul territorio isolano anche mediante l’ausilio di lanci effettuati dall’elicottero. Fra le conseguenze più dirette di quest’azione si è assistito alla totale scomparsa dei conigli isolani, mentre non si sa più niente del discoglosso sardo, Discoglossus sardus, un anfibio che è (era?) riuscito a sopravvivere su Montecristo fino dall’epoca terziaria. In compenso, però, il ratto è ancora presente sull’isola. Per evitare che anche tutte le capre morissero avvelenate in conseguenza dell’ingerimento delle esche (Montecristo è un ambiente molto scarso di risorse trofiche), i responsabili del progetto LIFE hanno realizzato un recinto di qualche ettaro sul promontorio del Belvedere, una delle poche zone dell’isola dominata da una discreta vegetazione ad alto fusto. Vi sono state introdotte una quarantina di capre, evidentemente senza fare attenzione ai fenotipi che vi si rinchiudevano, con il risultato che praticamente quasi solo queste capre captive si sono salvate dall’avvelenamento. Quasi nessuna di esse rispondeva però al fenotipo “egagro”. Cosicché si può dire che gli ungulati che oggi si conservano a Montecristo non hanno più le caratteristiche morfologiche che distinguevano gli egagri originali, ma sono quasi esclusivamente rappresentati dagli animali discesi dagli individui dell’antica razza corsa introdottivi in epoca storica recente.
Dalla tragedia dell’avvelenamento alla Beffa del Bio Parco di Roma
Questa tragedia naturalistica si è perfino colorata di una nota comica. L’8 novembre 2012 i responsabili del progetto LIFE+ Montecristo 2010 hanno portato alcune capre di Montecristo in un recinto del BioParco di Roma, inaugurato con un’apposita cerimonia che ha avuto luogo in pompa magna il 5 dicembre del medesimo anno. Nessuno di questi individui però corrispondeva ai fenotipi descritti da Augusto Toschi e da altri studiosi per la capra isolana. Uno di essi era addirittura nero. L’ironia della sorte ha poi voluto che sull’esterno del recinto che racchiude gli animali spiccasse un cartello con un’immagine completamente diversa da quella degli ungulati che vi sono rinchiusi, contraddistinta dalla colorazione tipica della vera capra di Montecristo.
Lo stesso approccio “scientifico” accomuna i progetti “Life Montecristo 2010” e “LetsGo Giglio”
Con un approccio scientifico simile a quello che ha decimato la già esigua popolazione di capre a Montecristo, i responsabili del nuovo progetto LetsGoGiglio - Less alien species in the Tuscan Archipelago: new actions to protect Giglio island habitats (LIFE18 NAT/IT/000828), cofinanziato dall’UE tramite il Programma Life+ per un totale di 1.6 milioni di euro nel periodo 31/07/19 – 31/12-23, si apprestano adesso ad eradicare dall’isola del Giglio i mufloni, Ovis orientalis, ivi presenti, nonostante la presa di posizione contraria da parte degli abitanti dell’isola, di una larga porzione dell’opinione pubblica e di vari esperti del settore. I responsabili del progetto giustificano la necessità di un simile intervento adducendo come scusa il fatto che le belle pecore selvatiche erano state introdotte per motivi esclusivamente venatori fra gli anni 1960-1970, oltre ad essere causa di ingenti danni all’agricoltura. In realtà, l’attuale popolazione di mufloni presente sul Giglio è stata costituita un po’ di tempo prima, intorno alla metà degli Anni Cinquanta del secolo scorso, per interessamento degli zoologi Alessandro Ghigi, Augusto Toschi, Renzo Videsott e grazie alla dedizione di Ugo Baldacci che mise a disposizione una sua proprietà recintata nell’isola, sul promontorio del Franco. La costituzione di questo nucleo storico fu motivata da esigenze di carattere meramente conservativo, perché nell’ambiente zoologico internazionale c’era il timore che la specie fosse prossima all’estinzione in Sardegna e Corsica. Mantenere dunque il gruppo dei mufloni gigliesi equivarrebbe a preservare un pool genetico e fenotipico di indubbia importanza biologica, oltre che storica. La sua eradicazione porterà ad una perdita irreversibile sotto il profilo biologico. Inoltre, i millantati ingenti danni che gli animali producono annualmente all’agricoltura assommano nella peggiore valutazione a non più di 1.200 euro in un periodo cronologico di 14 anni, compreso fra il 2007 ed il 2021 (danni richiesti da un unico agricoltore per un terreno privo di recinzione). Vale la pena di ricordare che una raccolta di firme, lanciata dagli agricoltori gigliesi contro l’eradicazione dei mufloni dall’isola, ha già superato le 5.200 sottoscrizioni.
