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La commemorazione dei defunti
2 novembre, commemorazione dei defunti; una giornata soleggiata, gradevole, da apprezzare anche in una grande città come Milano. Un giro al cimitero si fa volentieri con la mente magari rivolta ad un altro luogo più familiare e paesano: il camposanto del paese in cui si è nati e cresciuti.
Non scelgo il Monumentale, ricco di personaggi illustri e monumenti di pregio artistico senz’altro invaso da migliaia di persone; vado a Novate Milanese. Decido di andare a trovare i morti di una così detta “città satellite”.
Credendo di trovare loculi e corridoi bui dove sbirciare i cognomi, i volti, trovo invece un grande, verde prato contornato di cipressi e suddiviso da bassi muretti in cui stanno appoggiate - allineate - le lapidi e le relative tombe poste in ordine di data.
E’ come vedere una grande vigna i cui filari continuano più avanti e più avanti e più avanti e nel primo ci sono i 2000, nel secondo 2001, poi 2002 … e cammino tra la poca gente per arrivare all’anno più popolato, più pianto: il 2014.
Ancora sorpresa per lo stile di questo cimitero, noto un passo di adolescente con una rosa rossa in mano; E’ esile, magro e cammina spedito. Lo seguo presagendo il suo affanno: si ferma, il tempo del segno della croce, davanti ad una lapide del filare 2008, poi parte deciso verso un angolo, che scopro dedicato ai bambini, e là deposita la rosa rossa. Tremo, ma voglio capire, entrare nella sua storia. Il nome del bambino con la rosa è: Stefano ed aveva quattro anni, anno 2009.
Cerco con lo sguardo il ragazzino dinoccolato ed è facile ritrovarlo davanti al filare 2008; ho gli occhi che mi bruciano ma voglio sapere: Lui sta dritto davanti all’immagine di una giovane donna dai capelli neri, sorridente; mi avvicino e leggo: Ester … una cara mamma, una cara moglie. Settembre 2008.
Striature rosse-arancio all’orizzonte, sovrastate da palazzine e alberi immensi. A novembre la sera arriva subito e il cimitero si chiude.
Palma Silvestri
NON TANTO TEMPO FA Una volta, era così, Palma Silvestri: s’andava al Cimitero a trova’ i morti, non solo del palazzo o di famiglia, ma tutti quanti, chi si conosceva e chi si sconosceva. Si parlava loro intimamente, chiedendoci e chiedendo la lor sorte, ammirandone i volti e le fatezze, specie s’eran di giovani od d’infanti, ch’erano numerosi, a quei tempi. Mi ricordo, ad esempio, a parte i miei, dei bimbi coi vestiti della festa, ch’eran, poi, quelli della Comunione, oppure dei tanti lattanti con le cuffie; delle lapidi dei vecchi e delle vecchie dallo sguardo severo di rimbrotti, sbrecciate e consumate, dal tempo e dall’incuria; dei monumenti, alcuni molto belli, altri modesti, con le scritte, a memoria, ed i ricordi con gli “Arrivederci, in cielo!”, del babbo, della mamma dei nonni e dei fratelli. Visitavamo tutti, questi e quelli, tutti ugualmente cari e degni d’un saluto, commosso e silenzioso. E quando c’avanzava un fiore, anche il più bello, lo si metteva, ai quei dimenticati dai “famigli”, magari perché estinti a loro volta e tumulati altrove, in altra terra. Poi, dopo una prece, li si salutava, augurando a tutti il Paradiso, anche a chi ben si conosceva per esser stato inetto o assai malvagio, contando nel perdono del Creatore. Infine, nel congedarci, avendo preso atto di quanto poco duri questa vita, specie rispetto all’eternità del tempo e della morte, se, in fondo, non c’attendesse, misericordioso, un giorno, il “resurrexit”, si ripensava a noi e a nostra sorte, se nel "guatar", compunti, tra i “sacelli”, d’un tratto, s’incontrava un caro amico estinto, di cui non sapevamo, od un coetaneo con cui s’era cresciuti, insieme ad altri, che ben si conosceva dall’infanzia: alitava, ordunque, già alle nostre spalle, la “sorella morte” che c’estingue?