Riprendiamo dal Giornalino Parrocchiale di Giglio Castello, ringraziando don Vittorio ed i due autori Caterina ed Armando per avercelo concesso, i brani che di seguito vi proponiamo in ricordo di due parroci gigliesi.

"In ricordo di don Alfredo Del Pinco
economo di Giglio Castello (Gennaio 1917 – Marzo 1927)

Don Alfredo veniva da Viterbo, da famiglia nobile e benestante. Non aveva mansioni importanti, coadiuvava il parroco e lo faceva con umiltà e spirito di subordinazione, benché in avanti negli anni.
La sua figura diafana e un lieve tremore che lo pervadeva gli davano un che di fanciullesco.
Aveva una patatella in mezzo alla fronte e noi bambini lo guardavamo incuriositi e forse anche insolenti. Amava i chierichetti e per premiare l’assiduità alla chiesa e la buona educazione, talvolta ne portava qualcuno a Viterbo.

Durante la spagnola che mietè al Giglio numerose vittime era l’unico che, incurante del pericolo, portava nelle case un pentolino d’acqua dalla fontana e una parola di conforto se la morte era già arrivata.

Viveva in casa di Colombina e Tonino del Tarullo. Aveva la stanza più bella. Lo chiamavano zi’ prete. Non c’era tra loro né parentela né lucro.
La sua cotta era sempre immacolata e testimoniava la cura e l’affetto dei suoi ospiti. La gente aveva fiducia in lui, anche se lo spazio a lui riservato era stretto stretto.
Una sera di Venerdì Santo, quando la funzione che preludeva alla processione stava per iniziare si scatenò un violento temporale con tuoni, lampi e grandine. I fedeli erano perlessi, non era certo il caso di uscire con quel finimondo.
Don Alfredo fragile, un po’ tremante, uscì sul sagrato e disse: “Se Tu sei Cristo, stasera uscirai con me in processione!” Poi rientrò in chiesa e si scosse i paramenti fradici.
Lentamente la pioggia cessò. All’ora stabilita la processione uscì dalla chiesa e da quella sera don Alfredo fu santo!

Quando morì non lasciò niente se non il ricordo e il nome che porta molto degnamente un giovane discendente di quella famiglia.

Caterina Ulivi"


"IN RICORDO DI MONSIGNOR EUFRASIO MAI

Era nato nel 1926 a Livorno, figlio di due Gigliesi (Andrea Mai, ufficiale di marina e di Armida Emanuelli), discendente di una delle più antiche famiglie del Castello. Alcuni Mai erano anche stati padroni e comandanti di bastimenti che, nell’ ‘800, esercitavano il servizio di collegamenti fra l’isola e il continente. Il nonno materno (Egisto) è ancora ricordato dalle persone più anziane non solo come bravo fabbro ma soprattutto come abile e geniale artigiano capace di aggiustare dentiere o riparare, in più occasioni, l’orologio del campanile della chiesa (si tramanda un curioso aneddoto: quando l’orologio si ruppe dopo la morte di Egisto, un tecnico specializzato chiamato dal continente non riuscì a capire il meccanismo dell’orologio, come modificato in più riprese dal vecchio fabbro).

Conobbi don Eufrasio quando ancora la sua famiglia abitava nella vecchia casa del centro storico livornese dell’Ardenza. Con la sua famiglia, oltre ai genitori e le due sorelle  Rina e Maria, viveva la “Duccetta”, una simpatica vecchietta del Castello da molti anni trasferita a Livorno, dopo essere rimasta vedova del “Grinzo”).

Il giovane Eufrasio Mai compì studi regolari e, dopo il liceo Classico, si iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Università di Pisa. Già avanti con gli esami, interruppe gli studi medici e decise di farsi sacerdote: una decisione convinta e presa in età matura. Divenne Rettore del Seminario Vescovile di Livorno, Canonico della Cattedrale, poi Parroco della parrocchia di Nostra Signora del Rosario. Della sua vastissima cultura ne fanno oggi ancora testimonianza le numerose pubblicazioni sulla storia dei vescovi e di molte chiese di Livorno.

Rimase sempre molto affezionato al Giglio, sua terra di origine, dove ha sempre continuato a tornare nella vecchia casa di famiglia in via S. Antonio, a Giglio Castello, finché le condizioni di salute glielo hanno consentito.

In occasione del suo funerale, il 26 Gennaio scorso, nella Cattedrale di Livorno, durante la solenne cerimonia officiata dal Vescovo, era presente tutto il clero della città.

Coerente con la vocazione che lo aveva preso da giovane e con l’insegnamento del Vangelo, nonostante le importanti cariche rivestite nella gerarchia della Chiesa, è morto in modeste condizioni economiche.

Lascia però a tutti noi che lo abbiamo conosciuto una preziosissima eredità: il ricordo del suo sorriso solare, la sua dolcezza, l’esempio di una vita vissuta e dedicata interamente all’apostolato sacerdotale, sempre in totale coerenza con i principi cristiani.

Armando Schiaffino"