Una domanda sorse spontanea a Mezzatesta ed a tutti voi che leggete
A questo punto, caro Francesco, mi sorge spontanea la domanda: è questo il modo che abbiamo in Italia per favorire la salvaguardia e la protezione del nostro ambiente naturale?
Marco Masseti
Caro Nicola Baccetti. Le sarei grato se potesse fornire dei dati che supportino la sua affermazione. I dati rilasciati dal parco dicono che, nonostante l'eradicazione sia stata interrotta una volta scoperta la natura della lepre, questa abbia continuato a morire. I dati del parco dunque contraddirebbero la sua affermazione. Non che mi fidi dei dati del parco e per questo le chiedo di condividere i suoi dati. Per quanto riguarda il suo commento su come il parco gradirebbe ricevere proposte, anche qui mi trova in disacordo. Ad oggi il parco si e' dimostrato chiuso verso qualunque dialogo con la società civile organizzata e con i cittadini, in totale violazione della convenzione di Aarhus e degli accordi presi con la Commissione Europea, che prevede invece consultazioni (e non comunicazioni) con la società civile durante il progetto e soprattutto al suo inizio. Forse è arrivato il momento di cambiare la cultura dell'ente parco? Mostrarsi un po piu mittel-europea, visto che i fondi vengono da Bruxelles? Speriamo non occorra aspettare un'altra sentenza perché ciò accada. Cordiali saluti.
Caro Paolo, grazie per la risposta. La mia era una provocazione riguardo la questione dei ratti, ma ti ringrazio lo stesso per la risposta esaustiva. Il mio commento si concentrava però sui danni ecologici della derattizzazione che è avvenuta su di Montecristo e su Pianosa, principalmente in relazione alla cattiva gestione delle azioni che hanno portato all'uccisione di moltissime specie, anche protette, su entrambe le isole. Che dei progetti LIFE da milioni di Euro (fondi pubblici, ricordiamolocelo) possano portare una rarissima varietà di Lepre verso l'estinzione, a causa di un errore di tassonomia e di un uso spropositato di rondenticida negli anni, non e' accettabile. Lo stesso errore si sta commettendo ora sul Giglio in relazione all'eradicazione del muflone la cui unicita' fenotipica e genetica rischia di essere compromessa esattamente come nel caso della capra di Montecristo e della lepre di Pianosa. Possibile che ogni progetto al quale la NEMO ed il Parco partecipano debba ripete esattamente gli stessi errori dei progetti precedenti? Possibile che nonostante la sentenza da parte della Procura di Livorno non abbiate capito che la metodologia va cambiata, che un dialogo con la società civile va cercato da subito (anziché soppresso o evitato), e che prima di decidere di eradicare una specie che a voi sembra 'comune' va cercato il parere degli esperti? Capisco che i bandi Europei facciano gola viste le cifre incredibili che stanziano, ma la scienza richiede una integrità che purtroppo in questi vostri progetti non ho trovato.
“L’ultimo nucleo di una rarissima varieta' di lepri” è stato talmente fatto fuori che Pianosa adesso ne produce molte più di quante riesca a mantenerne. Penso che il Parco gradirebbe esaminare proposte (sensate) per come valorizzare il surplus. Saluti.
