La Festa della Mamma 2015
Cogliamo l’occasione, oggi, per far festa con tutte le mamme del mondo, una festa che non finisce stasera, ma che continuerà all’interno delle singole case e nell’intimo delle famiglie. Almeno così speriamo. Il nostro pensiero va a tutte le mamme di ieri, di oggi e di domani: c’è sempre tempo e ci sono occasioni per riconoscere ed apprezzare la loro opera, la cura della famiglia.
Proponiamo una riflessione su come una madre ha vissuto il suo ruolo, richiamando la nostra attenzione su un suo particolare: le mani. Questa donna e madre, ormai al limite della vita, così racconta attraverso le mani, la sua storia.
“Non sono belle le mie mani. Non lo sono mai state. Da adolescente è stato uno dei tanti complessi d’inferiorità che avevo. Cercavo sempre di nasconderle (…). Ma fecero molto le mie mani. Uno dei primi contatti è stato sentire nelle mie quelle della mamma, se anche erano rugose e non certo lisce, non le avrei scambiate con quelle più belle del mondo. Mi insegnò a congiungerle in preghiera ….. Mi insegnò ad infilare l’ago, saper cucire era un vanto…. Vestivo e svestivo le bambole, le accarezzavo…come vedevo la mamma fare con me.
Le mie mani sapevano fare tanto. Mi misero vicino ad una pila di sottovesti appena stirate, e con l’orologio alla mano dovevo calcolare il tempo di lavorazione, cioè piegarle, inscatolarle e depositarle in magazzino .…. Volevo far vedere cosa sapevano fare le mie brutte mani. … Con le grosse forbici si tagliavano strati sempre più alti di tessuto. Venivano le piaghe sulle nocche delle dita. Le guardavo, erano ancora più brutte le mie mani. Erano diventate callose come quelle di papà, lui che lavorava il ferro, mi piaceva quando mi teneva la mano, sentivo la forza e la durezza di tanto lavoro. Le amiche che avevano scelto di continuare gli studi, sì che le avevano belle, lisce, perfette, ben curate. …. Poi conobbi un ragazzo e le carezze amorose mi fecero dimenticare che le mie mani erano brutte… Guardavo la mano sinistra, che da quel giorno chi vedeva quel cerchietto all’anulare, aveva l’obbligo di chiamarmi “signora”.
Altre cose impararono le mie mani. Arrivarono i figli, … baciavo quelle manine e dicevo: ’queste piccole mani faranno molto’…. Poi queste mani impararono a ricambiare la stretta protettiva di tanti anni prima…. La mamma spesso si lasciava lavare da me. L’ultima notte della sua vita la mia mano strinse la sua per darle conforto…. Con queste mani ripresi a fare pizzi e golfini [per i nipoti].
Oggi non fanno più molto le mie mani. Non sanno più piegare la biancheria, cambiare l’acqua dei fiori…, attaccare bottoni. Sono diventate mani disubbidienti……. Sono una nonna a metà. Ora sono le mani dei miei figli e di mio marito che mi accarezzano, quelle carezze valgono più di mille parole. Non sanno fare più niente le mie mani.
Domani. Che importa se le mie mani saranno brutte. Saranno incrociate sul petto, assomiglieranno a quelle della mia mamma. Sarò felice un giorno di poterle congiungere con le sue. Non le cambierei con le più belle mani del mondo.”
(da What about me?, a cura di M di Grande dettate da una donna malata di sclerosi laterale amiotrofica, ed. Masso delle fate, FI, n.1/2007)
Il gruppo missionario p. Luciano Baffigi
POICHE' NON RITENGO AFFATTO IRRITUALE CHE, IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MAMMA, SI POSSA CELEBRARE LA PROPRIA "GENITRICE", CHE, MORTA DA ANNI, EBBE A DECEDERE, FULMINATA DA UN "ICTUS" CEREBRALE, IN CHIESA, MENTRE, IN PIEDI SULL'INGINOCCHIATOIO, ASSISTEVA ALLA PRIMA COMUNIONE DEI BAMBINI DI ORBETELLO SCALO, MI PERMETTO, APPENA QUI DI SEGUITO, DI RIPORTARE I VERSI CHE, ALLORA, EBBI A DEDICARLE. VERSI CHE, INCISI SOPRA UNA LASTRA DI BRONZO ED,ESTETICAMENTE, "ACCONCIATI" DA UNO DEI PIU' GRANDI GRAFICI ITALIANI, OVVERO MICHELE SPERA, GIACCIONO, DA TEMPO, SOPRA LA SUA LAPIDE, ALL'INTERNO DEL CIMITERO DI ORBETELLO, APPENA SOPRA IL "RIQUADRO" RISERVATO ALLE SALME DEGLI "ATLANTICI". ADESSO (A mia Madre) Adesso che tutto è avvenuto, che, prematuro, il tempo è trascorso, sulla collina d'arenaria, brezze salmastre carezzano i tuoi neri capelli, madre adorata, timida e schiva, inerme come nessuna. Adesso, coi cipressi hai dimora, donna di campagna serena, tra radici ed erbe di terra etrusca, in un viluppo soave di fiori e profumi che sa d'eterno. Adesso, esausta al fine, al tiepido sole di Maggio, tu giaci in dolce riposo mamma. Accanto al nonno, tanto amato, che t'ebbe cara più d'una figlia, ed al mio cuore, gonfio di pianto, che, reverente, mentre il giorno moriva, ai piedi tuoi deposi!