Buongiorno Kim, rispondo solo sui ratti, anche perché sono in partenza. A dicembre 2016 vennero rilasciati 14 individui di ratto nero sul molo, simulandone lo sbarco da un’imbarcazione, tutti maschi (sesso confermato con analisi genetica), per verificare l'efficacia del sistema di "intercettazione" mantenuto nella zona dell'approdo. Esperimenti simili sono già stati fatti in altre parti del mondo. Gli animali rilasciati erano dotati di radiocollare, e anche i soli 2 individui non ricatturati vennero seguiti per alcuni giorni; in realtà uno quasi certamente morì per ipotermia poco dopo il rilascio, l'altro in effetti potrebbe essere sopravvissuto, anche se intorno alla fessura dove si era sistemato lasciammo diverse postazioni con esche rodenticide che vennero in parte consumate. In natura molto raramente un ratto vive più di un anno o due, quindi quell'individuo (maschio) difficilmente ci sarà ancora. Tutto ciò è descritto nella pubblicazione scientifica che è citata a sostegno del fatto che i ratti ci sono ancora (nel precedente articolo di Scarfò c'è il link per scaricarla), quindi chi l'ha letta e citata si è accorto che due ratti sono sopravvissuti ma non che fossero maschi e che uno fosse (molto) probabilmente morto. Faccio presente che al convegno mondiale sulle specie invasive nelle isole dove il lavoro venne presentato, nessuno dei circa 200 esperti presenti mostrò dubbi su possibili rischi associati al test. Anche in seguito al naufragio di cui si parla nell’articolo non risultano arrivi di ratti: venne prontamente effettuata una “risposta rapida”, posizionando alcune decine di postazioni con esche attrattive e rodenticide nell’area del naufragio, senza alcun esito. Aggiungo che se si fosse reinsediata una popolazione, a partire dal naufragio ad esempio, nel giro di due anni l'isola sarebbe stata nuovamente piena di ratti. Io davvero non mi spiego come si possa dire e scrivere ripetutamente che su Montecristo ci sono i ratti e ripeto che dopo tutti questi anni, qualora dovessero ricomparire i ratti - quello sì che sarebbe un disastro ecologico - in breve tempo e con costi limitati sarebbe possibile determinarne l'origine
Buongiorno Paolo, grazie del commento. Quindi sta dicendo che portaste voi 14 ratti sull'isola e 2 vi sfuggirono? Dunque almeno 2 ratti sull'isola sono presenti. Se cosi fosse allora la frase "il ratto è ancora presente sull'isola" sarebbe corretto. Inoltre, da quanto ho capito, la triste vicenda del recente naufragio avrebbe anch'esso contribuito ad un ritorno del ratto su Montecristo. Quindi ora forse sono presenti ben più di due ratti. Resto comunque sconcertato come alla luce dei numerosi danni ambientali causati dal lancio improprio di 14 tonnellate di pellet avvelenati questi vengano giustificati sulla base del ritorno della Berta minore, come se fosse una creatura mitologica la cui vita vale più di quella delle capre edemiche che avete decimato, dei circa 1000 gabbiani che avete avvelenato, la sparizione dei corvi dall'isola, il depauperamento della vipera, e possibilmente anche l'avvelenamento di molti cetacei. Trovo ugualmente sconcertante che continuiate a difendere questo progetto quando, a seguito di una investigazione ministeriale, foste trovati colpevoli di reato della Procura di Livorno. Insomma, ogni tanto farebbe bene anche ammettere di aver sbagliato. Invece dopo Montecristo siete andati su Pianosa ed avete fatto fuori l'ultimo nucleo di una rarissima varietà di lepre altrimenti estinta in Europa. Ora rischiate di fare la stessa cosa al Giglio con Muflone. Imparerete mai la lezione?
Buongiorno, anche se ci sarebbe molto altro da dire sul "disastro ecologico" e su molto altro, solo un commento sulla frase "Il ratto è ancora presente sull’isola". Non è vero. Da 9 anni non ci sono tracce di ratto, i pulcini delle berte non vengono più predati e il personale inviato dai Carabinieri Forestali non deve più tapparsi in casa per evitare l'ingresso dei ratti. Se malauguratamente i ratti dovessero ricomparire sarebbe senz'altro a causa di una reinvasione, e si potrebbe stabilire con certezza, dall'analisi genetica, se i nuovi ratti derivassero dai sopravvissuti della popolazione preesistente, oppure dai 14 maschi (!) catturati a Pianosa e introdotti sull'isola per un test (12 vennero catturati) alcuni anni dopo Su quali basi si afferma il contrario?